Come si vive nelle città italiane? Da nord a sud la popolazione deve lottare con l’aria inquinata e con spazi verdi spesso molto limitati. Lo dimostrano i dati raccolti dall’Atlante europeo dell’ambiente e della salute, piattaforma interattiva online lanciata dall’Agenzia europea dell’ambiente.
Si tratta di una mappa dell’Europa, colorata con sfumature più o meno intense dal verde al rosso, a seconda della presenza di componenti nocive nell’atmosfera o di altri indicatori di rischio, connessi alla crisi climatica. Solo a colpo d’occhio, le principali aree metropolitane italiane mostrano uno scenario preoccupante.
A destare l’allarme in Italia non è solo la concentrazione di polveri sottili nell’atmosfera e di altre sostanze, con i picchi di Torino e Milano. Anche le difficoltà delle amministrazioni locali nel prevenire e gestire i fenomeni estremi legati al surriscaldamento globale, come le ondate di calore, rappresentano un pericolo per gli abitanti dei centri urbani. Il risultato è un alto tasso di morti premature, soprattutto tra gli anziani e le fasce più povere della popolazione. Secondo le stime dell’Agenzia, nell’ultimo triennio gli abitanti delle principali città della penisola hanno perso tra i 500 e i 1000 anni di vita.
Pianura Padana, il traffico e l’aria irrespirabile
In tutte le regioni italiane la quasi totalità dei cittadini (95-100%) è esposto a sostanze dannose in quantità superiori ai 5 µg/mᵌ, la soglia di sicurezza individuata dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). La nostra tendenza nazionale è in linea con quella europea: nonostante un leggero miglioramento rispetto alle analisi del periodo 2005-2020, infatti il 97% della popolazione è a rischio. Le uniche eccezioni virtuose sono quelle dei Paesi scandinavi, dove spesso meno del 50% della popolazione respira inquinanti nell’aria.
Lo stesso non vale per le principali città italiane. La maglia nera per le polveri sottili PM₂.₅ è di Milano e Torino, che hanno una concentrazione rispettivamente di 20,90 μg/ mᵌ e di 23,5 µg/ mᵌ, superiore dunque a quella media di circa 19,90 µg/mᵌ delle loro regioni di riferimento. Secondo i calcoli sulla mortalità precoce, in queste due città in soli tre anni, tra il 2018 e il 2020, si sono persi 1182 e 1112 anni di vita, ogni 100mila abitanti, a causa delle componenti del particolato. Guardando ai dati sulle morti evitabili, è come se, nello stesso periodo di tempo, un assassino silenzioso avesse ucciso 124 vittime nel capoluogo lombardo e 116 in quello piemontese.
La situazione è però critica in tutta la Pianura Padana, dove si registrano anche i 16,9 µg/mᵌ di Bologna. La sua posizione, tra Alpi e Appennini, causa un ristagno degli inquinanti. Il particolato finissimo viene emesso nell’atmosfera soprattutto attraverso i tubi di scappamento delle auto sulle strade. La soglia critica viene superata quindi facilmente in tutte le città più trafficate. Al centro e al sud Italia però lo scenario è meno preoccupante, secondo le valutazioni dell’Agenzia. A Roma la quantità di PM₂.₅ si attesta sui 14,9 µg/ mᵌ, oltre la media di circa 11 µg/ mᵌ del Lazio. Anche nella più piccola Firenze la quantità è di 13,2µg/ mᵌ, mentre Napoli fa segnare 13,4 µg/ mᵌ e Palermo 11,3. Anche nella provincia siciliana, la più virtuosa nello scenario italiano, nell’ultimo triennio la popolazione ha perso 484 anni di vita, mentre le morti evitabili sono state 50.
Le dimensioni del centro urbano non sono una giustificazione. Una città come Parigi, che da anni sta mettendo in pratica politiche per favorire una mobilità sostenibile e abbandonare i combustibili più impattanti, come il diesel, ha una concentrazione di polveri sottili pari a 13.6 µg/ mᵌ, nonostante i suoi 2,2 milioni di abitanti, cioè quasi il doppio di quelli di Milano.
Gli altri inquinanti
Anche per il biossido di azoto (NO₂) nessuna delle città italiane rientra nei livelli consigliabili, per l’OMS, di 10 µg/mᵌ. La loro quantità è in calo da diversi anni, ma nei grandi centri e nelle loro province lo respira la maggior parte delle persone (tra il 96 e il 100%). Nelle vicine aree rurali però, in particolare al centro Italia, la concentrazione è nettamente minore. Anche se Roma fa segnare 36,90 µg/ mᵌ, nei dintorni se ne registrano solo 16,10 µg/ mᵌ di NO₂, che affliggono un quarto della popolazione.
Diversi sono i casi di Milano e Torino. Punti rossi sull’Atlante europeo, la prima supera di gran lunga la media della sua area di riferimento (15-25 µg/ mᵌ), con 41,8 µg/ mᵌ, mentre la seconda si attesta sui 34 µg/ mᵌ. A Bologna, seppure la concentrazione di biossido d’azoto sia il doppio di quella consigliata, la situazione è meno drammatica, con una concentrazione pari a 25,8 µg/ mᵌ.
Lo stesso vale per Napoli (22 µg/ mᵌ) e Firenze (25.2 µg/ mᵌ). Invece Palermo, complice l’esposizione alle correnti del Mediterraneo, è l’unica grande area metropolitana vicino alla soglia di sicurezza (12.3 µg/ mᵌ). Per dare un’idea dei danni alla salute del NO₂, nelle città del nord causa una perdita fino a quasi 500 anni di vita. Si va dal minimo di 128 anni per i cittadini di Palermo ai 494 del capoluogo della Lombardia, nel triennio di riferimento 2018-2020.
Mentre il particolato finissimo e il biossido d’azoto sono in calo, anche grazie ai progressi tecnologici del settore automobilistico, lo stesso non vale per l’ozono (O₃). Si tratta di un inquinante che si forma direttamente nell’atmosfera, a causa di una serie di reazioni chimiche generate da diversi gas serra. L’Europa meridionale, quindi anche l’Italia, mostra delle concentrazioni più alte, complice l’esposizione prolungata al sole.
Nel nord della penisola si toccano i picchi anche di questo inquinante, con i 7564,3 µg/mᵌ al giorno, i 7122,6 di Torino e i 6481,1 di Bologna, dove riguarda però solo un quarto degli abitanti dell’area urbana. In generale, Lombardia ed Emilia – Romagna mettono a segno una serie di record negativi: anche secondo rapporto dell'Alleanza europea per la salute pubblica (Epha), lo scenario è critico anche a Brescia, Lecco, Bergamo, Milano, Piacenza. Nel sud della penisola le cifre sono più basse sia per quanto riguarda la popolazione esposta sia per la quantità di ozono nell’atmosfera (attorno ai 5000 µg/mᵌ). A Roma, per esempio, è pari a 4372,3 µg/mᵌ e impatta soltanto sul 3,94% dei cittadini.
Chi paga di più
L’inquinamento non colpisce in maniera uniforme tutta l’Europa. Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, tende invece a infierire sulle regioni più povere, localizzate soprattutto nell’Europa orientale e meridionale.
La provincia di Milano è un’eccezione. Pur rientrando nelle zone più ricche d’Europa e del continente, con un Pil pro capite di 55.600 euro (dati 2019), rientra nelle aree con l’aria più irrespirabile del continente. Fa registrare un’esposizione media di 21,8 persone per ogni µg/mᵌ di polveri sottili. Questo significa che, nell’arco di tre anni, gli inquinanti possono causare problemi di salute a più di 200 persone. Un avvelenamento che riguarda poco meno di 70 vittime all’anno.
A Torino, che rientra tra le zone con un reddito medio (33.600 euro di Pil pro capite), il dato è invece di poco inferiore, 20,8 persone per ogni µg/mᵌ di polveri sottili. Mentre a Bologna, dove il Pil per abitante è di 42.200 euro, si scende a 15 persone ogni µg/mᵌ di PM₂.₅. Nella Capitale d’Italia, la cifra è simile, sia a livello di ricchezze (39.300 euro) sia incidenza delle sostanze dannose (14,40 persone).
A Firenze invece, dove è più consistente la fascia benestante (42.900 di Pil pro capite), vista anche la forte tradizione imprenditoriale e agricola della zona, l’esposizione è più bassa: 12,7 abitanti per ogni µg/mᵌ di PM₂.₅. Diversi i casi di Napoli e Palermo. Nel capoluogo campano il Pil pro capite è considerato molto basso (20.300 euro). Il dato di esposizione alle polveri sottili riguarda però 14,1 persone, cioè 156 ogni tre anni, poco meno di quelle che si contano a Milano. Palermo, nonostante il reddito ridotto (19.400 euro), è la città più virtuosa, con il dato di 10,20 individui per ogni µg/mᵌ.
Tra coloro che risentono di più delle conseguenze dell’aria contaminata, secondo l’AEA, ci sono gli anziani. Nelle principali città italiane un numero tra i 20 e i 25 abitanti, over 65, è esposto, nel corso di tre anni, a una quantità di polveri sottili superiori alla media. I picchi si registrano nel centro e nel nord Italia, con un conseguente aggravarsi delle patologie già esistenti nella fetta di popolazione più vulnerabile.
Armi spuntate contro il caldo estremo
L’inquinamento non è il solo problema con il quale si devono confrontare le città italiane. Tutte sono esposte al rischio di ondate di calore prolungate. In generale, questi fenomeni, a causa della crisi climatica, sono cresciuti per frequenza, intensità e durata sin dalla crescita industriale degli anni Settanta. Nel prossimo trentennio, è previsto un ulteriore peggioramento, con gravi impatti sulla salute pubblica, in particolare per i malati cronici, gli over 65 e le persone con disabilità. I giorni di caldo estremo raddoppieranno, secondo le previsioni, soprattutto nelle aree meridionali del continente.
Tutte le regioni italiane, escluse la Basilicata, la Sicilia, la Calabria, la Puglia e la Sardegna vivranno un aumento di oltre il 700% dei periodi di alta temperatura. Nel centro e nel nord della penisola si arriverà fino a 10 giorni di caldo estremo, tra il 2031 e il 2060, dalle poche ore registrate nel periodo 1971-2000.
Una delle categorie più colpite da questi eventi climatici sono i bambini. Per questo una delle raccomandazioni dell’Agenzia europea dell’ambiente, contenuta nel briefing Air pollution and children, è quella di collocare ampi spazi verdi vicino alle scuole. Parchi e giardini sono infatti una barriera contro lo smog e contribuiscono ad abbassare la temperatura in città.
Anche in questo caso, i risultati dell’Italia sono altalenanti. Si va dalla buona copertura di Bologna (con 205 scuole e il 10% di aree verdi, nel raggio di 300 metri dagli istituti) e Genova (287 scuole e il 10% di aree verdi), alle statistiche scarse di Milano (478 scuole e solo il 4% di spazi verdi in 300 metri dagli istituti). Roma, pur avendo sul suo territorio ben 1243 scuole, ha una copertura verde dell’8% a 300 metri dagli edifici. Delle 380 scuole di Torino solo il 6% dispone di uno spazio naturale nelle vicinanze. Allineate a questa statistica sono anche Palermo (406 scuole e il 6% di aree verdi) e Napoli (458 scuole e il 5% di copertura naturale). Meglio invece Firenze: delle sue 188 scuole l’8% è vicino ad aree verdi.
A livello europeo i dati non sono troppo distanti. Si va dal picco positivo di Berlino (16% di aree verdi attorno alle sue 41 scuole) e Bruxelles (10% per 745 istituti), ai numeri più bassi di Madrid (6% per 1.493 scuole) e Parigi (4% di aree verdi attorno a 4.500 scuole).
Immagine: Envato Elements