Mentre infuria la polemica per la mancata rimozione delle macerie nei Comuni dell’Italia centrale colpiti dal terremoto poco più di anno fa, c’è una Regione, l’Emilia-Romagna che, al contrario, ha dato prova di grande efficienza nella gestione delle macerie prodotte dalle scosse sismiche del 20 e 29 maggio 2012 in un’area compresa tra le provincie di Modena e Ferrara. Risultato (avvolto finora da un inspiegabile silenzio-stampa): a un anno dal sisma era già stato rimosso circa il 70% delle macerie; a un anno e mezzo oltre il 90%. 

Viene quindi automatico domandarsi come mai, a quanto è dato sapere mentre andiamo in stampa, nessuno nel più recente terremoto del 2016 abbia pensato di chiedere lumi a chi ha dimostrato di saper ben fronteggiare la medesima emergenza. Questo nonostante il commissario Vasco Errani abbia capitanato le operazioni sia in Emilia-Romagna (fino a luglio 2014) sia, per un anno, nell’Italia centrale.

 

D’accordo, i contesti sono diversi: nell’Italia centrale i Comuni interessati sono distribuiti entro i confini di quattro regioni (Marche, Umbria, Abruzzo e Lazio) e in territori, rispetto alla Pianura Padana, geomorfologicamente più complessi per la presenza anche di zone e colli di bottiglia montuosi. Diversi anche i numeri: in Emilia-Romagna le macerie da smaltire ammontavano a poco più di 600.000 tonnellate, circa un quarto degli stimati due milioni di tonnellate nel sisma del 2016. Ciò detto, resta però il dubbio se non valga la pena ricorrere a qualcosa di più di un paio di frettolosi contatti casuali per verificare cosa si possa trasferire in Italia centrale dell’innovativo know-how emiliano-romagnolo. Ideato ex novo, si badi bene, a seguito di un terremoto che ha colpito abitazioni, strutture private e pubbliche, chiese e monumenti, coinvolgendo un’area produttiva ad alta concentrazione di imprese di pregio dell’industria biomedicale, meccanica di precisione e agroalimentare, insediamenti che da subito si è voluto impedire che venissero delocalizzati. Un ulteriore motivo che ha spinto l’amministrazione regionale a rimuovere in fretta le macerie per consentire di ricostruire e ripartire. Basti pensare che a poche ore dal sisma i tecnici regionali erano già in possesso delle foto aeree del territorio colpito, immagini che insieme alle segnalazioni dei Comuni sono servite a formulare una prima stima del materiale da rimuovere e a tarare, di conseguenza, la dimensione degli interventi necessari. 

 

Movimentazione delle macerie nell’impianto di prima destinazione del rifiuto – Discarica di Medolla

 

Ma quali sono gli ingredienti del “modello Emilia-Romagna”, apprezzato dalla stessa Commissione europea che con 15 milioni di euro ha cofinanziato i lavori? “L’atout numero uno è stato il lavoro di squadra: Regione, Comuni, gestori dei servizi integrati di rifiuti e gestori dei siti di stoccaggio, a suon di riunioni di ore e ore, a volte anche in notturna, hanno formato un’equipe affiatata portando ognuno il proprio contributo”, premette Francesca Bellaera, della Direzione Generale Regionale cura del territorio e dell’ambiente, che ha gestito l’intera operazione insieme alla collega Simona Biolcati, sotto la supervisione della dirigente Cristina Govoni. “La Regione Emilia-Romagna, in particolare, che nel corso dell’intera vicenda ha tenuto e tiene tuttora le redini della cabina di regia – prosegue Bellaera – si è occupata innanzi tutto dell’individuazione degli impianti di prima destinazione situati all’interno dell’area terremotata e atti ad accogliere le macerie; e ha stabilito al contempo quali Comuni potevano fare riferimento a ciascun sito”. Un compito, questo, portato a termine nell’arco di appena una decina di giorni (come testimonia la circolare regionale diramata il 6 giugno), “tenendo conto, per la scelta degli impianti, di due criteri-base: vicinanza ai comuni e capacità di stoccaggio”, precisa Govoni. 

Altro fattore vincente è stato “battezzare” le macerie ordinarie come rifiuti solidi urbani, una scelta che ha consentito di evitare di bandire le gare necessarie nel caso dei rifiuti classificati come speciali, e di affidare quindi l’incarico di trasporto delle macerie ai gestori dei servizi integrati rifiuti attivi sul territorio, i quali, a loro volta, se necessario, hanno subappaltato i lavori ad altre aziende. “In questo modo le prime rimozioni delle macerie a terra o degli edifici lesionati pericolanti da abbattere sono partite già a giugno, in un crescendo di attività che ha visto i Comuni raccogliere via via le richieste presentate dai proprietari degli immobili”, spiega Bellaera. Sulla base dell’urgenza e delle caratteristiche, i Comuni hanno redatto le liste dei siti (soprannominati cantieri) da sgomberare, comunicate settimanalmente ai gestori dei servizi rifiuti e alla Regione. 

“Considerata l’esigenza di tracciare con precisione spostamenti e quantitativi dei materiali dal primo momento della presa in carico fino al conferimento finale, un tema sempre sensibile quando si ha a che fare con i rifiuti – sottolinea Govoni – è stato creato uno strumento condiviso, denominato ‘cruscotto’, in cui venivano riportati da ciascun trasportatore, Comune per Comune, cantiere per cantiere, i quantitativi di materiale rimosso. Questo meccanismo ha permesso alla Regione Emilia-Romagna di monitorare in tempo reale l’apertura e la chiusura, post-rimozione, dei singoli cantieri, operazione che in genere si concludeva in tre-quattro giorni”. 

A loro volta gli impianti di prima destinazione effettuavano la pesatura dei carichi in ingresso, camion per camion, e la rendicontavano alla Regione che controllava che ci fosse corrispondenza tra le varie cifre, senza zone grigie o numeri ballerini discordanti tra le diverse fonti. E non è finita qui: i camion erano monitorati in base a targa, telaio, carico trasportato e, ovviamente, destinazione. Un ulteriore affinamento dei controlli che ha pagato permettendo anche di individuare casi anomali: per esempio, grazie agli incroci con i dati in possesso delle forze dell’ordine, sono stati intercettati dei mezzi di trasporto (utilizzati da un sub-appaltatore fuori regione) che risultavano associati alla targa di… una Panda. Un caso di cui ora si stanno ovviamente occupando gli organi inquirenti.

 

Cumulo di macerie a seguito delle attività di trattamento nell’impianto di prima destinazione del rifiuto – Discarica di Medolla

 

Insieme alla tracciabilità, l’altra motivazione che ha spinto la Regione Emilia-Romagna a escogitare queste griglie così rigorose è stato l’obbligo di rendicontazione dell’allocazione dei fondi pubblici (a fine agosto pari a 4 milioni di euro) e di quelli europei. Questi ultimi, in particolare, andavano assegnati alle aziende entro fine dicembre 2013, “una scadenza che ha ulteriormente giocato a favore della velocizzazione delle operazioni”, puntualizza Bellaera. 

Tanto rigore contabile si rispecchia fedelmente nel rapporto regionale sulla gestione delle macerie, particolarmente preciso e che presenta i quantitativi (con decimali a due cifre!) aggregati per Comuni, cantieri, gestori dei servizi rifiuti, siti di prima destinazione, sia incrociati tra loro, sia distribuiti in singole tabelle tematiche. Con quale esito complessivo delle operazioni? A fine agosto 2017 figuravano rimosse circa 613.000 tonnellate di macerie senza amianto provenienti dai 1.595 cantieri chiusi sui 1.774 censiti. Con i 16 ancora aperti bloccati da questioni di natura patrimoniale.

Per quanto riguarda il successivo riuso del materiale edile rimosso, per accelerare le operazioni di rimozione le macerie sono state caricate sui camion tal quali, senza differenziarle in loco, poiché questa operazione avrebbe richiesto l’impiego di ulteriori mezzi dedicati al trasporto dei rifiuti selezionati di legno e metallo. La cernita, pertanto, è stata condotta successivamente all’interno degli impianti di prima destinazione. L’unica selezione fatta di prima mano nei cantieri ha riguardato da un lato i detriti contenenti o sospettatati di contenere amianto, per i quali, come vedremo più avanti, è stata adottata una procedura specifica; e, dall’altro, i reperti di valore storico-artistico-architettonico, affidati alla valutazione delle Soprintendenze, le quali, a seguito dei sopralluoghi, potevano dare o negare l’autorizzazione alla rimozione. “Dopo di che, ultimata la selezione del materiale di pregio da conservare, ritornava in campo il trasportatore che rimuoveva tutto il resto”, spiega Simona Biolcati.

E veniamo ora alla destinazione finale delle macerie senza amianto rimosse e già trattate, e al reimpiego dei materiali recuperati. Il rapporto di fine agosto parla di 540.795,34 tonnellate (88% del totale rimosso) destinate in maniera definitiva, mentre altre 72.046,17 tonnellate (pari al 12%) sono ancora stoccate in deposito temporaneo. Per quanto riguarda le quasi 541.000 di macerie “giunte al capolinea” del percorso di gestione, il 93% è stato reimpiegato. Scendendo più nel dettaglio, la finalità prevalente (per oltre il 79% del totale delle macerie rimosse e destinate) è stata la copertura definitiva delle discariche esaurite in cui erano state depositate; il 13% è stato utilizzato invece per la copertura giornaliera e per la viabilità interna delle discariche; l’1%, rappresentato dal ferro e legno selezionati, è stato conferito a impianti di recupero di questi materiali; infine, solo il restante 7% è stato avviato a smaltimento. “Purtroppo, a causa della normativa in vigore non ci è stato possibile riutilizzare le macerie, in un’ottica di economia circolare, per realizzare ex novo grandi opere, per esempio stradali”, commenta con rammarico Govoni. “Cionondimeno riteniamo di aver conseguito un buon risultato, considerato che solo il 6% non è stato recuperato in alcuna forma”.

 

Attività di caricamento, raccolta e contestuale bagnatura delle macerie propedeutiche alla fase di trasporto e avvio al primo impianto di destinazione – Cantiere localizzato a Rovereto (Novi di Modena)

 

Per quanto riguarda invece la gestione delle macerie con amianto, era stabilito che nei casi in cui il tecnico trasportatore avesse avuto il sospetto di trovarsi di fronte a una traccia anche minima di amianto avrebbe sospeso le operazioni di carico. Il cantiere veniva così congelato e registrato nel “cruscotto” come “cantiere in sospeso per presunta presenza amianto”. Successivamente si sarebbe proceduto alla rimozione, a spese dei proprietari degli immobili, in base alla procedura ordinaria in vigore, sia pure con tempistica agevolata per effetto del sisma. Poi ad agosto 2014 è stato deciso che anche le macerie con amianto derivanti dal sisma (e non da operazioni di bonifica ordinaria extra terremoto!) sarebbero state prese in carico dal commissario. A quel punto i lavori sono ripartiti dai cantieri che risultavano bloccati, mentre d’intesa con i Comuni è stata effettuata un’approfondita mappatura dei restanti siti con amianto, che ne ha rilevati 125. Quindi, con una prima gara d’appalto gestita dalla Regione è stata individuata la discarica di destinazione finale e con una seconda i trasportatori. E qui si è verificato un incidente di percorso, che ha bloccato i lavori per un anno: la ditta proprietaria della discarica con sede in Toscana che si era aggiudicata la gara col massimo ribasso è risultata, a posteriori, non in regola con i controlli antimafia. Per questa ragione le è stato revocato l’incarico, che è così passato alla seconda azienda in graduatoria, baricentrica rispetto al cratere sismico, che – pur avendo fatto un’offerta più elevata – ha accettato di svolgere i lavori allo stesso compenso richiesto dalla prima azienda aggiudicataria. 

I lavori di rimozione e messa a dimora definitiva delle macerie con amianto sono quindi ripresi a fine ottobre 2015 per concludersi completamente il 29 febbraio 2016. 

Sipario. 

 

 

Info

ambiente.regione.emilia-romagna.it