Cinquanta giorni: tanti separano l’appuntamento sul clima di Milano, la Youth4Climate e la Pre-COP26 dal negoziato fondamentale di Glasgow, la COP26. Un complesso percorso ad ostacoli dove la diplomazia italiana e quella inglese dovranno giocare una partita difficilissima in un’arena densa di squadre, dagli Usa alla Cina, dall’India all’Unione Europea, passando per i tanti paesi in via di sviluppo che chiedono supporto per decarbonizzare le proprie economie.
Il puzzle del clima da comporre in tempo per la COP26
In questi cinquanta giorni andranno sistemati tutte le tessere del puzzle. Innanzitutto c’è la chiusura di tutti gli articoli per l’implementazione dell’Accordo di Parigi – su tutti la finanza climatica e i meccanismi di verifica e trasparenza per monitorare le azioni di decarbonizzazione di ogni stato, al fine di verificare i reali progressi di decarbonizzazione – e l’annuncio dei nuovi NDC, i nationally determined contributions. Quest’ultimi sono gli impegni che ogni paese deve prendere secondo quando sottoscritto dai 197 paesi nell’Accordo di Parigi, e che ogni cinque anni devono essere rinnovati aumentando l’ambizione (ad esempio l’obiettivo FitFor55 dell’Unione Europea) e presentati a tutti i paesi firmatari del Paris Agreement. “Senza impegni politici e impegni finanziari da parte delle nazioni industrializzate, c’è un alto rischio di fallimento della COP26”, ha dichiarato il 20 settembre il segretario generale dell’Onu, António Guterres al Forum of Major Economies on Energy and Climate. “Le nazioni del G20 sono responsabili dell’80% delle emissioni globali. La loro leadership è più necessaria che mai. Le decisioni che prenderanno determineranno se la promessa fatta a Parigi sarà mantenuta o infranta”.
La Pre-COP26 di Milano, il momento d’incontro tra i negoziatori di 51 paesi per lavorare su alcune proposte specifiche da presentare al negoziato principale di Glasgow sarà sicuramente un momento importante. Dal 30 settembre al 2 ottobre si tenterà di sciogliere diversi nodi ancora in sospeso attraverso il lavoro di funzionari, delegati e diplomatici chiamati a raggiungere compromessi validi per tutti. Ma il momento davvero decisivo sarà a fine ottobre quando si concluderanno i lavori del G20.
Gli obiettivi diplomatici della Pre-COP26 e il ruolo dell’Italia
In tutto questo l'Italia non gioca un ruolo secondario. Per garantire il successo diplomatico della COP26 bisognerà guardare all'incontro di chiusura del G20 che si terrà a Roma dal 30 al 31 ottobre. Per il Ministro degli Affari Esteri Luigi Di Maio questo è un passaggio estremamente delicato da gestire, per varie ragioni. Innanzitutto la nota vicinanza del Ministro con l’ambasciata cinese a Roma e i buoni rapporti mantenuti dall’Italia con Pechino, fanno dell’Italia un interlocutore privilegiato, fondamentale per trovare la quadra specie con gli Usa. Numerose fonti hanno confermato l’importanza dell’Italia nel cercare di avvicinare la Cina ad un accordo sul final communiqué di Roma specialmente sulla questione climatica, cercando così una base per un accordo a Glasgow.
Gli obiettivi da raggiungere per Di Maio e Draghi non sono pochi. Nel comunicato sarebbe importante una menzione su un obiettivo di lungo termine sulla dismissione del carbone come fonte di energia, tema che sebbene metta in difficoltà l’India, ha trovato una sponda nella Cina con il suo impegno di fermare la costruzione di nuove centrali a carbone all’estero. Si lavora anche per includere un target di riduzione delle emissioni di metano, un potente gas climalterante, di almeno del 30%. Questo è un punto fortemente voluto dagli Usa su cui i paesi membri potrebbero convergere facilmente.
Il tasto dolente della finanza climatica
Più difficili gli impegni sulla finanza climatica. Draghi dovrebbe annunciare nei prossimi giorni a Milano il raddoppio dell'impegno di spesa italiana a supporto dei paesi meno sviluppati per mitigazione e adattamento, portandolo a 1 miliardo di euro l'anno. Poco, sostengono vari commentatori.
“Le stime per un contributo equo dell'Italia parlano di 4 miliardi di dollari l'anno a fronte finora di un contributo medio annuale di 500 milioni di euro (mentre Germania e Francia già oggi mobilitano almeno 5 miliardi di dollari)”, scrive Luca Bergamaschi, del think tank ECCO, in un editoriale su Repubblica. “Attraverso un'azione concertata di Mite, Maeci e Mef, in sincronia con Cdp e Sace, l'Italia può raggiungere il traguardo ben entro il 2025. Serve però un mandato politico forte da parte di Draghi per attivare un percorso di riforma interno di allocazione, tracciamento e monitoraggio delle risorse per il clima”.
Il negoziato dei giovani e quello dei Grandi
A preoccupare c’è lo scarso personale allocato per la missione. Su tutte pesa la mancata nomina del climate envoy, una sorta di inviato diplomatico – diverso dal capo negoziatore, in questo caso la bravissima Federica Fricano del MITE – , che dovrebbe garantire il lavoro dietro le quinte con tutti gli attori del G20 e poi con le parti più riottose alla COP26. Non è chiaro se sia Cingolani a frenare, o sia una guerra di attribuzione tra Maeci e Mite. Certo un segnale imbarazzante, questo vuoto, proprio nelle ore in cui 400 ragazzi stanno negoziando a Milano per un testo da presentare agli adulti.
Il 30 settembre i ragazzi con buona probabilità troveranno facilmente un accordo sul testo da presentare alla Pre-COP26, ambizioso e concreto. Lo stesso si potrà dire per il negoziato dei Grandi?