Il governo non ha ancora definito il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, c’è tempo fino ad aprile per presentarlo. Ma ai primi di gennaio dovrebbe presentare una bozza ufficiale. Al momento ci sono le linee guida approvate in Parlamento e un abbozzo di come saranno allocate le cifre. 75 miliardi, il 37% del totale, saranno per clima e ambiente, con una quota importante per stabilizzare il superbonus del 110%; mentre altre voci saranno il piano contro il dissesto idrogeologico e la mobilità verde nelle città (autobus elettrici, per esempio). Circa 10 miliardi dovrebbero poi servire per ammodernare e rendere più circolari i sistemi idrici e di depurazione. Una quota importante, che potrebbe sostenere una rivoluzione blu nel ciclo idrico integrato, specie nel Mezzogiorno, dimezzando la quota di dispersione (attualmente sopra al 40%). Ma il dibattito come sottolineano tante associazioni, spinge poco in questa direzione.
Materia Rinnovabile ne ha parlato con Federica Daga, parlamentare M5S e da sempre attiva nei movimenti per l’acqua.
Sempre più voci dai territori, dalle imprese e associazioni chiedono che nel PNRR trovi spazio il tema della sicurezza idrica. Quali idee sono state proposte?
La sicurezza idrica è alla base di ogni intervento che vada nella direzione della sostenibilità. Non possiamo prescindere dall’acqua, dobbiamo tornare sui territori e aprire cantieri da Nord a Sud: non per le tanto sbandierate grandi opere, ma per mettere mano all’infrastruttura e smettere di perdere quasi la metà dell’acqua che si immette nelle tubature. Che il Recovery Fund sia la spinta a tutte quelle opere utili che servono a migliorare la vita dei cittadini, dalle grandi città ai piccoli comuni. Sono sicura che troveranno spazio nel PNRR definitivo diversi investimenti sulla qualità delle infrastrutture, tenendo conto delle disparità regionali. E che ci sarà una particolare attenzione alle infrastrutture idriche per la derivazione, il trasporto e la distribuzione dell’acqua al fine di garantire la sicurezza dei grandi schemi idrici, ridurre le dispersioni dalle reti e fornire un approvvigionamento idrico sicuro e adeguato a tutte le Regioni. Ma auspico che ci sia una particolare attenzione per quelle del Mezzogiorno.
Come aiutano in questo senso le linee guida del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza?
Le linee guida indicano chiaramente qual è uno degli obiettivi del Recovery fund. La transizione ecologica che sarà finanziata e sostenuta è quella che parte dalla gestione integrata del ciclo delle acque e dei rifiuti e il miglioramento dello stato delle acque interne e marine. Si delineano investimenti in grado di dotare il nostro Paese di una maggiore efficienza nell'uso delle risorse idriche – tema su cui da sempre il M5S si batte – interventi necessari anche per migliorare la capacità di adattamento del sistema produttivo ed agricolo ai cambiamenti climatici. Abbiamo già iniziato questo percorso con l'approvazione e l'avvio del Piano Nazionale di interventi per il settore idrico e sarà su questa strada che continueremo a lavorare. Ma per farlo c'è bisogno di maggiore efficacia nella programmazione, progettazione e realizzazione di questi investimenti. Se lo Stato, anche grazie alle risorse europee, torna dopo 20 anni a investire nel settore, allora c'è bisogno anche di una differente governance pubblica dell'acqua.
Una delle soluzioni potrebbe essere l’Agenzia dell’acqua come soggetto pubblico di coordinamento. Si parla tanto di una cabina di regia: come la immagina?
Occuparsi di acqua significa occuparsi di tante cose, di tanti settori e impegnarsi perché sia realmente garantito l'accesso a tutti i cittadini. Per farlo è necessario avere uno sguardo ampio e tenere insieme i tanti, forse troppi, soggetti che se ne occupano. C’è molta frammentazione, che se da un lato è utile perché ci porta per esempio a una conoscenza specifica dei territori, dall’altro però ci pone davanti ad una scarsa efficacia nella progettazione, programmazione e realizzazione degli investimenti. Per questo motivo vogliamo portare avanti la proposta di un’Agenzia dell’acqua, un soggetto unico pubblico per coordinare il lavoro di tutti. Un soggetto pubblico che si occupi a 360° di questo tema. È incredibile che ci siano così tanti attori in gioco, che non si parlino fra loro, che i passaggi burocratici siano così lenti e farraginosi, che non esista una base dati condivisa e che quando si progettano interventi da milioni di euro non si tenga conto dell'impatto che potranno avere su tutti i diversi settori. In tempo di crisi idrica e cambiamenti climatici non possiamo continuare così.
Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC), fortemente correlato anche all’uso intelligente e resiliente dell’acqua uscirà solo nel 2021. E ha una governance limitata. Come trovare risorse e come renderlo davvero prescrittivo?
Tra le raccomandazioni da seguire per la preparazione del Recovery plan c’è anche l’approvazione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici quindi credo che siamo sulla buona strada. Per renderlo prescrittivo ci vorrebbe una forte volontà politica largamente condivisa ma la politica ha tempi più lunghi, spesso segue anziché anticipare i cambiamenti in atto. Ma appunto stiamo andando in quella direzione, la speranza è che sia un cambiamento radicale che riesca a non cedere alle frenate di certe lobby che hanno interesse a mantenere l’assetto del vecchio mondo, quello della disuguaglianza e del poco rispetto per la Terra.
Si può pensare ad un framework, una strategia sulla blue circular economy?
Certo, i progetti sono tanti e siamo a un livello di innovazione molto alto. Pensare in un’ottica circolare è fondamentale e sul riuso delle acque possiamo ancora fare molto. Siamo in un’epoca caratterizzata dal cambiamento climatico e crisi idriche sempre più frequenti: il nostro approccio alla risorsa deve cambiare radicalmente. E se da un lato l’innovazione cammina spedita (ci sono numerose utilities e tanti centri di ricerca) bisogna anche sincerarci che la strada che percorre non sia cosparsa di buche dimenticate. Fuori di metafora intendo dire che abbiamo tanto da recuperare anche su questioni basiche, come la dispersione o i depuratori, specialmente in alcune Regioni. Per questo motivo tra gli investimenti fondamentali da inserire all'interno del PNRR vi è senza dubbio la realizzazione delle opere di collettamento e depurazione delle acque reflue che ancora mancano in troppi comuni italiani e che garantiscono il superamento delle procedure d'infrazione comunitarie e un resiliente utilizzo dell'intero ciclo delle acque.