Una ricerca d’eccellenza capace di fare rete, l’assenza di grandi gruppi industriali, un’ampia disponibilità di materia prima, un settore marino fortemente sviluppato e un governo che ha posto la decarbonizzazione della propria economia al centro del piano di crescita per i prossimi anni. È questa in estrema sintesi la fotografia della bioeconomia in Norvegia, dove il governo guidato da Erna Solberg ha presentato lo scorso dicembre la propria strategia nazionale, fissando un obiettivo molto ambizioso: portare il giro d’affari dai 33 miliardi di euro del 2015 a 110 miliardi entro il 2050, nel contesto del più ampio sforzo del paese scandinavo per spingere la crescita economica e l’occupazione, riducendo al tempo stesso le emissioni di gas a effetto serra e migliorando l’impiego sostenibile delle risorse biologiche. 

La Norvegia, alle prese con le sfide rappresentate dal declino costante della produzione nazionale di gas e petrolio e dalla necessità di ridurre le proprie emissioni di CO2, guarda avanti puntando con forza su tre parole chiave: transizione, innovazione e competitività. 

La transizione è intesa verso un’economia circolare gradualmente decarbonizzata; l’innovazione passa dall’impiego di piattaforme tecnologiche in grado di utilizzare le risorse biologiche rinnovabili in molteplici settori, in modo efficiente e redditizio; la competitività si realizza mediante la cooperazione tra settori e industrie e la creazione di un mercato per i prodotti biobased

“Il contributo della bioeconomia a un’economia più circolare, amica dell’ambiente e a basse emissioni è un presupposto importante per le iniziative di politica pubblica”, si legge nella strategia ‘Familiar resources – undreamt of possibilities’ pubblicata dal ministero del Commercio, dell’Industria e della Pesca e frutto di un lavoro congiunto di dieci ministeri. “In questo senso – continua il documento governativo – l’internalizzazione degli effetti negativi sul clima e sull’ambiente nei prezzi dei prodotti sarebbe la via più efficiente per promuovere la bioeconomia, in un quadro di politiche pubbliche olistiche e coerenti in tutti i passaggi delle catene di valore”.

 

 

La strategia nazionale

La politica del governo norvegese per la bioeconomia ha l’obiettivo di accrescere la produzione di alimenti e mangimi energetici e industriali (dalla chimica al tessile, fino alla farmaceutica e ai materiali) attraverso l’impiego sostenibile delle materie prime biologiche di cui è ricco il paese, fornite dalla terra e soprattutto dal mare. 

La bioeconomia norvegese ha, infatti, una forte connotazione marina. Basti pensare che dei 33 miliardi di giro d’affari di questo meta-settore nel 2015, circa un terzo (10 miliardi di euro) venivano dal settore marino e dall’acquacoltura. E la proporzione è destinata a crescere, visto che il fatturato atteso nel 2050 è di 60 miliardi (sui 110 totali). Mentre il settore forestale, quello agroalimentare e le bioindustrie nel 2015 contribuivano rispettivamente per 15, 5 e 3 miliardi di euro, con una crescita attesa al 2050 fino a 27, 15 e 8 miliardi di euro.

In un sistema fortemente basato sulle risorse marine, le alghe rappresentano una materia prima fondamentale per lo sviluppo della bioeconomia. Tra gli attori industriali più importanti in questo settore si trova l’impresa Seaweed Energy Solutions. Fondata nel 2006 allo scopo di coltivare alghe su scala industriale per produrre alimenti, mangimi, prodotti biochimici ed energia, oggi la società norvegese è una delle più grandi nel settore delle alghe in Europa, anche grazie all’acquisizione nel 2013 della danese Seaweed Seed Supply.

Per i nuovi prodotti biobased l’impegno del governo di Oslo è di creare un mercato attraverso una corretta informazione dell’opinione pubblica; l’introduzione di un sistema di appalti pubblici verdi, accompagnato da standard ed etichette; una giusta valorizzazione delle esternalità positive generate dai bioprodotti; un piano di investimenti in imprese mature non quotate in Borsa, attraverso la società pubblica Investinor che gestisce attualmente un fondo da 470 milioni di euro, e il consolidamento degli schemi di finanziamento dell’innovazione per le startup realizzati da Innovation Norway. Ma non solo: è prevista anche la conferma dell’iniziativa bioenergetica attraverso il programma Bioenergia ed Enova, una società costituita nel 2001 e totalmente controllata dal ministero del Petrolio e dell’Energia con l’obiettivo di ridurre le emissioni nazionali di gas a effetto serra e sviluppare nuove tecnologie per l’energia e il clima, rafforzando la sicurezza degli approvvigionamenti.

La strategia considera essenziale la cooperazione intra-settoriale e affida il controllo dell’implementazione del piano d’azione a tre organizzazioni: il Consiglio per la Ricerca, la Società per lo sviluppo industriale della Norvegia (Siva) e Innovation Norway. 

“Quelli di noi che lavorano nella ricerca – sostiene Arvid Hallén, direttore generale del Consiglio per la ricerca – devono adottare un approccio più ampio e interdisciplinare alla bioeconomia rispetto a quanto viene fatto oggi. Lavorare a cavallo di diverse discipline è un beneficio per la ricerca. Molti dei nostri programmi sulla bioeconomia già prevedono che i progetti finanziati debbano includere partner da diversi campi e settori”.

 

A Oslo si vola bio 

L’aeroporto di Oslo è il primo che da gennaio 2016 offre biocarburante a tutte le compagnie aeree attraverso il normale sistema di approvvigionamento. Ciò grazie a un accordo tra Avinor, la società pubblica controllata dal ministero dei Trasporti e delle Comunicazione che gestisce i 46 aeroporti nazionali, e Air BP, la divisione aerea della British Petroleum.

“La Norvegia è impegnata nella transizione verso una società a basse emissioni. L’iniziativa intrapresa da Avinor e Air BP dimostra che il settore dell’aviazione vuole partecipare a questo adeguamento”: queste le parole pronunciate alla presentazione dell’accordo dal ministro per il Clima e l’Ambiente Vidar Helgesen. “Il biocarburante è una delle poche alternative che abbiamo a disposizione che può contribuire a riduzioni significative delle emissioni di gas a effetto serra nell’aviazione, a condizione che il biocarburante sia prodotto in modo sostenibile”.

“Siamo estremamente lieti di poter offrire biocarburanti all’aeroporto di Oslo”, ha affermato Dag Falk-Petersen, amministratore delegato di Avinor. “Questo è in linea con quanto fissato in riferimento al clima sia da Avinor, sia dal settore dell’aviazione.”

L’obiettivo – secondo l’amministratore delegato di Air BP David Gilmour – è “dimostrare che gli aeroporti possono facilmente accedere ai biocarburanti utilizzando le infrastrutture fisiche esistenti. Prevediamo che ciò aumenterà l’interesse e la domanda, oltre a contribuire a un futuro sostenibile del biocarburante per il settore dell’aviazione”.

Tra le compagnie che partecipano al progetto ci sono Lufthansa, Sas e Klm, disposte a pagare di più per garantire che il biocarburante possa essere offerto all’aeroporto di Oslo. Da parte sua il governo norvegese ha abbassato le tasse per la CO2 sui voli nazionali alle compagnie aeree coinvolte. 

L’iniziativa di Avinor e Air BP è in linea con gli ambiziosi obiettivi ambientali fissati dall’industria aeronautica: ridurre del 50% le emissioni entro il 2050 rispetto al livello del 2005. L’Unione europea punta invece a introdurre entro il 2020 una quota di utilizzo del 3,5% di biocarburante sul totale utilizzato per l’aviazione. 

Air BP riceve il carburante dalla società finlandese Neste Porvoo tramite SkyNrg, un broker specializzato nella fornitura di biocarburante. Si tratta di biocarburante certificato, prodotto dalla pianta di Camelina e non contiene olio di palma. “È completamente sicuro, altrettanto sicuro del combustibile fossile”, assicurano dall’Air BP.

 

Il ruolo chiave della ricerca pubblica

Un’ulteriore prova dell’importanza che la ricerca ha per la Norvegia è l’istituzione nel 2015 dell’Istituto norvegese di ricerca sulla bioeconomia (Nibio), uno dei più grandi istituti di ricerca del paese. Nibio è di proprietà del ministero dell’Agricoltura e dell’Alimentazione ed è frutto di una fusione tra l’Istituto norvegese per la ricerca agricola e ambientale (Bioforsk), l’Istituto norvegese per l’economia agricola (Nilf) e l’Istituto forestale e paesaggistico norvegese (Skogoglandskap). I suoi campi di specializzazione sono l’alimentazione, le foreste e le risorse forestali, la salute dei vegetali e le biotecnologie, l’ambiente e il clima e la statistica.

“La Norvegia – ci spiega Ernst Kloosterman, ex direttore generale del cluster delle biotecnologie industriali norvegese Ibnn – ha attuato strategie nazionali in materia di biotecnologie e bioprospezione (bioprospecting) marina tra il 2000 e il 2009. Ciò ha agevolato lo sviluppo di piattaforme biotecnologiche, di eccellenti infrastrutture e la formazione di scienziati altamente qualificati. Il che sta fortemente contribuendo alla crescita del settore industriale biotecnologico e biobased. Il potenziale è grande, in quanto il paese è ricco di biorisorse e di personale altamente istruito”. 

Nel paese scandinavo non mancano politiche pubbliche di sostegno alla bioeconomia, come incentivi finanziari, misure per la riduzione dei rischi finanziari, investimenti nel know-how e nella conoscenza (educazione inclusa), programmi di sostegno allo sviluppo e all’implementazione di nuove conoscenze e tecnologie nell’industria, piattaforme tecnologiche che sostengono l’innovazione, ma anche piani che informano e istruiscono la società e le potenziali parti interessate circa gli impatti sociali ed economici positivi. 

“La Norvegia – ci dice ancora Kloosterman – ha alcune imprese biotecnologiche e biobased avanzate che sono leader a livello mondiale, ma non sono ancora grandi abbastanza da poter finanziare nuovi spin-out e programmi di ricerca. Ma è proprio dall’assenza di grandi industrie nazionali che nasce la spinta allo sviluppo delle competenze individuali e della ricerca pubblica, tramite la collaborazione tra le discipline e i settori che stimolano gli sviluppi più innovativi e la crescita industriale. Inoltre, la Norvegia riconosce l’importanza della collaborazione internazionale per lo sviluppo”.

 

La relazione con i paesi nordici

Il supporto alla bioeconomia norvegese avviene in misura rilevante grazie alla sinergia con i vicini paesi nordici. A partire dall’attività svolta dal Nordic Bioeconomy Panel, un forum transnazionale che si occupa di politiche e strategie, costituito nel 2014 su iniziativa dei ministri della cooperazione di Norvegia, Danimarca, Finlandia, Svezia, Isole Faroe, Islanda e Groenlandia. Ne fanno parte rappresentanti delle agenzie governative, degli enti di ricerca, delle imprese e della società civile. 

Il compito principale del Panel è l’elaborazione di proposte per una strategia e di politiche pubbliche che promuovano l’innovazione e una bioeconomia sostenibile. La strategia nordica arriverà a fine 2017 a conclusione di un percorso iniziato lo scorso 19 gennaio a Copenaghen, dove il Consiglio nordico dei ministri (l’organismo intergovernativo ufficiale per la cooperazione nei paesi nordici fondato nel 1971) e il Nordic Bioeconomy Panel hanno riunito numerosi stakeholder per discutere una cornice comune tra i sette paesi membri, che favorisca lo sviluppo della bioeconomia. A partire dall’analisi di 25 casi studio di successo nell’ottimizzazione dell’efficienza delle risorse e nella creazione di valore. 

“La bioeconomia – afferma Hörður G. Kristinsson, presidente del Nordic Bioeconomy Panel – offre straordinarie opportunità per accelerare la crescita e lo sviluppo sostenibile nei paesi nordici e sarà lo strumento attraverso il quale il mondo potrà raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. I 25 casi studio sono molto diversi e provengono da differenti industrie. L’analisi del loro impatto ambientale, economico e sociale ci ha permesso di apprendere ciò che caratterizza la bioeconomia della regione e di individuare alcune delle migliori pratiche nordiche nel settore. Queste informazioni saranno un elemento fondamentale della strategia comune”.

I quattro pilastri della bioeconomia nordica sono stati individuati intorno a queste azioni: sostituire, aggiornare, circolare e collaborare. Sostituire i materiali di origine fossile e gli altri materiali non sostenibili con alternative di origine biologica. Aggiornare, ovvero creare prodotti e servizi a maggior valore utilizzando risorse provenienti dall’intera filiera. Circolare, ossia creare una economia che utilizza rifiuti e scarti come materia prima e tiene conto della sostenibilità e della capacità rigenerativa dell’intero sistema. Collaborare, per individuare le iniziative in cui la cooperazione intersettoriale è un fattore chiave. I casi in quest’ultima categoria includono partnership strategiche pubbliche e private con la partecipazione dell’industria, delle autorità e degli istituti di ricerca, nonché delle comunità che hanno fissato obiettivi ambiziosi per una trasformazione verso una bioeconomia sostenibile e circolare.

“Questi quattro pilastri rappresentano i punti di forza della bioeconomia nordica, ma soprattutto definiscono una direzione per un cambiamento sostenibile”, spiega Liv la Cour Belling, responsabile del progetto presso il Consiglio nordico dei ministri.

La strategia prenderà in considerazione i diversi approcci nazionali alla bioeconomia e incoraggerà sempre di più la cooperazione, la condivisione delle conoscenze e il trasferimento di tecnologie oltre le frontiere e tra i vari settori della bioeconomia.

 

I casi norvegesi

Sono tre i casi studio presi in considerazione dal documento sulla bioeconomia nordica. Il primo vede protagonista Trefokus, un’impresa con sede a Oslo che – attraverso un approccio basato sulla rete – mette in relazione molteplici attori nel settore edile (dai costruttori, alle autorità locali, fino alle scuole) per incrementare l’uso di materiali a base di legno. Secondo la società norvegese, l’impiego di soluzione a base di legno nelle costruzioni può ridurre le emissioni di CO2 fino al 50% rispetto agli altri materiali edili. 

Il secondo caso riguarda il progetto Exilva della Borregaard, società leader nella produzione di biochemicals derivati dalla lignina. Il progetto ha consentito di costruire nel 2016 il primo stabilimento su scala industriale per la produzione di cellulosa microfibrillata (Mfc), con una capacità di 1.000 tonnellate all’anno e totalmente alimentato da energia rinnovabile. Previsto anche lo sviluppo di segmenti di mercato avanzati per l’utilizzo di Mfc come additivo per adesivi, rivestimenti, cosmetici e prodotti chimici per uso agricolo. Si tratta di un prodotto al 100% da fonti rinnovabili che punta a sostituire interamente l’omologo derivato dal petrolio. 

Il terzo dei casi studio, infine, è rappresentato da Biomega, leader norvegese nel mercato del salmone. Nello specifico, la società che ha la propria sede a Bergen ha sviluppato un progetto che prevede l’utilizzo della parte non edibile del salmone (che in precedenza veniva ributtata in mare) per la produzione di nuovi bioprodotti quali olio di salmone e peptidi per l’alimentazione umana e animale. 

 

 

“Familiar resources – undreamt of possibilities”, tinyurl.com/y7qyhu59

Norwegian Institute of Bioeconomy Research, www.nibio.no/en

Nordic Bioeconomy Panel, tinyurl.com/y7tgszgd

   


  

Intervista a Sigridur Thormodsdottir, responsabile Bioindustrie nella Divisione Sostenibilità di Innovation Norway

di M. B.

 

In Norvegia dobbiamo sfruttare di più le nostre biomasse

 

Innovation Norway è il più importante strumento del governo di Oslo per l’innovazione e lo sviluppo delle imprese e dell’industria norvegesi. Ha rivestito un ruolo attivo nello sforzo mirato a portare le aziende a pensare e agire in modo più sostenibile. Oggi, quasi il 30% del suo portfolio finanziario totale possiede un profilo incentrato sull’ambiente. “Materia Rinnovabile” intervista Sigridur Thormodsdottir, che è la responsabile Bioindustrie nella Divisione Sostenibilità di Innovation Norway

 

Secondo lei quali sono i punti di forza e quali quelli di debolezza della bioeconomia norvegese?

“Uno dei nostri punti di forza è l’accesso alle biomasse, specie quelle marine, di cui siamo solo all’inizio dello sfruttamento del potenziale. La Norvegia possiede una solida conoscenza e competenza nella parte della bioeconomia correlata alla gestione e all’utilizzo sostenibile di biorisorse di origine marina, e al benessere di animali e vegetali. Ci sono anche alcuni settori di nicchia nei quali il nostro paese ha una grande competenza, così come un’industria forte nell’ambito della silvicoltura. La debolezza, invece, è rappresentata dalla mancanza di una base industriale per il pieno utilizzo delle biomasse. I norvegesi sono abili nella produzione e raccolta di biomasse ma gran parte di queste – di origine sia ittica sia vegetale – viene esportata come materiale grezzo. Mentre è necessario incrementarne la lavorazione e l’utilizzo in Norvegia.”

 

In che modo la Norvegia sta pianificando di supportare lo sviluppo della bioeconomia nei prossimi anni?

“La Norvegia ha una nuova strategia riguardo alla bioeconomia che porterà alla creazione di maggior valore e di occupazione, a una riduzione delle emissioni di gas climalteranti e a un uso più efficiente, redditizio e sostenibile delle risorse rinnovabili di origine biologica. Tutti i biosettori sono presi in considerazione, con quattro ambiti prioritari: 1. la cooperazione tra settori, industrie e aree tematiche; 2. i mercati per i prodotti rinnovabili a base biologica; 3. l’uso efficiente e la lavorazione redditizia delle risorse biobased rinnovabili; 4. produzione ed estrazione sostenibile di risorse biologiche rinnovabili.

Nella strategia, il governo ha chiesto al Norwegian Research Council, a Innovation Norway (che supporta l’industria e le aziende) e a Siva (che agevola l’innovazione sviluppando, costruendo e possedendo infrastrutture per l’industria, start-up e ambienti di ricerca) di delineare un piano comune di attività che potenzi lo sviluppo della bioeconomia. Il piano agevolerà la creazione di un sistema senza soluzione di continuità tra ricerca, innovazione e infrastrutture necessarie.”

 

Quali sono le politiche attualmente vigenti nel vostro paese per sostenere la bioeconomia? E come questo è interconnesso all’economia circolare?

“In aggiunta a quella per la bioeconomia, esistono strategie e regole riguardanti per esempio l’industria ittica, l’agricoltura e l’acquacoltura. Questo può in qualche modo ritardare lo sviluppo della bioeconomia. È anche importante costruire e mantenere una competenza nel sistema pubblico e all’interno delle istituzioni che stanno implementando leggi e regolamentazioni, per poter stare al passo con i rapidi cambiamenti e le opportunità della bioeconomia. In questo caso, per esempio, penso alla digitalizzazione e all’impiego di grandi quantità di dati per massimizzare l’utilizzo o l’efficienza delle biomasse lungo tutta la catena di valore. Un altro punto è la regolamentazione della produzione di fertilizzanti dai rifiuti e dalle acque reflue delle città (si veda per esempio “Urban Biocycles” della Ellen MacArthur Foundation): la legislazione e le istituzioni e organizzazioni coinvolte devono essere in grado di cogliere le opportunità e soddisfare i bisogni. La strategia della bioeconomia sta evidenziando il bisogno di una strategia nazionale per l’economia circolare (che è in corso di elaborazione), e questo rimarca il fatto che la bioeconomia è una parte dell’economia circolare.”

 

Esistono nel sistema legislativo norvegese misure come gli appalti pubblici verdi e la carbon tax?

“C’è un nuovo regolamento sugli appalti pubblici incentrato sull’innovazione e lo sviluppo, grazie al quale è possibile gestire appalti verdi/sostenibili. La carbon tax è più che altro su base volontaria. Inoltre, esistono misure pubbliche che permettono l’uso di auto elettriche, e di legno e derivati negli edifici pubblici.”

 

Secondo la nuova strategia sulla bioeconomia, lo sviluppo del biopotenziale contribuirà a liberare il vostro potenziale nazionale di risorse per generare una futura crescita economica e occupazionale in Norvegia, riducendo le emissioni. Come è possibile far progredire il “know-how” e la piattaforma tecnologica in grado di utilizzare risorse biologiche rinnovabili che provengono da diversi processi produttivi con applicazioni in diverse industrie?

“È chiaro che se si vuole liberare il potenziale nazionale di risorse per alimentare la crescita futura e la creazione di occupazione, riducendo le emissioni di gas climalteranti, bisogna prima prendere la decisione strategica che questa è la visione da seguire. Per la Norvegia la decisione è se vuole essere uno stato fornitore di biomasse/materiali grezzi o costruire un’industria e fornire prodotti di maggior valore basati sulle biomasse. Noi di Innovation Norway crediamo che una parte maggiore di queste risorse dovrebbe essere lavorata in Norvegia.

Oggi, quasi il 40% della pasta di legno (la parte che non può essere usata per fare delle tavole in segheria) e circa l’80% del nostro pesce viene esportato dopo una lavorazione davvero minima. Questo significa non cogliere delle opportunità per creare industrie diversificate, preziosa occupazione, benessere economico e sviluppo sostenibile. Ma se lo si decide, allora le industrie, il governo e le università devono collaborare. Dobbiamo sviluppare e investire nelle catene di valore industriali tradizionali e crearne di nuove. Dobbiamo esaminare il sistema dell’istruzione e lavorare con la ‘predisposizione mentale’ che le soluzioni e i modelli di business di oggi e di ieri non sono necessariamente quelli giusti per il futuro. Abbiamo anche bisogno di mostrare i risultati ottenuti dalle aziende che hanno cambiato o sviluppato il loro modello di business: ‘il core business ti sta uccidendo’ è una frase applicabile anche alle industrie biobased.”

 

Qual è il ruolo di Innovation Norway riguardo alla bioeconomia e all’economia circolare?

“Stiamo sostenendo le aziende nella loro innovazione e crescita e nei processi di investimento. Crediamo che le opportunità più promettenti per le aziende norvegesi possano trovarsi nell’area dell’innovazione verde. Ma ci sono anche altre sfide sociali che richiedono risposte sostenibili, per esempio nel settore della sanità. Nell’intersezione tra il settore pubblico e quello privato, è possibile creare innovazioni che forniscano le basi per nuovi sviluppi nel business.”

 

Quali sono gli altri attori principali della bioeconomia in Norvegia?

“Se si riferisce alle imprese, allora rispondo la Borregaard. Vorrei anche menzionare SalMar e Nutrimar, due aziende biomarine norvegesi che sono direttamente associate alla InnovaMar, il più grande ed efficiente stabilimento al mondo per la lavorazione del salmone. Abbiamo anche cluster come il Legasea Ålesund, un impianto per produrre sostanze di origine marina benefiche per la salute, ottenute da residui della lavorazione del pesce e da biomasse non utilizzate a scopi alimentari. E Heidner Hamar, il principale cluster della bioeconomia norvegese per le innovazioni nella produzione alimentare sostenibile, fornisce tecnologia e conoscenza che contribuiscono globalmente a una produzione sostenibile di cibo e lavora anche per aumentare la produzione di cibo in Norvegia.”

 

Quanto è rilevante la relazione con altri paesi nordici?

“La consideriamo importante: stiamo già cooperando con loro, ma vorremmo farlo ancora di più. Una parte del materiale grezzo esportato viene lavorato in paesi come Svezia e Danimarca. Per il settore marino, la cooperazione con i paesi nordici occidentali è la più rilevante, mentre per quanto riguarda l’agricoltura e la silvicoltura sono quelli nordici orientali a essere più importanti. La Danimarca lo è in entrambi i casi.”

 

Senza coinvolgere i cittadini, è davvero difficile operare una vera de-carbonizzazione. Come viene percepita la bioeconomia dall’opinione pubblica?

“I nostri cittadini sono interessati e attivi nello sviluppo sostenibile, bioeconomia compresa. Per quanto riguarda il cibo, il consumatore norvegese ha fiducia nell’industria alimentare: utilizza pochissimi antibiotici e la salute di animali e vegetali in Norvegia è molto buona. I materiali di origine biologica come il legno sono molto usati e fanno parte della quotidianità. Quando si discute di sostanze chimiche e materiali di origine biologica che sono possibili sostituti per esempio della plastica, i consumatori rimangono un po’ confusi. Vorrebbero contribuire, ma ancora non c’è una comunicazione coerente su quali sono gli aspetti positivi e quali quelli negativi.” 

 

 

Ellen MacArthur Foundation, Urban Biocyclestinyurl.com/yapbwxuj

Borregaard, www.borregaard.com

Innovation Norway www.innovasjonnorge.no/en/start-page

www.innovasjonnorge.no/en/start-page