Un filo verde che collega Milano a Saragozza. Due biopiattaforme gemelle per trasformare gli scarti in materia preziosa. Si tratta di Circular Biocarbon, progetto pilota per tradurre il flusso di rifiuti organici cittadini in nuovi prodotti per industrie e consumatori. Una scommessa lunga tre anni per la Spagna e, soprattutto, per l’Italia, che avrà finalmente la sua prima piattaforma di economia circolare urbana.
A tirare le fila del progetto è Gruppo CAP, gestore del servizio idrico integrato della Città metropolitana di Milano, che ha individuato nel comune di Sesto San Giovanni le giuste condizioni per la costruzione di una bioraffineria, ricavata dalla riconversione di due biodigestori preesistenti nell'impianto di valorizzazione termica e nell'impianto di trattamento delle acque reflue.
Biocarbonio circolare: l’umido e i fanghi diventano biofertilizzanti e bioplastiche
Raccogliere i rifiuti urbani per trasformarli in risorse. Sì, ma quali? Circular Biocarbon guarda alla frazione organica dei rifiuti solidi urbani (per gli addetti ai lavori noti semplicemente con la sigla FORSU) e dei fanghi di depurazione. Parliamo quindi del cosiddetto umido, (dai resti di cibo alla carta sporca di residui alimentari) e della materia solida trasportata dalle acque reflue urbane ed extraurbane, isolata e poi raccolta attraverso impianti di depurazione.
La sfida è dimostrare la fattibilità tecnica, economica e la sostenibilità ambientale di una piattaforma alimentata esclusivamente da questa tipologia di rifiuti. Da questi infatti è possibile recuperare sia un biopolimero, detto polidrossialcanonato o PHA, sia un importante minerale chiamato struvite. Materie prime necessarie per la produzione di bioplastiche prive di petrolio e biodegradabili, fertilizzanti con proprietà biostimolanti e grafene per uso industriale. E poi ancora rivestimenti per componenti meccaniche, strumentazioni per lo stampaggio di materie plastiche e altri prodotti di consumo.
La biopiattaforma dell’hinterland milanese, dunque, darà a breve vita a una catena di trasformazione che partirà dal singolo scarto del cittadino per arrivare alla realizzazione di nuovi prodotti pronti alla commercializzazione. Un modello circolare che, se si confermasse efficace ed efficiente sul lungo periodo, potrebbe essere replicato in altri impianti del Paese.
Il Presidente di Gruppo CAP Alessandro Russo con il direttore di Materia Rinnovabile Emanuele Bompan alla presentazione di Circular Biocarbon.
Bioraffinerie e aree urbane: concetti inconciliabili?
Nel 2018 prendeva il via il progetto BioPiattaforma Lab del Gruppo CAP con l’obiettivo di trasformare il termovalorizzatore vicino all’area urbana di Sesto San Giovanni in una biopiattaforma dedicata all’economia circolare carbon neutral, ovvero a zero impatto ambientale. Dopo un lungo percorso avviato del 2016, le operazioni di riconversione dei due biodigestori e la costruzione della nuova bioraffineria verranno finalmente avviate nel corso di quest’anno grazie al lancio di Circular Biocarbon.
Il progetto, finanziato dal consorzio pubblico-privato BBI-JU, metterà in campo un totale di 23 milioni di euro (di cui 2,5 assegnati a CAP) e renderà possibile l’utilizzo di una parte delle 30.000 tonnellate annue di rifiuti umidi raccolte nei comuni nella periferia di Milano (oltre Sesto San Giovanni anche Pioltello, Cormano, Segrate, Cologno Monzese e Cinisello Balsamo). Dopo una prima fase di studio e di rodaggio della catena di trasformazione, si stima l’avvio dei processi operativi già nel 2023.
Perché proprio Sesto San Giovanni? Il comune, situato nella periferia di Milano, risulta essere strategico e per questo da sempre storicamente legato alla tradizione industriale nel nord Italia. Dopo la comparazione con altre aree geografiche, valutazioni ambientali e consultazioni con gli stakeholder locali, la scelta è ricaduta proprio sulla struttura preesistente di Sesto. Ma, è logico chiedersi, quale impatto può avere – sia da un punto di vista ambientale che sociale – una simile realtà industriale nelle vicinanze di un centro abitato?
La bioraffineria, promette il progetto, avrà un impatto minimo sull'area grazie al riutilizzo perpetuo della materia e alla riduzione degli odori e delle emissioni. Il nuovo impianto, infatti, ridurrà le emissioni dei gas ad effetto serra dell'80% rispetto agli attuali valori annuali, permettendo allo stesso tempo un piano di monitoraggio continuo dell’aria, dell’acqua e di alcuni aspetti sanitari posti all’attenzione dai comitati cittadini. Un piano di simbiosi che in effetti non è solo industriale, ma soprattutto sociale.
Simbiosi industriale e sociale
“Bisogna formare i cittadini rispetto a quanto sarà realizzato. Aiutarle ad avere una visione completa – ha spiegato Desdemona Oliva, Direttrice Ricerca e Sviluppo per il Gruppo CAP, presentando il progetto – sia per quanto riguarda la reale comprensione del pericolo e delle possibilità di minimizzazione rischio, sia per quanto riguarda le opportunità. Perché si tratta di un’opportunità.”
“Abbiamo pensato a un percorso partecipativo su modello olandese – ha aggiunto – che prevede la costituzione di un comitato all’interno del quale ciascun cittadino può porre delle domande tecniche, sollevare dubbi e proporre soluzioni. Non si tratta di un percorso di facciata, ma di un iter fatto di concretezza e partecipazione”.
La costruzione della bioraffineria, dunque, è anche figlia di un percorso partecipativo con i cittadini e le varie organizzazioni sul territorio. Percorso fatto di momenti di formazione, informazione e soprattutto confronto diretto. Sia per sfatare falsi miti, sia per prendere coscienza dei possibili pericoli, della possibilità di minimizzare il rischio e, soprattutto, delle opportunità in gioco. Prima fra tutte quella di dare il via, in maniera concreta, a un sistema economico circolare basato sul riuso e il riciclo della materia.
Immagine: render della Biopiattaforma che sorgerà a Sesto San Giovanni