La giornata di oggi, 4 novembre 2020, segna l’uscita ufficiale degli USA dall’Accordo di Parigi. Mentre si attendono i risultati finali dal Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, Arizona, a un anno di distanza dalla richiesta ufficiale da parte della Casa Bianca all’UNFCCC, entra in vigore la fuoriuscita dall’accordo storico sul clima firmato il 12 dicembre 2015. Per Trump una vittoria, per un accordo che ha definito “un massacro di posti di lavoro" e "una punizione del popolo americano mentre arricchisce gli inquinatori stranieri". Gioiscono i suoi sostenitori negli stati fossili, come Pennsylvania (che lo ha premiato per questo) e Oklahoma.
Chi è fuori dall’Accordo di Parigi sul clima
Non essendo un trattato ma solo un accordo non direttamente vincolante, gli USA non devono modificare nessun regolamento o legge federale. Però l’impatto è significativo: gli Stati Uniti pesano il 14% delle emissioni globali e hanno un indice di emissioni pro capite tra i più alti del mondo. In questo modo viene a mancare una leva chiave per il mondo economico e la società civile per perseguire gli obiettivi proposti da Obama di ridurre le emissioni del 28% al 2025 (rispetto ai livelli del 2005). E gli obiettivi di Parigi si allontanano per tutti, rimettendo la palla al centro della diplomazia climatica, con Europa e Cina che ora hanno il dovere di portare avanti l’architettura globale nei negoziati della COP26 (attesa il prossimo anno a Glasgow) senza la principale potenza (inquinatrice) globale.
Washington dunque ora si trova in compagnia degli altri sette paesi che hanno firmato originariamente ma non adottato formalmente l'Accordo di Parigi: Angola, Eritrea, Iran, Iraq, Sud Sudan, Turchia e Yemen. Una compagine non certo rinomata per posizioni progressiste.
Gli USA e la riduzione delle emissioni
L’uscita dal Paris Agreement non significa necessariamente un rapido aumento delle emissioni. Nonostante le molteplici iniziative per spingere l’industria petrolifera e quella carbonifera, il settore delle rinnovabili è cresciuto ovunque, inclusi negli stati repubblicani, come il Texas. Inoltre, più di 600 governi locali negli Stati Uniti hanno sviluppato dei Climate Actions Plans (CAPs) che includono inventari di gas serra e obiettivi di riduzione. Ma spesso questi piani non hanno avuto l’impatto sperato. Secondo un report del Brookings Institute meno della metà delle principali città americane hanno un CAP, mentre coloro che hanno degli obiettivi, nella maggioranza dei casi sono lontani dal target di contenere l’aumento medio delle temperature globali entro 1,5°C (dunque zero emissioni di origine antropogenica nette al 2050). Due terzi delle città con CAP sono lontani dal raggiungimento di questi obiettivi. Un quadro federale per ridurre le emissioni rimane centrale per permettere agli USA di raggiungere gli obiettivi di riduzione al 2030 e al 2050. Ma se Trump venisse riconfermato questa finestra si ridurrebbe drasticamente, rendendo impossibile il raggiungimento dell’obiettivo proposto da Obama al 2025.
Il futuro del clima al voto
Fortunatamente per gli USA rientrare all’interno dell’Accordo di Parigi è un processo estremamente semplice. L'ex vicepresidente Joseph R. Biden Jr. ha ribadito di voler rientrare nel framework internazionale il primo giorno della sua presidenza, se raggiungesse la soglia chiave di avere 270 grandi elettori a livello federale. In termini pratici ciò significa che il giorno dell'inaugurazione, il 20 gennaio, la sua amministrazione invierebbe una lettera alle Nazioni Unite per notificare l'intenzione dell'America di ricongiungersi. Il ritorno americano diventerebbe ufficiale 30 giorni dopo, il 19 febbraio 2021. Una strategia per promuovere il piano 100% energie rinnovabili da 2mila miliardi di dollari, finalizzato a sostenere la transizione ecologica e raggiungere la carbon neutrality al 2050.
“La crisi climatica è ancora peggiore della crisi sanitaria, economica e sociale legata al coronavirus. Spero quindi che dal voto degli Usa emerga un cambio di passo su entrambi i fronti. - commenta la deputata LeU Rossella Muroni - Trump ha scommesso sul rilancio del carbone e considera il cambiamento climatico una bufala proprio come il covid, ma è stato smentito dalla realtà. Al contrario Biden considera il cambiamento climatico una ‘minaccia esistenziale’ e ha annunciato ingenti investimenti per decarbonizzare la rete elettrica e anche l’economia. Da che parte della storia stanno gli Usa non è indifferente. Per il pianeta, spero che gli americani abbiano scelto il futuro e non i soliti vecchi fossili”.
Il futuro del clima insomma passa per una manciata di voti, al momento stoccati nelle centrali elettorali di quattro stati chiave, che potranno confermare o rimandare a casa il presidente più reazionario, clima-negazionista e bugiardo degli ultimi cento anni.