È un esempio perfetto dell‘effetto farfalla. E mai metafora è stata più adatta. Proprio dal declino delle farfalle, delle api e di molti altri insetti impollinatori parte infatti un circolo vizioso che finisce con la morte di centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo ogni anno. Almeno mezzo milione di decessi prematuri. La stima, considerata peraltro prudenziale, è contenuta in un nuovo studio internazionale pubblicato sulla rivista Environmental Health Perspectives. Tra gli autori, docenti e ricercatori di Oxford, Harvard e Columbia University.
Per capire meglio: questi dati sono analoghi al numero di morti causate ogni anno dall’uso di sostanze stupefacenti o dal cancro alla prostata.
Ma quale legame unisce il crollo del numero di impollinatori con la nostra salute? Ovviamente, il cibo. In particolare frutta, verdura e tutti quegli alimenti essenziali per una dieta salubre. Meno impollinatori significa minore disponibilità di tali prodotti (e quindi un aumento del loro prezzo). Il che li fa man mano scomparire dalle tavole di tutto il mondo.
Il legame tra impollinatori, cibo e salute umana
Per il loro calcolo, i ricercatori hanno fatto riferimento a un lavoro pubblicato nel 2016 su Science. Tale studio aveva il merito di stimare quanta parte del divario di produzione agricola tra le aziende medie e quelle che assicurano la maggior parte dei raccolti fosse legata a una insufficiente impollinazione. Per questo, avevano monitorato 344 campi agricoli, dipendenti da 33 insetti impollinatori in tutto il mondo. Da quello studio emerse che circa il 25% del divario di rendimento era probabilmente legato alla perdita dal più importante dei servizi ecosistemici assicurati dagli impollinatori.
Partendo da quella base, il gruppo di lavoro ha calcolato che il calo del numero di insetti ha causato una diminuzione del 4,7% della produzione di frutta e noci e del 3,2% della produzione di verdure. A quel punto sono passati ad analizzare il legame tra vita sana e la disponibilità quotidiana di tali alimenti sulle nostre tavole.
“Abbiamo stimato in che modo mangiare più di questi cibi sani gioverebbe alla salute”, spiega Matthew Smith, ricercatore presso il Dipartimento di salute ambientale di Harvard e autore principale della ricerca. “Per fare questo ci siamo basati su una solida ricerca epidemiologica che ha collegato un maggiore consumo di frutta, verdura e noci alla riduzione della mortalità per molte delle principali malattie croniche come patologie cardiache, ictus, tumori e diabete”.
I più colpiti? I Paesi a medio reddito
La ricerca va poi più nello specifico a indagare in quali aree del mondo il legame tra morti premature e declino degli impollinatori è più forte. Secondo le loro analisi, le nazioni più colpite sono quelle a medio reddito. Russia, Cina e India, in particolare. Zone in cui già esiste una elevata propensione alla morte per cancro, diabete e ictus. L’impatto sui Paesi ricchi è invece meno forte perché la loro popolazione è mediamente più in grado di sostenere l’aumento dei prezzi di frutta e verdura.
Paradossalmente, le aree meno interessate sono però quelle in cui è già oggi maggiore l’insicurezza alimentare, come Africa subsahariana e America Latina. Ma il paradosso è solo apparente: “Molti di quei Paesi sono a basso reddito – spiega Smith – e quindi già oggi i prodotti sani sono per loro inaccessibili. Peraltro sono aree in cui le malattie croniche sono molto meno diffuse che nei Paesi più ricchi”.
Ciò non significa comunque che anche fra i territori più poveri il declino degli impollinatori non sia comunque un problema. In Paesi come Indonesia, Vietnam e Myanmar, il consumo di frutta è diminuito del 7-15% a causa del declino di api e altri insetti, un tasso mediamente superiore a quello registrato in altri Stati. E gli stessi Paesi soffrono di tassi di ictus decisamente più alti rispetto alla media globale.
Preoccupazioni e soluzioni per il futuro
Peraltro, l’aumento della popolazione umana a livello mondiale, che ha già superato gli 8 miliardi di individui ed è stimata a 9,7 miliardi entro metà secolo, non potrà che peggiorare le stime. Aumenterà infatti la richiesta di alimenti frutto di impollinazione (dagli insetti dipende infatti non meno del 75% delle materie prime alimentari). “Per soddisfare le esigenze avremo bisogno di aumenti significativi nella produzione alimentare impollinata,” ricorda Smith. “Quindi o aumentiamo in modo significativo il numero di impollinatori selvativi oppure saremo costretti a rafforzare l’agricoltura convenzionale intensiva, che però danneggia il nostro ambiente globale, con enormi quantità di gas serra, inquinamento del suolo, contaminazione e depauperamento dei bacini idrici, esaurimento delle risorse necessarie per fertilizzanti, perdita di biodiversità”.
Da qui l’appello a proteggere gli habitat per gli insetti impollinatori e creare soluzioni per stimolarne la crescita. Rimedi che possono essere sviluppati a molti livelli diversi: dal singolo agricoltore fino al governo nazionale o in ambito sovranazionale. Riservando ad esempio piccole aree in ogni azienda agricola per il loro foraggiamento. Allo stesso tempo, secondo Smith è necessario proseguire nella “progressiva eliminazione dell’uso dei pesticidi nocivi per la vita delle api e di altri insetti utili, a partire dai neonicotinoidi”.
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