Horizon 2020, Bio-based Industries Joint Undertaking, Banca europea per gli investimenti, fondi strutturali europei, fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis), banche private e il cosiddetto Piano Juncker per gli investimenti. Non si può dire che oggi manchino gli strumenti per finanziare la bioeconomia in Europa. Se in passato non esistevano molti fondi dedicati, oggi chi fa innovazione nella bioeconomia ha la possibilità di scegliere tra canali differenti, anche se l’altra faccia della medaglia è un panorama forse troppo frammentato con un processo di accesso al finanziamento molto spesso lungo e complesso.
L’innovazione ha bisogno di fondi per andare avanti, senza di essi qualsiasi visione equivale a un’allucinazione. La celebre battuta attribuita agli scienziati della Nasa aiuta bene a comprendere come il tema dell’accesso ai finanziamenti sia cruciale per tutti gli attori impegnati ad avviare nuovi impianti, sviluppare nuovi bioprodotti, costruire nuove filiere. Dalle università alle piccole imprese, fino alle grandissime, tutti sono alla ricerca di fonti di finanziamento efficaci e certe per portare avanti il proprio progetto.
Chi in questi anni è riuscito a svolgere un ruolo di primo piano nel finanziare importanti progetti di bioeconomia è la Bio-based Industries Joint Undertaking (BBI JU), entità legale fondata nel 2014 per amministrare e gestire la partnership pubblica-privata da 3,7 miliardi di euro sulle industrie biobased. La Commissione europea e il gruppo industriale multisettore riunito nel Bio-based Industry Consortium hanno unito le forze per sostenere un settore emergente e sviluppare la bioeconomia attraverso bandi annuali per nuove proposte, perseguendo progetti di ricerca e innovazione e includendo progetti sperimentali e impianti di produzione “pilota”. Si tratta di uno strumento relativamente nuovo a livello europeo, oggi preso a modello da paesi leader nel settore come il Canada.
Complessivamente dal 2014 al 2016, la BBI JU ha finanziato 65 progetti, con 729 beneficiari complessivi (incluse le partecipazioni multiple). Nel 2016 i paesi che si sono visti finanziare il maggior numero di progetti sono stati nell’ordine Spagna, Italia, Francia, Germania e Belgio.
Fino a poco tempo fa gran parte della ricerca e sviluppo finanziata dall’Europa veniva dislocata in altre parti del mondo. Un vero e proprio pugno nello stomaco per il Vecchio continente era stato il caso Bio-Amber, la joint-venture franco-americana che ha deciso di collocare a Sarnia, in Ontario, il proprio impianto commerciale. I programmi quadro europei, e specialmente il nuovo programma Horizon 2020 (2014-2020), hanno in qualche modo cercato di contrastare questa tendenza concentrandosi sull’innovazione. Il piano è di non fermarsi alla fase di ricerca o a una fase pilota, ma portare avanti progetti dimostrativi, creando impianti di produzione su piccola scala che potranno poi essere utilizzati per verificare sostenibilità e competitività. E sono integrati persino i cosiddetti “progetti bandiera” che godono di finanziamenti specifici per gli impianti di produzione pilota in Europa. Questo tipo di finanziamento è disponibile per gli aspetti innovativi di questi impianti e non per l’intera infrastruttura. Insomma, l’obiettivo condiviso a livello europeo è eliminare i rischi da un settore emergente e creare le condizioni strutturali per usare a proprio vantaggio le risorse rinnovabili, le tecnologie e il know-how industriale presenti.
Uno dei progetti bandiera più noti è First2Run in Sardegna, coordinato da Novamont e finanziato con 17 milioni di euro per dimostrare la sostenibilità tecnica, economica e ambientale di una bioraffineria integrata altamente innovativa, in cui colture oleaginose a basso input (per esempio il cardo), coltivate in zone aride o marginali, vengono impiegate per estrarne oli vegetali da convertire attraverso processi chimici in bio-monomeri (principalmente acidi pelargonico e azelaico) ed esteri per la formulazione di bioprodotti quali biolubrificanti, cosmetici, plastificanti e bioplastiche. I co-prodotti della filiera vengono valorizzati per la produzione di mangimi animali, altri prodotti chimici a valore aggiunto ed energia dagli scarti al fine di aumentare la sostenibilità della catena del valore. Standardizzazione, attività di certificazione e divulgazione sono parti integranti del progetto così come lo studio dell’impatto sociale dei prodotti provenienti da fonti rinnovabili. Il progetto supporta gli sviluppi connessi a impianti primi al mondo nel loro genere, già costruiti e che hanno visto un investimento iniziale dei partner privati di oltre 300 milioni di euro.
Bioskoh è un progetto bandiera coordinato da Biochemtex e finanziato con circa 21 milioni di euro che ha invece l’ambizione di avviare la prima di una serie di nuove bioraffinerie per la produzione di bioetanolo di seconda generazione, impiegando biomasse lignocellulosiche. Il progetto prevede l’utilizzo di un sito petrolchimico dismesso in Slovacchia, per realizzare una bioraffineria autosufficiente dal punto energetico, con l’obiettivo di dimostrare che il bioetanolo di seconda generazione può essere prodotto a un prezzo più basso ed economicamente più redditizio, con un buon potenziale per una ulteriore riduzione dei costi nel contesto attuale del mercato.
Passando dai progetti pilota a quelli demo, uno degli ultimi progetti finanziati dalla Bio-based Industries Joint Undertaking è Grace, coordinato dall’Università di Hohenheim (Germania). Questo progetto, il cui acronimo sta per “GRowing Advanced industrial Crops on marginal lands for biorEfineries”, ha la finalità di esplorare i potenziali delle colture industriali non alimentari, miscanto e canapa, come fonte di biomassa per la bioeconomia. Sia il miscanto sia la canapa sono relativamente sotto-sfruttati ma offrono un’opportunità di business interessante per gli agricoltori e l’industria. Quando si coltivano su terreni marginali, contaminati o inutilizzati e abbandonati, gli impatti sulla sicurezza alimentare possono essere minimizzati e la potenziale introduzione di inquinanti nella catena alimentare può essere prevenuta. Tra i partner di Grace figurano grandi società come Novamont e Indena, la britannica Terravesta e il cluster italiano della chimica verde Spring.
Tra i nuovi progetti demo, partiti lo scorso primo giugno, figurano anche Urbiofin, Embraced e Biomotive. Il primo, coordinato dall’impresa spagnola Industrias Mecanicas Alcudia, mira a sviluppare una bioraffineria innovativa integrata per la trasformazione dei rifiuti solidi urbani (MSW) in nuovi bioprodotti. “Ogni persona in Europa – si legge sul sito della BBI JU – genera una media di 500 chilogrammi di rifiuti solidi urbani all’anno. Circa il 50% di questi sono rifiuti organici, costituiti da carboidrati, proteine e lipidi, che rappresentano materie prime utili per la creazione di prodotti preziosi. Inoltre, la loro conversione ridurrà gli effetti inquinanti e contribuirà al passaggio ad una vera e propria economia circolare”. Il progetto Urbiofin vuole dimostrare la redditività tecnico-economica e ambientale della conversione della frazione organica dei rifiuti solidi urbani su una scala semi-industriale. Consentirà di sviluppare componenti chimici, biopolimeri o additivi utilizzando il concetto di bioraffinazione urbana.
Il secondo progetto, Embraced, coordinato dall’impresa italiana Fater, prevede l’avvio di una bioraffineria multifunzione per il riciclaggio del contenuto organico dei prodotti igienici assorbenti. Si tratta di pannolini per bambini, prodotti per l’incontinenza degli adulti, articoli per l’igiene femminile e salviette igieniche, che sono attualmente considerati una frazione non riciclabile dei rifiuti solidi urbani, con 8,5 milioni di tonnellate che vengono inceneriti o mandati in discarica ogni anno in Europa.
Embraced rappresenterà, in un ambiente industriale rilevante, un modello di bioraffineria integrato replicabile, economicamente ed ecologicamente sostenibile, basato sulla valorizzazione della frazione cellulosica dei rifiuti trattati per la produzione di intermedi chimici, polimeri e fertilizzanti di origine biologica. Siamo quindi di fronte a un progetto di vera bioeconomia circolare.
Il terzo progetto, Biomotive, è coordinato dalla polacca Selena Labs Spolka Z Ograniczona Odpowiedzialnoscia e ha come fine lo sviluppo di fibre e poliuretani avanzati bio-based per l’industria automobilistica. In una fase in cui le case automobilistiche sono sotto pressione crescente per diminuire i consumi di carburante, il peso delle autovetture diventa un elemento di grande rilevanza. Ed è stimato che il 10% di riduzione del peso del veicolo offre una riduzione del consumo di carburante del 5-7%. Per questo motivo, i produttori stanno investendo sempre di più nello sviluppo di materiali più leggeri; oggi circa il 20%delle vetture moderne è fatta di plastica e tale percentuale dovrebbe aumentare grazie alle proprietà riconosciute dei polimeri nell’assorbimento del suono e della vibrazione. Il progetto Biomotive finanziato dalla BBI JU mira a dimostrare, nei rispettivi ambienti industriali, la produzione di materiali biobased innovativi e avanzati (cioè poliuretani termoplastici, schiume poliuretaniche termoindurenti 2k e fibre naturali rigenerate) specificamente per l’industria automobilistica.
Bio-based Industries, www.bbi-europe.eu
Horizon 2020, ec.europa.eu/programmes/horizon2020
First2Run, www.first2run.eu
Bioskoh, bioskoh.eu
Grace, www.bbi-europe.eu/projects/grace
Urbiofin, www.urbiofin.eu
Embraced, www.embraced.eu
Biomotive, biomotive.info
Immagine in alto: Icona: AlfredoCreates.com, Anniken & Andreas/the Noun Project