Dopo più di 10 anni di negoziati, nella notte tra sabato 3 e domenica 4 marzo presso la sede delle Nazioni Unite a New York è stato raggiunto un accordo storico sulle acque d’altura.
Il Trattato, legalmente vincolante per gli Stati che lo adotteranno formalmente, istituisce un quadro giuridico globale per la creazione e la gestione di Aree Marine Protette (AMP) in un’area - come quella delle acque d’altura – che, pur costituendo quasi i due terzi della superficie globale di mari e oceani, ha beneficiato fino ad oggi di una protezione pari solo all1% della sua intera estensione.
Aree marine protette per tutelare la biodiversità degli oceani
Le aree marine protette che nasceranno grazie al trattato, porranno formalmente un limite alle rotte di navigazione, alle attività di pesca, di esplorazione ed estrazione - un tema, quest’ultimo, particolarmente importante in un momento storico in cui il dibattito sull’estrazione di minerali dai fondali oceanici è a un nodo cruciale.
In particolare, il deep sea mining minaccia un luogo considerato per molto tempo praticamente disabitato e che, invece, si è rivelato brulicante di vita: il fondo oceanico copre infatti oltre il 50% della superficie del pianeta e può essere facilmente immaginato come un vero e proprio continente dove la varietà di organismi presente è effettivamente alta nel suo complesso, anche se non in tutti i phyla. A dominare, qui, sono batteri, anellidi e artropodi, così come i molluschi, mentre i rappresentanti della megafauna sono piuttosto rari e riguardano specie come lo squalo frangiato o lo squalo goblin che raggiunge lunghezze comprese tra i 2,6 e 3,2 metri ed è stato trovato anche a 1300 metri di profondità. I fondali oceanici sono luoghi dinamici dove persino le stagioni si avvicendano in modo simile a come avviene nelle acque superficiali e in cui una biodiversità stravagante e varia, sviluppata in secoli di evoluzione, è ora minacciata dalle attività estrattive.
Per supervisionare sull’implementazione del Trattato saranno organizzati incontri annuali (COP) così come già accade nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici e della Convenzione sulla Diversità Biologica.
Il primo tentativo di regolamentare una delle aree più fragili e fondamentali del Pianeta risale al 1982 quando i Paesi membri delle Nazioni Unite hanno ratificato la Convenzione sul diritto del mare che istituiva un’area - chiamata appunto Acque d’Altura - in cui, nell’ottica della condivisione delle risorse, tutti i Paesi avevano il diritto di pescare, navigare e fare ricerca. Una situazione che, considerata l’innata propensione umana di non porre limite all'accaparramento delle risorse naturali, ha comportato il degrado e il sovrasfruttamento di un ecosistema fragile e importantissimo. A questo hanno fatto seguito il Trattato sull’estrazione di minerali dal fondale oceanico (1994) e quello sulla gestione degli stock ittici (1995).
Cosa sono le acque d'altura e perché la loro protezione è fondamentale
Le acque d’altura sono un’area che si trova a 200 miglia nautiche dalle acque territoriali, un volume enorme che rappresenta l’habitat di specie ed ecosistemi unici al mondo, tanto da rappresentare il 95% della biosfera del Pianeta, e che è stato definito l’ultimo avamposto della natura selvaggia.
Ma la loro importanza è legata anche all’economia visto che sostengono la pesca globale, da cui dipendono miliardi di persone, e sono un alleato fondamentale contro la crisi climatica: l'oceano, infatti, produce non solo la metà dell’ossigeno che respiriamo ma negli ultimi decenni ha assorbito circa il 90% del calore in eccesso provocato dalle sempre maggiori concentrazioni di gas ad effetto serra prodotte dalle attività umane.
In un momento storico in cui la caccia all’ultimo Eden è rimasta aperta per decenni a causa di interessi legati alla pesca e ad un mancato accordo sui finanziamenti, il Trattato sulle acque d’altura rappresenta un enorme passo avanti per la protezione delle specie marine globali di cui, secondo l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), quasi il 10% è a rischio di estinzione a causa di inquinamento, sovrasfruttamento e degli effetti dei cambiamenti climatici. Esso, inoltre, è uno strumento fondamentale per raggiungere l'impegno contenuto nell’Accordo Kunming-Montreal, adottato nel corso della Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sulla Diversità Biologica, che tra le varie richiede agli Stati di proteggere almeno il 30% delle terre e dei mari di tutto il mondo entro il 2030.
Come sempre accade, tuttavia, ampi margini di miglioramento possono e devono essere previsti nel più breve tempo possibile. Il Trattato sulle Acque d’Altura, che prima di entrare in vigore dovrà essere ratificato da 60 Paesi, contiene infatti delle clausole che consentono ai firmatari, in determinate circostanze, di rinunciare all’istituzione di Aree Marine Protette. Esso, inoltre, consente agli organismi già responsabili della regolamentazione delle attività di trasporto e pesca commerciali, e di estrazione, di continuare a farlo senza per ora dover seguire e adottare gli standard di valutazione di impatto ambientale stabiliti dal nuovo Accordo. Un limbo pericolosissimo per le risorse marine che, anche se si rinnovano in tempi molto più brevi rispetto a quelle terrestri, hanno bisogno di protezione immediata a causa della loro estrema fragilità.
Immagine: Talia Cohen (Unsplash)