C’è stato un fortissimo interesse per l’economia circolare, dall’industria alle Ong e ai funzionari degli stati europei. Qual è secondo lei il motivo?
“Penso sia dovuto al fatto che molte persone, provenienti da un’ampia gamma di settori, hanno capito che lo sviluppo di un’economia circolare presuppone un vero cambio di paradigma. Se siete in viaggio e vi avviate nella direzione sbagliata, non potete correggere l’errore semplicemente accelerando un po’. Il business as usual, solo un po’ più veloce, non funzionerà. Quello che serve è una completa ristrutturazione del nostro modello economico. In questo caso, come sappiamo, significa un abbandono del modello lineare – produzione, consumo e smaltimento – per andare verso la progettazione di un futuro circolare. Nello stesso tempo, anche se aumentiamo la nostra sostenibilità, dobbiamo assicurare benefici crescenti per i consumatori e competitività usando solo un decimo dei materiali che utilizziamo attualmente.”
Pensa che questo cambio di paradigma sia una prospettiva scoraggiante per l’industria?
“È dettato dal buon senso degli affari. Un utilizzo inefficiente o insostenibile delle risorse genera una cattiva strategia commerciale. Implica rifiuti e costi dove invece potrebbero esserci efficienza e profitto. Molti industriali, dal campo delle costruzioni a quello del cibo, dell’energia, del packaging, dei medicinali e dei materiali si rendono conto che non possiamo continuare a comportarci come se avessimo quattro pianeti a disposizione quando invece ne abbiamo solo uno. Per la mia esperienza, in realtà è l’industria che sta rivolgendosi ai politici per aiutarli a sviluppare e implementare le misure necessarie.”
Lei è stata una paladina delle produzioni industriali basate su risorse di origine biologica e la Finlandia è all’avanguardia nello sviluppo della bioeconomia. Come vede il collegamento tra l’economia circolare e la bioeconomia?
“Il collegamento è stretto, perché dobbiamo partire con un’interpretazione concreta dei criteri di sostenibilità. Un aspetto riguarda il fatto che tutti questi materiali non rinnovabili devono essere preservati in cicli totalmente chiusi. Oltre a ciò, quelli rinnovabili devono essere usati solo nei limiti della loro rinnovabilità. Se prendiamo un materiale non rinnovabile come l’alluminio o il nickel, sappiamo che una volta estratto non sarà mai rimpiazzato. D’altra parte, se ricaviamo il legno da una foresta possiamo calcolare il tempo necessario affinché venga sostituito e rimboschire di conseguenza. Se usiamo residui di foraggio o di cibo, il ciclo vitale e il tempo di ricostituzione della risorsa è ancora più breve. Quindi abbiamo gli strumenti per controllare cosa è sostenibile e cosa non lo è, e rimanere entro limiti di sicurezza. Molte delle risposte e delle soluzioni sulla sostenibilità e l’uso efficiente delle risorse sono già presenti in natura: dipende da noi riconoscerle e trarne insegnamento.”
Secondo lei, l’Unione europea ha buone possibilità di guidare lo sviluppo di un’economia circolare?
“Sì, e prima lo facciamo più possiamo trarre beneficio dalla transizione. La realtà è che dipendiamo dalle risorse e questo ci rende vulnerabili quando queste risorse scarseggiano. In aggiunta, l’Europa è un continente costoso, in termini di nostri standard di benessere, ambiente e lavoro. Questo significa che non saremo mai i più convenienti e non potremo competere solo sui costi. Quindi dobbiamo innovare per produrre beni sostenibili di maggior valore che la gente desideri acquistare.”
La nostra economia e le nostre infrastrutture si sono sviluppate nell’arco di 150 anni o più basandosi sui combustibili fossili. Mentre siamo sempre più consapevoli della necessità di agire per contrastare il cambiamento climatico e diventare più efficienti nell’uso delle risorse, il sistema basato sui fossili è ben consolidato e sostenuto da sussidi. Dobbiamo rassegnarci a un confronto impari o si può fare qualcosa per “livellare il piano di gioco”?
“Il problema per le industrie emergenti è che di solito hanno a disposizione meno risorse. Sono così impegnate a combattere per emergere che non hanno il tempo, i contatti o il network per cercare supporto. Sull’altro lato, ci sono dinosauri industriali insostenibili molto ben piazzati – quelli che io chiamo i morti che camminano – che hanno come priorità assoluta la conservazione della fetta di mercato conquistata. Come politici, siamo spesso sfidati da questi gruppi che invocano cambiamenti nelle normative per poter continuare a esistere. Se preserviamo e prolunghiamo nel tempo la cattiva pratica dell’inquinamento e delle industrie insostenibili, per esempio mediante sussidi, stiamo in realtà rendendo a loro, e alla popolazione, un cattivo servizio. È una specie di ‘macchinario salvavita’ per qualcuno che è già morto.”
Torino, anni ‘30
|
Ma quando industrie nuove e alimentate con fonti rinnovabili cercano di emergere sono spesso penalizzate per non essere “abbastanza sostenibili”. Come possiamo contrastare la malattia dell’Unione europea di “fare del perfetto il nemico del bene”?
“Non abbiamo preso sul serio l’Iluc (il cambiamento ‘indiretto’ di destinazione d’uso dei terreni; indirect land use change). Quello che serviva era un onesto criterio di sostenibilità dell’uso del suolo e non ce l’abbiamo. È stato estremamente stupido riservare un sostegno preferenziale per i biocarburanti di prima generazione (1G) solo per cambiare idea e cercare di sopprimerli un paio di anni più tardi. Quello di cui abbiamo bisogno è una struttura normativa stabile, progressiva e coerente per dare all’industria le certezze di cui ha bisogno per investire. Il supporto, il suo livello e la sua durata devono essere chiari dall’inizio e non possiamo permetterci di cambiare ancora gli obiettivi.
Ma dobbiamo anche essere pragmatici. Naturalmente non possiamo creare un nuovo mondo in sette giorni e poi sederci e riposare. Creare un’economia circolare richiederà tempo. Abbiamo bisogno di più incentivi finanziari per i prodotti di seconda e terza generazione e di una serie di sostegni periodici per intraprendere i passi successivi. Per esempio, devono essere concretizzati gli strumenti di supporto per favorire il passaggio dalla prima generazione alla seconda (2G) e alla terza (3G). Non possiamo fingere di essere sorpresi se un’industria che è stata bistrattata come produttrice di prodotti 1G non vorrà investire in 2 o 3G in Europa.”
Che tipo di sostegno si dovrebbe immaginare per le industrie emergenti nell’economia circolare?
“Introdurre nel mercato prodotti nuovi e più sostenibili significa investire in nuove infrastrutture. Per esempio, le bioraffinerie dimostrative e quelle più innovative richiedono grandi investimenti di capitali e lunghi tempi di ammortamento. Alcune di queste bioraffinerie utilizzano già materiali rinnovabili, come il legno, per produrre nuovi fantastici prodotti a base biologica, come indumenti, medicinali, cibo, mangime, prodotti chimici e plastica. Ma queste bioraffinerie richiedono finanziamenti a lungo termine e abbiamo bisogno di nuovi modelli. In aggiunta, all’industria serve una certezza normativa a più lungo termine e un’economia circolare dovrebbe tenerne conto. È il momento di realizzare tutto questo.”
Quando arriveremo al 2020 e guarderemo agli ultimi cinque anni dove pensa che saremo arrivati?
“Potremmo avere avuto un avanzamento del 5 o del 10% nella creazione di una bioeconomia circolare, ma non di più. La nostra popolazione, i suoi bisogni e il nostro livello di consumi stanno crescendo a una velocità tale che ci vorrà un enorme sforzo collettivo semplicemente per mantenere le stesse posizioni. Comunque, sappiamo per certo che, entro 30 anni, dovremo produrre il 30% dei nostri prodotti partendo da materiali a base biologica e dovremo avere inserito tutti i materiali non rinnovabili in cicli chiusi, avendo drasticamente ridotto il nostro impatto sulla biodiversità e le nostre emissioni di gas serra e sostanze chimiche pericolose. Trent’anni passeranno in fretta quindi non sono solo le risorse che non possiamo permetterci di sprecare. È anche il tempo.”