In queste settimane abbiamo assistito all’orrore delle macerie del terremoto in Siria e Turchia, dove si stima i morti siano ben oltre 50.000. Un evento inevitabile che, a causa di un’edilizia di scarsa qualità figlia del boom economico, di costruttori sciacalli e della povertà strutturale, ha causato morti che in alcuni casi sarebbero state facilmente evitabili con costruzioni migliori. Il governo turco è corso ai ripari – le elezioni di aprile sono uno spauracchio per Recep Tayyip Erdoğan – facendo arrestare oltre 100 costruttori per negligenza. Il concorso di colpa è evidente: l’aver tagliato i costi, scegliendo materiali di pessima qualità o procedure di costruzione più rapide, ha determinato la morte di centinaia se non migliaia di persone in più. Di fronte a questo il mondo si è indignato.

Quando parliamo delle emissioni legate agli edifici esistenti nel mondo occidentale non ci viene da pensare a una catastrofe come quella turca. Non ci indigniamo di certo. Eppure l’edilizia in Europa contribuisce in modo significativo (35%) alle emissioni di gas serra. La maggior parte dell’inquinamento associato agli edifici deriva dal loro funzionamento, principalmente dal riscaldamento e dal raffreddamento, senza dimenticare però le emissioni legate ai materiali da costruzione, che rappresentano circa il 28% del totale del settore edilizia. Complessivamente, dunque, significa che un terzo dei danni economici, di salute e delle morti correlate al cambiamento climatico nel nostro continente è causato indirettamente dalle emissioni degli edifici. Secondo Eurostat, il climate change è costato ai cittadini europei una media di 14,5 miliardi di euro l’anno sotto forma di danni dovuti a fenomeni meteo estremi (quindi non sono conteggiati i danni all’agricoltura o quelli in termini di ore di lavoro perse). Quello che fa impressione, però, è il costo in termini di vite umane: nel solo 2022 ci sono state circa 20.000 morti addizionali causate principalmente dalle temperature sopra la media dell’estate. Un terzo di queste morti è imputabile agli edifici. E l’estate 2022 non è stata un’eccezione, ma un altro tassello in un trend destinato a peggiorare nel tempo. L’adagio vuole che questa potrebbe essere l’estate più fresca del resto della nostra vita

Dunque ridurre le emissioni dei nostri edifici è fondamentale. Per l’Europa gli edifici devono essere allineati all'ambizione climatica, come presentato nel piano per l'obiettivo climatico 2030 e rispecchiato nel Delivering the European Green Deal Package del luglio 2021. La Commissione UE punta a ridurre di - 60% le emissioni entro il 2030 nel settore edile rispetto al 2015 e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Lavorerà di pari passo con altre iniziative del pacchetto del Green Deal europeo, in particolare con la revisione del nuovo proposto sistema di scambio di quote di emissione per i combustibili utilizzati negli edifici, la direttiva sull'efficienza energetica, la direttiva sulle energie rinnovabili e il regolamento sull'infrastruttura per i combustibili alternativi.

Il governo Meloni e la direttiva per l’efficienza energetica delle case

Una delle proposte che ha acceso il dibattito è la Energy Performance of Buildings Directive (EPBD), sull’efficienza energetica dei 130 milioni di edifici dell’Unione. Secondo la Direttiva EPBD – che al momento è uscita in bozza dalla Commissione energia (quindi ancora ad uno stadio iniziale dell’iter legislativo) e che entrerà nel trilogo da marzo – si renderà obbligatorio il miglioramento del 15% degli edifici residenziali con le peggiori performance energetiche entro il 2030. Inoltre tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero dal 2028, il che significa eliminare gradualmente il riscaldamento a combustibili fossili, come metano e GPL. Al momento poi la proposta, come ha illustrato il relatore della EPBD, Ciaran Cuffe (Verdi), “lascia ampia flessibilità agli Stati per i loro Piani nazionali di ristrutturazione”.
Nonostante questo il governo Meloni, in particolare sotto la spinta del Ministro alle infrastrutture e trasporti, Matteo Salvini e gli europarlamentari della Lega, ha trovato terreno fertile per fare demagogia politica (dimenticando persino di difendere gli interessi dei costruttori del Nord che un tempo votavano compattamente la Lega). A lanciare l’allarme sulla proposta legislativa è stata subito l’Ance, l'associazione nazionale dell'edilizia che ha previsto extra costi per 400 miliardi di euro nei prossimi dieci anni. Non è chiaro esattamente per chi, né come sia stata calcolata la cifra. Ma per Salvini&Co la “Direttiva UE su energia e case è una imposizione folle", affermazione che ha costretto il Ministro Gilberto Pichetto Fratin, che invece aveva sostenuto la direttiva, a spiegare sul IlSole24ore come di fatto non sarà un’imposizione ma una direttiva che offre larghe maglie per il recepimento.

Il pasticcio Ecobonus

Intanto però a Roma è caos. Nel tentativo di sostenere la riforma del fisco, quella delle pensioni, gli incentivi alla natalità, tutti temi cari a Giorgia Meloni, il governo ha varato repentinamente lo stop alla macchina degli incentivi edilizi. Con il divieto della cessione dei crediti e lo sconto in fattura, va ad arrestare una misura, controversa e in parte discutibile, nata proprio per efficientare il patrimonio immobiliare degli italiani. Certo l’Ecobonus ha funzionato solo in parte: costato circa 2000 euro a persona, tra interventi inesistenti (sono 7,5 miliardi di euro i bonus ottenuti per operazioni illecite, secondo la Guardia di Finanza), uso di materiali scarsi o ad alto impatto carbonico, cappotti di dubbia fattura, pannelli fotovoltaici di improbabile provenienza, mancanza di una reale rendicontazione dell’impatto in termini di emissioni di CO2 della misura, non sembra aver ottenuto gli obiettivi rimasti.

Però al momento non ci sono soluzioni alternative: nessuno al governo sembra aver chiaro il percorso che porterà a metà secolo alla neutralità carbonica sugli edifici. O anche solo a ridurre le emissioni al 2030, che oramai è domani. Il taglio dell’Ecobonus non arriva con una reale alternativa per riqualificare il patrimonio esisteste o ripensare i nuovi edifici. Certo rimane in vigore la detrazione fiscale portata in dichiarazione dei redditi, che tuttavia richiede che prima si spenda per poi recuperare nel tempo la somma, favorendo i redditi alti e le Partite IVA forfettarie. Per il settore delle costruzioni si rischia di fermare il settore, mettendo a rischio di fallimento più di 25.000 imprese. Il governo si limita all’invettiva contro Bruxelles, svende le coste ai balneari (che in 10 anni si troveranno in ginocchio a causa dell’erosione costiera causata dal cambiamento climatico), non parla di legge sul suolo e non ha nessuna strategia pronta per decarbonizzare il settore edile. Questa è la cruda realtà.

Qualche spunto per decarbonizzare (davvero) l’edilizia

Siccome però bisogna essere sempre costruttivi, cerchiamo di offrire spunti e suggerimenti.
Per prima cosa servirebbe misurare i bonus conteggiando l’impatto sui consumi energetici e idrici reali (cioè misurati a contatore) dove il rimborso del bonus, da erogarsi nella formula più idonea (qua si lascia la parola agli esperti tributari), si lega inequivocabilmente ai risparmi generati, conteggiati direttamente sulla bolletta. Infatti si può ristrutturare un edificio in classe A+++ e poi non saperlo usare e continuare, tra finestre aperte, incapacità di manutenere gli impianti, ad emettere CO2 in quantità.

Serve poi una task force sulle certificazioni: dall’APE alle grandi certificazioni private, come LEED, spesso la certificazione non equivale a una reale riduzione delle emissioni. C’è bisogno di un ripensamento ed aggiornamento oggi, che vede tra Well, BREEAM, LEED, CasaClima e via dicendo un numero di certificazioni non sempre efficaci nell’ottenere riduzioni significative, quanto piuttosto un bollino per far aumentare il valore immobiliare delle grandi proprietà.

Va considerato poi l’obbligo ad affittare tutte le case sfitte, pena una maxi-tassa. Questa è una misura che colpirebbe soprattutto chi dispone di varie proprietà e le tiene vuote per speculare sui prezzi (parliamo di proprietari con 10 e più immobili nelle grandi città). L’esempio da copiare è quello del Portogallo che sta varando una misura in questo senso per risolvere il problema del caro-affitti. Questo limiterebbe inoltre il numero di case nuove da costruire e ristrutturare e si potrebbe legare uno sconto fiscale a chi per affittare l’edificio fa efficientamento energetico (il risparmio energetico si può conteggiare come extra nell’affitto).

C’è poi il tema del costo carbonico delle ristrutturazioni (o nuove costruzioni) fatte in maniera non intelligente, senza sistemi modulari, circolari, realizzati con l’uso di sistemi informatizzati, oppure favorendo materiali davvero sostenibili, come il legno al posto del cemento, e circolari (rendendo obbligatorio il recupero dei materiali da demolizione ove possibile). Ad oggi i lavori che facciamo, inclusi quelli di efficientamento in molti casi sono impattanti in termini di emissioni complessive equivalenti. In questo senso spetterebbe ad ANCE, CDP e Ministero delle infrastrutture lavorare per ripensare codice degli appalti, che ahimè approda già vecchio il 1° aprile 2023. Altra occasione sprecata.

Questa mancanza di un ampio dibattito su cosa siano gli edifici verdi, rischia di far spendere un sacco di soldi per una decarbonizzazione che rimarrà incompleta, con buona pace degli obiettivi 2050, ma anche 2030. Ridurre il discorso a qualunquismi di stampo populista non serve ai cittadini, ai lavoratori, alle imprese. Senza un dibattito sano il risultato sarà che dovremo pagare sia la riqualificazione degli edifici in chiave di sostenibilità (che non avrà impatto concreto), sia i danni da cambiamento climatico, dovuti all’incapacità di aver tagliato le emissioni sul serio. Purtroppo di questa discussione non si vede nemmeno l’inizio.

Immagine: Bosco Verticale, Milano (Envato Elements)