La produzione di calcestruzzo ha degli impatti ambientali notevoli. L’applicazione di logiche di circolarità può ridurli, assicurando nel contempo vantaggi competitivi alle aziende che le adottano.
Un pool di aziende sta sperimentando un
progetto innovativo per riutilizzare, senza additivi chimici, il materiale di risulta non scaricato in cantiere dalle autobetoniere. Secondo le prime stime, da un metro cubo di calcestruzzo si potrebbe recuperare, compresa l’acqua d’impasto, l’83% del prodotto iniziale.

Dalle cave all’edilizia: una filiera in crescita

In Italia nel 2020 sono stati prodotti 28 milioni e 600mila metri cubi di calcestruzzo preconfezionato. I numeri sono quelli che Atecap, l’associazione che raggruppa i produttori del settore, mette ogni anno a disposizione degli associati. Quantità destinate a crescere, vuoi per la fase incoraggiante che sta vivendo il settore delle costruzioni (dal maggio 2020 all’analogo periodo del 2021 la produzione di calcestruzzo preconfezionato è aumentata del 37%), vuoi per l’accelerazione che verrà impressa dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Secondo un’elaborazione di Ance dello scorso aprile, il Pnrr destina oltre 107 miliardi di euro (il 48,5% del totale) al comparto delle costruzioni, per la realizzazione nei prossimi cinque anni di nuove infrastrutture.
Oltre a questi, vi sono altri dati che offrono l’idea degli effetti dell’attività estrattiva.
Sabbia, ghiaia e acqua, oltre al cemento, sono i componenti necessari per produrre il calcestruzzo, risorse naturali che provengono dalle migliaia di cave aperte in tutta Italia: il Rapporto Cave 2021 di Legambiente, nonostante il calo degli ultimi anni, ne ha contate più di 4100.
Costruire ponti, strade, viadotti, porti, ferrovie ed edifici comporta un sacrificio ambientale di notevoli dimensioni: sempre Legambiente stima in oltre 29 milioni i metri cubi di sabbie e ghiaie estratte ogni anno in Italia.
Come fare quindi a condurre un settore impattante come quello della produzione di calcestruzzi dal modello lineare a quello circolare?

Il progetto Good By-Beton Cisef

A indicare la strada è il progetto Good By-Beton Cisef, che nasce dall’intuizione di due aziende che operano nel milanese: La Ginestra, una società di escavazione di sabbia e ghiaia di Brugherio, e Cava Visconta, di Cernusco sul Naviglio, impegnata nel settore del recupero dei rifiuti da demolizione. Alla sperimentazione collaborano anche Betonrossi di Piacenza, che produce calcestruzzo, e WamGroup di Ponte Motta di Cavezzo, in provincia di Modena, che ha ideato l’impianto Cisef.
Il progetto è stato validato dall’Università di Brescia ed è attualmente in fase di avanzata di sperimentazione.
Fase sperimentale che ha preso avvio nella cava di Brugherio, dove i macchinari Wam, senza l’aggiunta di additivi chimici, scompongono, nei componenti originari, il calcestruzzo che le betoniere per vari motivi non riescono a scaricare in cantiere durante il getto. Grazie a un idrofiltro, anche l’acqua di lavaggio del materiale di ritorno viene recuperata.
Nei 1900 impianti
di betonaggio attualmente in funzione in Italia (nel 2018 Atecap ne aveva contati 2100) il processo produttivo attuale prevede l’indurimento del calcestruzzo di risulta, la sua demolizione e il conferimento in discarica o agli impianti di recupero dei rifiuti inerti.
Con Good By-Beton è invece possibile
intercettare il calcestruzzo ancora fresco proveniente dal cantiere per scomporlo nelle sue componenti primarie – sabbia, ghiaia e acqua – consentendo di recuperarle e reimmetterle nel processo produttivo di betonaggio.

Tutto il calcestruzzo da recuperare

Si calcola che da un metro cubo di calcestruzzo di ritorno si riesca a recuperare, compresa l’acqua d’impasto, l’83% del prodotto iniziale: da destinare in discarica rimarrebbe solo il 17% del totale.
“Il processo sposa i principi dell’economia circolare – afferma l’avvocato
Pietro Merlini, esperto di diritto ambientale e di economia circolare e componente di Ance-Lombardia – riduce al minimo la produzione di rifiuti e recupera un residuo di produzione che viene scomposto, come sottoprodotto, in materiali che si possono utilizzare in un nuovo processo di produzione del calcestruzzo.”
Secondo le stime di Atecap, il
2-3% del totale del calcestruzzo preconfezionato diventa residuo di produzione. Si potrebbero così recuperare ogni anno 500mila tonnellate di aggregati di calcestruzzo, permettendo il reimpiego di significative quantità di materia prima vergine: un numero che corrisponde alla quantità scavata ogni anno in una cava di medie dimensioni.
Con questo processo produttivo è possibile ottenere diversi vantaggi: risparmiare sulle quantità di escavazione; eliminare le tre fasi attualmente svolte dagli impianti di betonaggio per la gestione del calcestruzzo di ritorno (indurimento, demolizione, trasporto in discarica o agli impianti di trattamento); ridurre i tempi di attesa delle autobetoniere alla centrale di betonaggio; creare posti di lavoro; ridurre l’impatto ambientale.
Ma non c’è solo l’impianto sperimentale di Cernusco. WamGroup, utilizzando la stessa tecnologia, è impegnata in altre applicazioni simili a Segonzano, in provincia di Trento, a Medolla nel modenese e in Portogallo, dove la filiale WamSpain ha seguito da vicino un esperimento-pilota.

La sperimentazione di Cernusco sul Naviglio

A Cernusco sul Naviglio, nell’hinterland est di Milano, nel sito estrattivo della cava La Ginestra, sono in corso i test sperimentali. Iniziate nell’estate del 2019 e poi interrotte per mesi a causa del Covid, le sperimentazioni andranno avanti fino all’autunno.
A prima vista sembra una macchina complessa. In realtà, è l’esatto opposto:
due linee di produzione modulari (Consep e Hyfil), componibili, costituite di pochi elementi: buffer, coclea (di alimentazione), separatore, classificatore, idrofiltro e un’altra coclea (di estrazione). Due macchinari che, lavorando assieme, danno vita a Consep System, grazie a cui è possibile recuperare a nuova vita milioni di tonnellate di sabbia e ghiaia e di litri di acqua provenienti dal calcestruzzo di rientro dai cantieri, per mettere in pratica i principi dell’economia circolare negli impianti di betonaggio e nelle cave.
I sottoprodotti di recupero del processo di trattamento sono conformi alle norme Uni En 12620 per gli aggregati e En 1008 per l’acqua.

Parlano gli operatori

Fare economia circolare in questo settore non è cosa facile e nemmeno tanto praticata, ma è un’esigenza sentita, almeno da parte degli imprenditori più avveduti, quelli che hanno compreso l’importanza dell’utilizzo consapevole delle risorse naturali.
“Per gli impianti di cava e di betonaggio il lavaggio e lo smaltimento del calcestruzzo scaricato dalle betoniere a fine giornata – prosegue
Merlini, che è anche uno dei titolari di Cave Merlini – rappresentano un grosso problema. Si tratta di materiale fluido, difficile da filtrare; le norme in questo campo sono chiare e severe, per cui disporre di aree di lavoro sempre attrezzate e pulite rappresenta un’esigenza produttiva primaria. Così come è un problema il corretto smaltimento degli scarti di lavorazione. Recuperare sabbia, ghiaia e acqua ci permette di essere imprese competitive sul piano della sostenibilità ambientale. Un principio a cui fanno riferimento da tempo sia il legislatore, europeo e nazionale, sia il mondo della finanza.”
Anche per
Lorenzo Petroboni Peroni, consigliere delegato de La Ginestra, l’obiettivo odierno delle imprese di escavazione è rimanere competitivi sul mercato. “La scelta di sperimentare Consep System nasce dall’esigenza che le stesse cave hanno di riguadagnare competitività sul mercato e di mostrarsi con un’immagine differente dal passato. È un esempio di economia circolare di tipo innovativo, che serve al nostro settore per fare impresa sostenibile. A breve, avvieremo un’azione commerciale per far conoscere la tecnologia e soprattutto il prodotto, per poi immetterlo sul mercato con le credenziali di sostenibilità e circolarità.”
Ma di strada, prima di arrivare a commercializzare i prodotti, ce ne sarà ancora molta da fare, sul piano normativo in particolare. “La sperimentazione – conclude Merlini –consentirà di gestire il calcestruzzo di ritorno come se fosse un sottoprodotto e non come rifiuto. Questa sarebbe la novità più importante. Eviteremmo non pochi adempimenti normativi e per le nostre aziende poter contare su un impianto simile significherebbe disporre di un valore aggiunto importante.”

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