La Germania che non ti aspetteresti: la prima potenza manifatturiera d’Europa, nota nel mondo per la rigorosa politica di gestione dei rifiuti (dal 2005, per esempio, ha vietato il conferimento in discarica di rifiuti non pretrattati), in materia di sviluppo dell’economia circolare è invece tutt’altro che un paese battistrada. Lo sostiene Henning Wilts, responsabile del settore economia circolare del Wuppertal Institut für Klima, Umwelt, Energie, blasonato centro di ricerche tedesco sul clima, l’ambiente, l’energia. “La direzione verso la quale ci stiamo muovendo è probabilmente quella giusta, ma lo facciamo troppo lentamente, troppo orgogliosi della nostra capacità di gestire i rifiuti”, spiega. “Secondo i politici il problema l’abbiamo risolto negli anni ’80 e ’90, per cui non vedono cosa oggi bisognerebbe modificare. In realtà la Germania non dispone di una strategia sistematica per l’economia circolare: abbiamo la legge sui rifiuti, un programma per l’efficienza energetica, uno per il consumo sostenibile, ma sono scoordinati tra loro. E non abbiamo fissato obiettivi precisi da raggiungere, né disponiamo di un’authority di riferimento e di un sistema di monitoraggio.” 

 

Scendendo nel dettaglio, quali altri elementi di debolezza vede in Germania?

“L’insoddisfacente recupero di materie prime secondarie. Paesi Bassi e Regno Unito sono molto più avanti di noi nell’impiegare nell’industria materie prime secondarie ottenute dal riciclo dei rifiuti. Dall’incenerimento la Germania ricava enormi quantitativi di energia, ma così facendo brucia materiale che potrebbe essere recuperato e reimpiegato. Tanto che oggi solo il 15% delle materie che utilizziamo nell’industria viene da processi di riciclo, mentre per l’85% si tratta di materie prime. Una proporzione lontanissima dall’economia circolare.” 

 

Eppure le statistiche ufficiali attribuiscono al vostro paese altissime percentuali di riciclo.

“Perché statisticamente il recupero energetico rientra nelle percentuali di riciclo: uno smartphone che finisce in un inceneritore si considera riciclato al 100%, mentre in realtà non si è recuperato alcun materiale. Un altro problema sono i rifiuti che si producono dalle demolizioni in edilizia: risultano riciclati per oltre il 90%, mentre invece non sono riutilizzati come materiali da costruzione ma sono impiegati per costruire barriere antirumore lungo le autostrade. Solo il 3% del cemento viene recuperato, il che significa che per ogni nuovo edificio si usa il 97% di materie prime.” 

 

Pur in questo quadro così critico, quali sono i punti di forza della Germania?

“Senza dubbio le infrastrutture del settore industriale dei rifiuti. Negli anni ’90 il nostro paese ha fissato degli standard di sicurezza ambientale così elevati per gli inceneritori che oggi non ci sono problemi per la salute di chi vive nelle loro vicinanze. E la popolazione li ha accettati, si fida, a differenza di quanto – credo – accada in Francia e in Italia. Anch’io mi sentirei più sicuro ad abitare vicino a un inceneritore piuttosto che a un impianto industriale di altro genere. 

Un ulteriore punto di forza sono i sistemi di raccolta differenziata degli Rsu, compresa la frazione umida, che invece per altri paesi rappresenta ancora un problema. In particolare i tedeschi sono orgogliosi della raccolta differenziata domestica degli imballaggi. Che poi questa abbia sempre senso, è un altro paio di maniche. Anche il monitoraggio è piuttosto rigoroso, per cui il nostro sistema di raccolta non presenta zone d’ombra illegali o pericoli per l’ambiente e la salute.”

 

E in futuro quali sono le prospettive dell’economia circolare in Germania?

“Dipenderà molto dall’Europa e dal pacchetto sull’economia circolare attualmente in discussione, rispetto al quale la Germania mantiene un atteggiamento piuttosto prudente ritenendo preferibile non fissare degli obiettivi precisi prima di aver chiarito come misurare le performance, per esempio nella riduzione della produzione dei rifiuti e nel recupero dei materiali. Se l’Europa deciderà di darsi obiettivi ambiziosi, la Germania rifletterà su come muoversi. 

Resta, tuttavia, la domanda se l’economia circolare sia un progetto economico o ambientale. Come Wuppertal Institut abbiamo condotto uno studio sull’industria delle moquette, da cui risulta che, a causa dei quantitativi di prodotti chimici da impiegare per recuperare le vecchie fibre, il processo di riciclo ha un impatto ambientale maggiore rispetto alla produzione ex novo di moquette con materiale vergine. Per cui sarebbe di primaria importanza fissare delle linee guida europee per l’ecodesign dei prodotti in funzione del recupero ambientalmente sostenibile dei materiali a fine vita. Temo però che ci vorranno almeno dieci anni per arrivarci, troppi…”

 

Cosa pensa del pacchetto della Ue sull’economia circolare? 

“… Ha una domanda di riserva? Sono stati depositati più di 1.200 commenti da parte degli Stati membri. Nessuno sa cosa ne verrà fuori. Mi preoccupa il fatto che bisognerà arrivare a dei compromessi e che questi prevarranno sull’ambizione degli obiettivi. Paesi come la Bulgaria o la Romania non possono permettersi alte percentuali di recupero dei materiali, per cui la necessità di trovare un punto di equilibrio tra loro e la Germania deprimerà la spinta verso quote significative di riciclo.”

 

In Europa vede paesi nei quali l’economia circolare è più sviluppata? 

“Il Regno Unito, che in passato non ha investito nella gestione dei rifiuti e si è ampiamente servito delle discariche, oggi si domanda se sia meglio investire miliardi in impianti di incenerimento o impiegarli direttamente per lo sviluppo dell’economia circolare. E proprio a causa delle loro condizioni di partenza così negative gli inglesi sono molto lanciati. Mentre la Francia è leader nel settore degli apparecchi elettrici e dei mobili: la legge obbliga i produttori a fornire i pezzi di ricambio per un arco di dieci anni dalla vendita del prodotto, un provvedimento che ha dei costi considerevoli. Impensabile in Germania.”

 

Passando a considerazioni più generali sull’economia circolare, lei ha scritto che ci sono ancora domande senza risposta e aspetti teorici da approfondire. 

“Spesso l’economia circolare viene erroneamente associata alla possibilità di usare a piacere enormi quantità di materie prime e beni materiali, purché ciò avvenga all’interno di questo modello produttivo a ciclo chiuso, in cui si recuperano i materiali. In realtà ogni prelievo di risorse naturali produce danni irreversibili all’ambiente. Inoltre è sbagliata l’idea in sé che si possa riciclare tutto: nei processi di riciclo si hanno inevitabilmente delle perdite qualitative e quantitative di materia. Non solo: per molti materiali non sono ancora disponibili le tecnologie per il trattamento e il recupero, né è scontato che l’industria le adotterebbe. Per questi motivi il primo obiettivo dovrebbe essere ridurre al massimo l’impiego di risorse. L’approccio a un uso efficiente e razionale non basta: la quantità di materie prime che estraiamo complessivamente dalla Terra cresce in maniera esponenziale. Le statistiche dicono che in Germania abbiamo ridotto questo prelievo, ma al prezzo di scaricare l’impatto della produzione dei beni che usiamo qui sui bilanci ambientali di altri paesi. Come il Vietnam, per esempio, dal quale importiamo prodotti elettronici ad alto contenuto di risorse preziose, estratte con pesanti ripercussioni sull’ambiente.”

 

Lei ha anche scritto che la teoria della completa chiusura del cerchio contraddice i principi della termodinamica. 

“Secondo i fisici all’entropia non si rimedia con il riciclo. Il caos che gli esseri umani creano nel mondo naturale con le loro attività non si cancella, né i sistemi naturali ritornano allo status quo ante con i processi di riciclo. 

Un altro aspetto controverso che pervade l’economia circolare riguarda poi la sua compatibilità con gli alti standard di sicurezza in vigore in materia di rifiuti. In passato la priorità è stata sviluppare tecnologie e processi che garantissero uno smaltimento dei rifiuti in sicurezza. La domanda oggi è: vogliamo continuare a vivere senza correre alcun rischio, o ci interessa di più riciclare a tutto spiano perché conviene economicamente? È un nuovo equilibrio che va cercato, rispetto al quale il riciclo non è l’unica risposta.”

 

Istituzioni pubbliche, industria, consumatrici/ consumatori: che ruoli hanno per lo sviluppo dell’economia circolare?

“In futuro la prima necessità è che questi vari attori collaborino più strettamente tra loro. Partiamo dal livello ministeriale: c’è chi si occupa di gestione dei rifiuti, chi di legislazione sui beni di consumo, chi di sicurezza dei consumatori, chi di recupero delle materie prime secondarie. Lavorano tutti scollegati tra loro. Lo stesso succede con l’Unione europea: la Direzione ambiente privilegia la combustione dei rifiuti per superare la dipendenza dall’import di carbone e gas dalla Russia e da altri paesi. Parallelamente la Divisione rifiuti sostiene che bisogna dare la precedenza al recupero dei materiali rispetto all’incenerimento. Due punti di vista opposti all’interno del medesimo organismo. E finché la cornice legislativa resterà così contraddittoria, l’industria non comincerà a investire a favore dell’economia circolare. E continuerà a chiedere: fateci prima sapere cosa dobbiamo fare dei nostri rifiuti, se dobbiamo bruciarli o no. Nell’economia lineare non era necessario lavorare in team, ma per passare all’economia circolare tutti i vari comparti devono muoversi in sintonia.”

 

Anche se il contesto normativo è così contraddittorio, cosa dovrebbe/potrebbe fare l’industria?“Se davvero vogliamo uscire dall’economia lineare, il modello di business su cui puntare è quello dell’offerta di un servizio al posto della vendita del bene. Succede già nel mondo dell’industria automobilistica tedesca, dove i maggiori produttori offrono servizi di car sharing, visto che da noi intere classi d’acquisto, come i giovani sotto i trent’anni, non desiderano più acquistare l’auto che ha perso l’aura di status symbol. La condivisione è il modello su cui è auspicabile che investa e si orienti l’industria. Il problema è che gli investimenti a sostegno dell’innovazione ristagnano, in attesa di disposizioni di legge e regolamenti chiari.” 

 

È una situazione che riguarda altri paesi oltre la Germania?

“Da noi la situazione è estremamente problematica, lo vediamo dalla riduzione del numero di brevetti depositati annualmente. In un certo senso la Germania ha vissuto di rendita grazie all’innovazione e agli investimenti fatti nell’industria dei rifiuti negli anni ’80 e ’90. Sappiamo benissimo come eliminare i rifiuti, mentre in termini di recupero e di economia circolare siamo molto indietro. Al contrario, nel Sudest asiatico l’industria sa qual è la cornice in cui muoversi in una prospettiva rivolta al futuro. E se l’Europa non vuole restare indietro, bisogna che si adegui alle nuove priorità.”

 

Che contributo possono dare i consumatori?

“Personalmente sono contrario a scaricare la responsabilità sui consumatori: bisogna considerare il quadro d’insieme. Tuttavia è legittima la critica, per esempio, all’acquisto di capi d’abbigliamento da quattro soldi che dopo un paio di mesi sono da buttare. Lo stesso sta succedendo in Germania con il boom delle stampanti usa-e-getta d’importazione che costano 35 euro, ossia meno del costo di un toner. Le usano per stampare, per esempio, gli inviti al proprio matrimonio o a un evento e vengono buttate dopo un paio di settimane quando la cartuccia è esaurita. Cambiare i modelli di consumo correnti, privilegiare l’accesso a un servizio come il car sharing anziché acquistare l’auto, condividere i beni di consumo, sono opzioni che fanno anche risparmiare. Ma per abbandonare il trend consumista usa-e-getta della routine quotidiana occorre riflettere sui propri modelli di comportamento: non succede in automatico.” 

 

 

Henning Wilts, Germany on the road to a circular economy?, 2016; library.fes.de/pdf-files/wiso/12622.pdf

Wuppertal Institut, wupperinst.org/en

Immagine in alto: ©Wuppertal Institute for Climate, Environment, Energy