Espandere il lavoro da remoto, accelerare la digitalizzazione e l’automazione sono tra le tendenze messe in evidenza dal report The Future of Jobs 2020 redatto dal World Economic Forum. Secondo il WEF, i lockdown di quest’anno e la recessione globale causata dal COVID-19, se da un lato portano incertezza lavorativa, dall’altro spingono le aziende a modificare le modalità di lavoro e incentivano lo smart working. Il report stima che il 44% della forza lavoro abbia il potenziale di lavorare in remoto.
Tuttavia se in alcuni casi il passaggio allo smart working appare necessario e conveniente,
è bene analizzare i pro e contro anche a livello ambientale e sociale. Al di là degli interrogativi connessi al senso di comunità e di appartenenza tra impiegati che utilizzano strumenti digitali, delle sfide riguardanti benessere delle persone e dell’impatto sulle disuguaglianze che il passaggio al remoto provoca, è fondamentale valutare le conseguenze ambientali dello smart working sul lungo termine.

Una (presunta) riduzione di emissioni di CO2

Già nel 2018 lo studio Added Value of Flexible Working, commissionato da Regus, ha analizzato l’impatto del lavoro flessibile in sedici Paesi concludendo che la diffusione di quest’ultimo su larga scala potrebbe ridurre i livelli di anidride carbonica di 214 milioni di tonnellate l’anno entro il 2030. Per avere un’idea della portata, per sottrarre la stessa quantità di CO2 dall’atmosfera si dovrebbero piantare nei prossimi dieci anni 5,5 miliardi di alberi.
In effetti, il lavoro da casa produce una serie di impatti primari sulle emissioni di anidride carbonica. I cambiamenti principali sono, infatti, connessi al
consumo energetico degli edifici, specialmente per quanto riguarda il riscaldamento, il raffreddamento e l’illuminazione di abitazioni e uffici. Altri impatti sarebbero collegati alle tecnologie di informazione e comunicazione, vale a dire al numero e al tipo di device utilizzati come computer e stampanti. Lo stile di vita, che include le scelte alimentari e le attività ricreative, è anch’esso influenzato dallo smart working. Infine, si avrebbe un utilizzo minore di trasporti, con viaggi pendolari molto meno frequenti.
Visto in quest’ottica, lavorare da casa ridurrebbe le emissioni di anidride carbonica derivanti dai mezzi di trasporto, vi sarebbe un minore consumo di prodotti monouso, di cibi e bevande d’asporto che si traduce in minore spreco di cibo e scelte alimentari più sostenibili, meno imballaggi, stoviglie, tovaglioli, salse e cannucce monouso.

Trasporti, cibo, consumo energetico: il rischio di un rebound effect

Ma la questione non è così lineare: non è assiomatico che lo smart working vada di pari passo con la sostenibilità ambientale. Anzi, le variabili da valutare di volta in volta sono numerose. La semplice differenza di consumi energetici nelle varie stagioni o il lavoro a diverse latitudini che determina l’utilizzo o meno di riscaldamento o condizionatori, può far propendere l’impronta ambientale a favore, di volta in volta, del lavoro da casa o di quello in ufficio.
Il rischio di rebound effect - effetto rimbalzo - è molto alto soprattutto se viene messo in dubbio il trasporto pubblico, l’utilizzo di mense aziendali o se si considera la sostenibilità energetica di alcuni edifici.
Si pensi ai trasporti. Lavorando da casa i dipendenti non utilizzano quotidianamente treni, autobus o metro. Vi è, quindi, una riduzione di emissioni. Questo risparmio però può essere azzerato se una volta a settimana o una volta al mese per andare in ufficio i dipendenti scelgono di guidare da soli la propria autovettura. La stessa cosa non si può, invece, dire se si opta per la bici o se addirittura si decide di fare a meno della macchina anche in altre occasioni lavorative o personali.
Un discorso simile può essere fatto per il cibo. Le mense aziendali e i ristoranti forniscono pasti a una grande quantità di lavoratori con consumi che hanno delle notevoli economie di scala. Le alternative a ciò possono essere meno sostenibili: il take away quotidiano o la consegna a casa di cibo con le relative confezioni e imballaggi monouso non hanno necessariamente minore impatto ambientale.
Molto dipende anche da quali fonti, rinnovabili o fossili, provengono gas e luce presenti nelle abitazioni. Inoltre, se i sistemi di illuminazione, riscaldamento o di aria condizionata negli uffici non sono dotati di sensori di movimento o di sistemi intelligenti, il rischio è che gli edifici continuino a consumare il 100% dell’energia anche quando soltanto il 10% della forza lavoro si trova in ufficio. In tal caso il consumo raddoppierebbe se si considerano i lavoratori da remoto che accendono luci, laptop e impianti di riscaldamento nelle proprie case. Il consumo energetico aziendale forse diminuisce, ma l’impatto ambientale totale delle attività dell’azienda finirebbe per aumentare. I sistemi di gestione energetica negli edifici aziendali sono, di solito, più efficienti che nelle singole abitazioni dove magari potrebbe essere necessario riscaldare l’intero appartamento quando è in uso soltanto una stanza. Lo stesso discorso è valido per l’arredamento degli uffici: il rischio che ci sia un eccesso di produzione di tavoli, sedie, lampade una volta che il comfort degli uffici deve essere ricreato a casa.

TridosBank
Tridos Bank

Ripensare gli ambienti di lavoro, anche in smart working

Non si può pensare che tutti gli edifici siano uguali né che la sostenibilità ambientale oscilli univocamente a favore del lavoro da remoto o da ufficio. Come in molte occasioni, dipende. Se i dipendenti lavorano in un edificio certificato Platinum LEED (Leadership in Energy and Environmental Design) - il livello più alto possibile nel benchmark per gli edifici verdi - le abitazioni dei singoli dipendenti difficilmente possono competere per efficienza. A maggior ragione nel caso in cui si lavori in edifici aziendali costruiti come banche di materiali che, a fine vita, possono essere smantellati e i cui materiali possono trovare nuove destinazioni d’uso. Un esempio in tale direzione è la sede di Triodos Bank nei Paesi Bassi, edificio circolare ideato da RAU Architects (cfr. il volume “Material Matters” di Thomas Rau e Sabine Oberhuber), una “cattedrale” dominata dal legno e tenuta insieme da 165.312 viti, con un’impronta ambientale ridotta che difficilmente può essere battuta se si valuta la somma delle emissioni prodotte dai singoli dipendenti in lavoro da remoto.
Il rapporto tra smart working ed economia circolare può funzionare se instancabilmente si sceglie la soluzione più sostenibile, partendo anche da semplici scelte quotidiane come evitare di stampare e sprecare carta oppure optare per la luce naturale quando possibile. Ci sono grandi opportunità economiche in questa direzione che possono essere colte. Tutto sta nell’offrire ai lavoratori da remoto opzioni che abbraccino l’economia circolare e la sostenibilità.

Bakkerij 2
Bakkerij

Bakkerij è uno spazio di co-working ad Haarlem nei Paesi Bassi. Non solo sorge al posto dell’ex sede centrale del panificio Van Vessem, ma anche gli spazi collettivi destinati a piccoli imprenditori derivano da attività di upcycling. Sessanta vecchi container utilizzati per il trasporto e la conservazione del cacao, infatti, danno oggi vita a 54 postazioni di lavoro uniche e flessibili.
Accanto agli spazi, la necessità di
arredamenti da ufficio sostenibili è in crescita ovunque. Alcune aziende si sono mosse ben prima di IKEA. Senator Group, azienda inglese che offre arredamento per uffici, da anni produce arredi che sono dal 99% al 100% riciclabili, e già nel 2009 ha lanciato Sustain, divisione aziendale che ritira materiali dismessi, imballaggi e mobili in eccesso e li ricicla o li rigenera. L’impianto aziendale, costruito appositamente e costato 1,5 milioni di sterline, ha riciclato più di 270.000 articoli e ha sottratto, da quanto è stato creato, più di 7,5 milioni di kg di rifiuti dalla discarica.

Slean Desk as a service
Il modello Slean


L’azienda francese
Slean ha lanciato in quest’ottica di flessibilità il modello di business “scrivania come servizio” in cui l’azienda paga un abbonamento a tariffa fissa tutto incluso per avere un quantitativo di scrivanie e sedie ergonomiche, progettate e prodotte in Francia per creare un ufficio modulare e collaborativo che può essere modificato a seconda delle necessità quotidiane (l’azienda propone, ad esempio, una modalità “covid”, una collaborazione e una open space).
La percentuale di dipendenti e freelancer che lavorerà in remoto nei prossimi anni continuerà molto probabilmente a crescere. Per ridurre l’impatto ambientale di questa modalità lavorativa, sarà fondamentale ripensare la funzione di alcune zone delle città, riorganizzare gli spazi e le infrastrutture digitali delle aziende. Semplici, ma lungimiranti scelte potrebbero avere impatti esponenziali.
L’impronta ambientale che lo smart working avrà sul lungo termine sta tutto nelle decisioni personali e aziendali e in come queste saranno incentivate in un’ottica circolare e sostenibile.