Residui di frutta, verdura, carni, caffè, uova. Ma anche fazzoletti di carta e scarti di giardino come rami, foglie, erba e paglia. Tutto materiale utile per fare il compost, il fertilizzante organico naturale che può prendere il posto dei fertilizzanti minerali. Ma non solo. Il compost può contribuire a fronteggiare la perdita di sostanza organica nei suoli, un fenomeno provocato dai cambiamenti climatici e dalle coltivazioni intensive che colpisce diverse zone del Sud Europa, fra cui anche l’Italia. Un valore aggiunto di cui la politica finora ha fatto fatica a rendersi conto.
Il compost è un ottimo fertilizzante organico naturale che può sostituire integralmente i fertilizzanti minerali a base di fosforo e potassio e in parte quelli a base di azoto. Il processo di produzione del compost, che è di tipo aerobico e dura alcune settimane, si auto-innesca a partire dalla triturazione del materiale e dall’azione dei batteri, grazie ai quali si raggiungono temperature dell’ordine dei 60-70°. Non richiede, quindi, sostanze chimiche, additivi o fonti energetiche esogene, a differenza di quanto avviene nel caso dei fertilizzanti di sintesi.
Non solo il compost aiuta a rendere più sostenibile l’agricoltura limitando l’utilizzo dei fertilizzanti tradizionali, ma può ricoprire anche un ruolo nella protezione dei suoli entrando a far parte della sostanza organica dei terreni. La sostanza organica, infatti, è la principale responsabile della fertilità del suolo. Formata da organismi viventi presenti nel terreno e dai resti di organismi morti in vari stadi di decomposizione, è la sostanza organica che accresce la capacità del terreno di assorbire gli elementi nutritivi. E il suo ruolo non si ferma qui, visto che riduce il rischio di compattazione ed erosione superficiale dei suoli in quanto può assorbire notevoli quantità di acqua, e contribuisce allo smaltimento delle sostanze inquinanti che si possono infiltrare nei terreni.
Il carbonio nei suoli
Negli ultimi decenni il fenomeno della perdita progressiva di sostanza organica nei suoli si è intensificato a causa principalmente di due fattori: l’innalzamento della temperatura provocato dai cambiamenti climatici (a temperature più elevate la sostanza organica si decompone con maggiore rapidità) e le pratiche agricole intensive, che portano a frequenti lavorazioni e al sovrasfruttamento dei terreni. In base ai dati del JRC-Joint Research Centre della Commissione europea, quasi la metà dei suoli europei è caratterizzata da un basso contenuto di sostanza organica, in particolare nell’Europa meridionale e in alcune zone di Francia, Regno Unito e Germania.
Inoltre, meno sostanza organica nel terreno significa anche più CO2 in atmosfera. Quando si forma la sostanza organica, il terreno assorbe anidride carbonica dall’atmosfera: si stima che il suolo contenga circa il doppio del carbonio presente in atmosfera e tre volte quello trattenuto dalla vegetazione (i suoli europei contengono circa 75 miliardi di tonnellate di carbonio organico). Viceversa, quando la sostanza organica si decompone, il terreno rilascia anidride carbonica verso l’atmosfera.
“In alcune zone d’Italia la quantità di sostanza organica nel suolo si è dimezzata negli ultimi 30 anni: ciò vuol dire che si sono ridotti della metà il potenziale biologico, la fertilità e il valore del terreno stesso”, afferma Massimo Centemero, direttore generale del Consorzio italiano compostatori (Cic). “La situazione è allarmante anche in altri paesi dell’Europa del sud: è necessario ritornare al valore di sostanza organica ideale, anche se non è un processo immediato perché servono decenni per ricreare la sostanza organica. E qui entra in gioco il compost che, unitamente a pratiche agronomiche più sostenibili, rappresenta uno degli elementi che può riportare carbonio organico al suolo contribuendo ad arricchire il pool di sostanza organica, garantendo al terreno alti livelli di fertilità naturale. Si tratta di una tematica ignorata dal decisore politico, visto che non è mai stata presa un’iniziativa concreta sulla necessità di sfruttare la risorsa compost in tal senso, se non sporadicamente in passato in alcune regioni relativamente a piani di sviluppo rurale”. “Non so dire”, prosegue Massimo Centemero, “se la chiave di volta possa essere l’introduzione di un sistema incentivante come quello adottato per le fonti rinnovabili, ma il decisore politico dovrebbe rendersi conto che le aziende del nostro consorzio producono in realtà fertilizzanti rinnovabili. La nostra filiera è stata trascurata dalla politica, come confermato dal fatto che il Cic è un consorzio nato poco più di 20 anni fa dall’impegno volontario di alcune imprese. Nel corso degli anni la filiera dell’organico è cresciuta così come le attività consortili. Nessuno ha pensato a strutturare questo sistema, lo stiamo facendo noi su base volontaria: il settore è quindi nato, si è sviluppato ed è cresciuto basandosi unicamente sulle proprie forze”.
Il Consorzio che promuove il compost di qualità
Il Consorzio italiano compostatori (Cic) è una struttura senza fini di lucro che riunisce imprese ed enti pubblici e privati attivi nella produzione del compost. I circa 100 soci rappresentano il 90% del compost prodotto in Italia. Tra gli obiettivi del Consorzio: la promozione della produzione di materiali compostati, con particolare riferimento a quelli di alta qualità e di qualità controllata; il corretto utilizzo dei prodotti di alta qualità nelle attività agricole; la tutela e il controllo delle corrette metodologie e procedure di produzione dei materiali compostati; attività di ricerca, studio e divulgazione; organizzazione di corsi di formazione e di aggiornamento sul compostaggio e sull’impiego dei prodotti. Il Consorzio partecipa ai tavoli tecnici di lavoro presso ministeri e assessorati locali ed è membro dell’associazione dei compostatori europei (European Compost Network). “Abbiamo promosso un Manifesto per il Mediterraneo, che va anche nella direzione di proteggere la sostanza organica nel terreno”, spiega Massimo Centemero. “Inoltre abbiamo creato il Mediterranean Compost Network nei paesi dell’area del Mediterraneo, un bacino che racchiude territori con caratteristiche climatiche simili: estati calde, inverni miti, problemi di carenza di sostanza organica, fenomeni di pre-desertificazione, territori orientati al turismo. L’associazione europea nel 2016 avrà molto da fare, dovendosi occupare del pacchetto sull’economia circolare, della nuova normativa europea sui fertilizzanti e delle classificazione degli end-of-waste”.
Il marchio di qualità
Il compost in commercio non è tutto uguale: può essere suddiviso in due classi. La prima è quella del “compost verde”, che deriva dagli scarti vegetali del verde pubblico e privato e va a sostituire le torbe d’importazione, entrando soprattutto nel mercato del florovivaismo. La seconda è rappresentata dal “compost misto”, prodotto a partire dagli scarti sia dell’umido di cucina sia del verde pubblico e dei giardini; è molto ricco di elementi nutritivi ed entra nelle formulazioni dei fertilizzanti per l’agricoltura. Per orientare gli acquirenti nella scelta del compost, il Consorzio italiano compostatori ha introdotto nel 2004 un marchio di qualità legato al prodotto (dunque non al processo produttivo). Nel 2014 tale marchio ha riguardato il 37% della produzione nazionale: in Italia nei 252 impianti di compostaggio si producono più di 1 milione di tonnellate di compost ogni anno.
“Sono quasi 50 le aziende che si possono fregiare del marchio: noi ci occupiamo del coordinamento, mentre il campionamento mensile e le analisi di laboratorio sono condotte da soggetti terzi”, precisa Centemero. “Tutto il compost in commercio in Italia deve ovviamente rispettare la normativa sui fertilizzanti per quanto riguarda le caratteristiche chimico-fisiche, ma il valore aggiunto del nostro marchio è rappresentato dall’elevato numero di campionamenti e dalla terzietà delle analisi. Grazie alle 2.500 analisi che abbiamo condotto in tutti questi anni, siamo riusciti a costruire una base statistica enorme. Di recente, nel nostro paese stanno aumentando gli impianti di digestione anaerobica (46 a fine 2014), nei quali oltre al compost si produce anche biogas ed energia elettrica in cogenerazione. Anche se con investimenti cospicui, la nuova frontiera è rappresentata dalla trasformazione del biogas in biometano, utilizzabile sia in rete sia per l’autotrazione”.
La raccolta dell’organico cresce da vent’anni
In effetti, quello del trattamento degli scarti organici per la produzione del compost è un settore che sembra non aver risentito della crisi economico-finanziaria, ma che anzi ha garantito una buona redditività agli investitori: una parte consistente di questi guadagni è stata investita in innovazione tecnologica. Se un tempo ci si limitava a produrre il compost solo dagli scarti vegetali, successivamente è stato introdotto il trattamento dei rifiuti umidi di cucina e infine la digestione anaerobica per produrre il biogas. E i numeri dimostrano tutto questo. Nel 2014 il totale di raccolta differenziata di rifiuti urbani è stato di 13,4 milioni di tonnellate: la componente maggiore è rappresentata dalla raccolta di rifiuti organici (5,7 milioni tonnellate) pari al 42,5% del totale. Tra il 2013 e il 2014 la raccolta dell’organico è cresciuta del 9,5%, ma il trend è positivo da 20 anni a questa parte, con un valore sempre superiore al 5% da un anno con l’altro. Questo incremento si spiega con il fatto che un numero sempre maggiore di comuni effettua la raccolta differenziata, specie dell’organico. La grossa crescita del 2014, che ha sfiorato il 10%, è stata influenzata dalla raccolta dell’organico ora attiva in tutta la città di Milano, che con i suoi 1,3 milioni di abitanti ha inciso in modo significativo sul dato dell’intero paese.
“A livello nazionale stiamo arrivando a valori di raccolta dell’organico assai elevati, addirittura superiori, come intercettazione per abitante, a quelli di alcune nazioni del centro e nord Europa”, spiega Massimo Centemero. “Oggi la raccolta dell’organico coinvolge tra i 35 e i 40 milioni di italiani, circa il 60% della popolazione nazionale: dobbiamo riuscire a intercettare la parte restante di popolazione se vogliamo raggiungere il target comunitario del 65% di raccolta differenziata complessiva, visto il contributo determinante della raccolta dell’organico. Manca all’appello gran parte del Mezzogiorno: in alcune zone del Sud la raccolta differenziata è praticamente inesistente, soprattutto in Sicilia e Calabria, anche se in altre (per esempio in Campania, nelle province di Salerno, Avellino e Benevento) si raggiungono valori di raccolta molto buoni. Occorre sviluppare la raccolta anche nelle grandi città, dove è più difficile condurla a causa del grado di urbanizzazione: occorre riprogettare gli orari e adeguare i mezzi di raccolta. L’esperienza di Milano ha però dimostrato che non è impossibile effettuare la raccolta dell’organico: i cittadini hanno risposto molto bene. Sono loro gli artefici principali del successo della raccolta differenziata a Milano, come altrove”.
Lo sviluppo della filiera del compost
L’azione più urgente è quindi quella di riuscire a penetrare nei territori dove oggi la raccolta dell’organico non raggiunge i livelli desiderati. Ma qual è la strategia migliore da adottare? “Si devono muovere insieme sia il mondo industriale, con la costruzione degli impianti di compostaggio, sia quello politico, con lo sviluppo dei sistemi di raccolta differenziata”, conclude Centemero. “Se la raccolta dell’umido è attiva ma mancano gli impianti di trattamento, è un grosso problema perché in tal caso è necessario trasportare il rifiuto anche per centinaia di chilometri fino all’impianto più vicino e questo alla lunga potrebbe costituire un freno allo sviluppo del settore. Viceversa, la presenza di impianti senza materiale da trattare sarebbe ugualmente deleteria. Non esiste una scelta ottimale che vada bene in tutti i casi: esistono esempi virtuosi che hanno preso avvio da iniziative sia pubbliche, sia private. Nel nord Italia, partendo dall’emergenza rifiuti di diversi anni fa, gran parte delle province si sono strutturate e organizzate e sono stati costruiti gli impianti dedicati, con un’infrastruttura che al momento è sufficiente ma potrebbe essere potenziata perché ci sono zone, come la Liguria e alcuni ambiti territoriali, che non sono coperte da servizi di raccolta della frazione organica. Poi esiste anche la necessità di creare politiche incentivanti legate all’impiego del compost che, è bene ricordare, riporta al suolo fertilità organica ed elementi nutritivi che hanno un valore rilevante. Oltre al valore economico, che è legato al prezzo di mercato con variazioni da zona a zona, non dimentichiamo il valore ambientale che può assumere il compost nel riportare carbonio al suolo, in piena coerenza con i principi dell’economia circolare che stanno indirizzando le decisioni delle imminenti normative europee”.
Consorzio italiano compostatori, www.compost.it
European Compost Network, www.compostnetwork.info