Wachstum und Stabilität. È su questo binomio che si basa l’economia tedesca dai tempi della Repubblica di Weimar. Crescita e stabilità per un paese che da anni è ormai riconosciuto come la locomotiva dell’economia europea e che oggi punta con decisione ad affermarsi anche nella bioeconomia attraverso una strategia e un lavoro di squadra che coinvolge imprese, università, centri di ricerca e istituzioni. Certo il cosiddetto Dieselgate che ha travolto la Volkswagen potrebbe costare molto caro all’intero sistema industriale tedesco. Si tratta di una botta tremenda per un paese che ha sempre fatto un vanto della propria affidabilità e che rischia di pesare anche sul futuro sviluppo della bioeconomia, soprattutto – dice Manfred Kircher, membro dell’Advisory Board del cluster Clib2021 – “in termini di credibilità percepita da parte delle autorità e dell’opinione pubblica”. Ma che potrebbe anche avere un effetto positivo, spingendo per esempio verso l’alto la crescita dei biocarburanti avanzati. Quest’ultima è almeno la previsione di Hariolf Kottmann, amministratore delegato di Clariant, il colosso chimico attivo in Baviera nella produzione di biocarburanti da scarti agricoli.
I numeri parlano chiaro: il prodotto interno lordo della Germania rappresenta il 29% di quello totale dell’Unione monetaria e il 21% di quello dell’Unione a 28 paesi, con un tasso di crescita che nel 2014 si è attestato all’1,5%. Sul fronte delle finanze pubbliche, il 2014 si è concluso con il secondo maggiore avanzo di bilancio dalla riunificazione a oggi, pari quasi a 12 miliardi di euro. Come conseguenza, il mercato del lavoro continua a dare segnali di ottima salute e rappresenta un fattore stabilizzante dell’economia: il numero degli occupati ha raggiunto nel 2014 il valore più alto negli ultimi otto anni, pari a 42,7 milioni di persone (0,9% in più rispetto al 2013), con un tasso di disoccupazione del 6,7% (febbraio 2014).
La Germania è il paese più ricco e industrializzato d’Europa e guarda al futuro con una forza e una visione presi a modello da molti governanti europei. L’industria continua a innovare, a fondersi con le università e viceversa. La contrapposizione tra scienza e filosofia – ha scritto il grande storico italiano Carlo M. Cipolla – i tedeschi l’hanno risolta nell’Ottocento con le Technische Hochschulen (le Università tecniche), creando personaggi come Franz von Baader, l’ingegnere minerario di Monaco di Baviera le cui opere filosofiche influenzarono la filosofia della natura di Friedrich Schelling. O Rudolf Diesel, proprio l’inventore dell’omonimo motore protagonista dello scandalo Volkswagen, famoso anche per la sua filosofia internazionalista.
Nel 2010, ben prima che fosse presentata la strategia europea sulla bioeconomia (febbraio 2012), Berlino ha messo sul tavolo 2,4 miliardi di euro di fondi per finanziare attività di Ricerca e Sviluppo fino al 2016 nel campo della bioeconomia, all’interno della propria “Strategia di ricerca nazionale Bioeconomia 2030”, che ha posto le basi per un cambiamento nella società e nell’industria fondato sull’impiego delle risorse biologiche. Un lavoro di squadra che ha coinvolto i ministeri della Ricerca, dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, dell’Economia e della Tecnologia, dell’Ambiente, dello Sviluppo economico, della Salute e degli Interni, con la consapevolezza che la bioeconomia come meta-settore richiede una visione strategica di insieme.
Un esempio? L’impiego di fondi della ricerca per dare impulso a una maggiore sostenibilità nel settore agricolo attraverso la protezione e la preservazione del suolo. E ancora: il sostegno all’interno della strategia “Biotechnology 2020+” a nuove forme di cooperazione tra le scienze della vita e l’ingegneria per arrivare a creare i prodotti biobased del futuro.
La collaborazione tra ministero della Ricerca e ministero dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, coadiuvata dall’istituzione – già nel 2009 – del Consiglio per la bioeconomia come organismo consultivo indipendente, ha portato poi alla definizione di una roadmap delle bioraffinerie presenti sul territorio tedesco, dando una rappresentazione molto specifica delle più importanti tecnologie per l’impiego delle risorse rinnovabili a scopi energetici e industriali, e identificando al tempo stesso i principali ostacoli e i bisogni per implementare adeguate politiche di ricerca.
Nell’estate del 2013 il Governo federale guidato da Angela Merkel ha presentato la Strategia politica nazionale sulla bioeconomia, con la quale sono stati definiti “obiettivi, approcci strategici e misure per l’impiego di tutto il potenziale utile a generare valore aggiunto e occupazione come parte di una gestione sostenibile e a supportare il cambiamento strutturale verso una bioeconomia”. Al Consiglio si affianca oggi un gruppo di lavoro interministeriale, per una cabina di regia che sviluppi politiche per la ricerca, l’innovazione, l’industria, l’energia, l’agricoltura, l’ambiente e i cambiamenti climatici in grado di far competere la Germania a livello internazionale.
Al piano nazionale sono seguite via via singole strategie regionali che hanno posto la bioeconomia al centro dei piani di finanziamento della ricerca. E la bioeconomia si è rafforzata come un punto focale della ricerca di università e istituzioni, come l’Associazione Helmholtz, l’Associazione Leibniz, la Max Planck Society e il Fraunhofer.
Dunque tutto rose e fiori? No, ovviamente. “È vero – lamenta, infatti, una manager di una grande impresa tedesca – abbiamo visione e programmazione, ma poi le stesse istituzioni perdono tantissimo tempo per implementare politiche efficaci per il settore. Stiamo ancora aspettando, per esempio, una legge come quella italiana che metta al bando i sacchetti di plastica, nonostante se ne discuta da anni. Alla fine ciò che pesa realmente sono i rapporti di forza tra l’industria che impiega risorse fossili e quella che impiega risorse biologiche”.
Il ministero della Ricerca, a ogni modo, presenta la Germania come un hub della bioeconomia e i finanziamenti sono indirizzati in via prioritaria al tema della “bioeconomia come cambiamento sociale” all’interno di un programma quadro denominato “Ricerca per la sostenibilità” fondato su quattro pilastri: trasformare la ricerca in innovazione tecnologica, sviluppare un monitoraggio sociale, promuovere gruppi di ricerca junior, finanziare gruppi di ricerca interdisciplinari sui temi sociali, economici e scientifici correlati. Un approccio ancora una volta olistico che punta a mettere insieme tutti gli attori rilevanti nella filiera dell’innovazione attraverso piattaforme e reti che consentano la condivisione di competenze e conoscenze: piccole e medie imprese, grandi gruppi industriali, università, centri di ricerca, cluster, agricoltori, ma anche consumatori, investitori e autorità di certificazione. Questa collaborazione passa anche attraverso le Innovation Alliances, forme di cooperazione strategica tra scienza e impresa con un focus su aree di applicazione specifica o sui mercati del futuro. Il loro scopo è di realizzare un effetto leva degli investimenti impegnando l’industria a un investimento a lungo termine di 5 euro per ogni euro di finanziamento in ricerca ottenuto dal governo federale.
Simboli di questo sistema di collaborazione tedesca sono i cluster. In Germania si trova l’unico cluster in Europa che si richiama direttamente alla bioeconomia: il BioEconomy cluster di Halle, che accoglie un’ampia varietà di attori accademici e industriali di diversi settori integrandoli nel polo chimico già consolidato nell’area. Il parco industriale di Leuna è il più vasto sito chimico della Germania e le prime bioraffinerie a dimensione dimostrativa sono state realizzate qui. Mentre Clib2021, che ha la propria sede a Düsseldorf in Renania settentrionale-Vestfalia, è focalizzato sulle biotecnologie industriali e mette insieme catene di valore non solo intersettoriali ma anche transfrontaliere, con il 30% degli associati che ha sede fuori dalla Germania.
Il ruolo trainante dell’industria chimica
A trainare la bioeconomia made in Germany è l’industria chimica, che condivide l’obiettivo di affrancarsi gradualmente dall’impiego delle limitate risorse fossili e dalla volatilità dei prezzi del petrolio, ma soprattutto di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra nel pianeta. Secondo i dati forniti dall’Associazione di settore (VCI), la Germania nel 2013 è stata il quarto mercato al mondo per la chimica in termini di fatturato, superata solo da Cina, Stati Uniti e Giappone. Ed è di gran lunga il primo mercato europeo, con una quota (circa 200 miliardi di euro) che supera il 25% del fatturato complessivo. A livello mondiale è il primo esportatore di prodotti chimici: con 160 miliardi di euro nel 2013 ha preceduto Stati Uniti, Belgio e Cina. Nello stesso anno gli investimenti in attività di Ricerca e Sviluppo hanno raggiunto gli 11 miliardi di euro (erano 8 nel 2010). È tedesco il primo produttore chimico al mondo, Basf con un fatturato mondiale di 74,326 miliardi di euro nel 2014. Ma tedeschi sono anche Bayer (42,239 miliardi), Henkel (16,428), Evonik (12,917), Merck (11,501) e Lanxess (8,006).
Secondo Gunter Festel, fondatore e amministratore delegato della Festel Capital, il mercato mondiale dei prodotti chimici derivati dall’impiego di biotecnologie industriali è destinato a crescere dai 92 miliardi di dollari del 2010 ai 228 miliardi del 2015, fino ad arrivare a 515 miliardi del 2020. Ciò significa un incremento annuo di circa il 20%. La chimica sarà quindi sempre più biobased. E le imprese tedesche stanno movimentando il mercato non solo investendo in Ricerca e Sviluppo, ma anche animando le operazioni di Mergers & Acquisitions. Nel novembre del 2013 Basf ha messo le mani sul produttore di enzimi statunitense Verenium per 48 milioni di euro, facendo così il proprio ingresso nel fondamentale mercato degli enzimi fino a quel momento dominato dalla danese Novozymes e dall’americana Dupont. Mercato che, secondo le previsioni della società di ricerca francese ReportLinker, dovrebbe passare da 4,2 miliardi di dollari del 2014 a 6,2 miliardi nel 2020.
Nel gennaio del 2012, il colosso chimico di Ludwigshafen ha investito 30 milioni di dollari nell’americana Renmatix, proprietaria della tecnologia Plantrose, che consente di produrre zucchero industriale da biomassa lignocellulosica a costi competitivi. E a fine 2013, con la stessa società ha siglato un accordo per lo scale-up industriale e la futura commercializzazione della tecnologia. Sempre oltre Atlantico, la compagnia chimica tedesca ha siglato un accordo con Genomatica per la produzione di 1,4 butandiolo (BDO) biobased. L’accordo di licenza consente a Basf di costruire un impianto produttivo di scala mondiale per produrre 75.000 tonnellate di bio-BDO all’anno. Il butandiolo e i suoi derivati sono utilizzati per produrre plastica, solventi, fibre elastiche per il packaging, l’industria automobilistica e tessile. Altra partnership di Basf è quella con l’olandese Corbion Purac, che ha dato vita alla joint-venture Succinity GmbH per la produzione di acido succinico biobased. Nel marzo del 2014 le due società hanno reso noto l’avvio positivo del primo impianto di produzione commerciale a Montmelò, in Spagna.
Restando nel campo dell’acido bio-succinico, Covestro (ex Bayer Material Science) ha annunciato a ottobre 2015 una partnership con Reverdia (anche questa una joint-venture tra la francese Roquette e l’olandese Royal Dsm) per la produzione di un poliuretano termoplastico (Desmopan) da fonti rinnovabili utilizzabile nell’industria calzaturiera e nell’elettronica di consumo. Nello specifico, Covestro impiegherà nel processo produttivo l’acido bio-succinico Biosuccinium di Reverdia, che lo scorso anno ha ottenuto negli Stati Uniti lo Usda Certified Biobased Product Label, un’etichetta che certifica il suo contenuto biobased al 99%. E le biotecnologie sono parte integrante anche della strategia di crescita di Evonik, il cui portafoglio prodotti già oggi include aminoacidi, biocatalizzatori per la produzione di biocarburanti e biochemicals, poliammidi e poliesteri biobased.
L’attrazione degli investimenti
Ma la Germania attrae anche investimenti esteri. La società biotech francese Global Bioenergies ha nel polo chimico di Leuna il proprio impianto dimostrativo per la produzione di isobutene da fonti rinnovabili, per il quale ha ricevuto dal ministero tedesco per la Ricerca un grant di 5,7 milioni di euro. I test vengono svolti in collaborazione con Audi.
La svizzera Clariant nel 1997 ha incorporato il business delle specialità chimiche della Höchst e nel 2011 ha concluso l’acquisizione per 1,4 miliardi di euro della bavarese Süd-Chemie, specializzata nello sviluppo di prodotti chimici destinati alle fonderie, resine speciali, componenti per batterie, catalizzatori e imballaggi di precisione. Ma soprattutto proprietaria della bioraffineria lignocellulosica di Straubing, dove Clariant ha continuato a sviluppare il procedimento sunliquid® per la produzione sostenibile di etanolo cellulosico e biochemicals da residui agricoli.
La Süd-Chemie è stata incorporata nel Gruppo Biotechnology di Clariant, dedicato esclusivamente alle biotecnologie industriali, con particolare attenzione allo sviluppo di procedimenti e prodotti da risorse rinnovabili. E lo scorso ottobre a Planegg, vicino a Monaco di Baviera, è stato inaugurato ufficialmente il Group Biotechnology Research Center (6.000 metri quadrati di uffici e laboratori totalmente dedicati alle biotecnologie industriali), che si affianca al Clariant Innovation Center di Francoforte.
Ogni anno la società svizzera spende 30 milioni di euro per aumentare la capacità del proprio stabilimento bavarese di produrre bioetanolo da paglia di grano. “Se tra qualche anno misureremo l’impatto globale della vicenda Volkswagen, troveremo che ha spinto la diffusione dei biocarburanti”, ha dichiarato al giornale tedesco Euro am Sonntag Hariolf Kottmann, l’amministratore delegato di Clariant. Il quale si è detto anche convinto che tra due-quattro anni le vendite e gli utili legati al bioetanolo avranno un’impennata.
La Germania al centro del mondo con il Global Bioeconomy Summit
Per ribadire la propria ambizione di guidare la bioeconomia made in Eu, Berlino ha ospitato a fine novembre il Global Bioeconomy Summit, patrocinato dalla Fao e dalla Commissione europea: 700 delegati provenienti da tutto il mondo (tra cui Colombia, Malesia, Argentina, Brasile e persino dallo Stato Pontificio) per discutere di strategie a sostegno della nuova economia basate sulle risorse biologiche. Perché la Germania sa che la bioeconomia si può sviluppare solo a livello globale, condividendo visione e governance per uno sviluppo sostenibile del pianeta.
Clib2021, www.clib2021.de/en
Clariant, www.clariant.com
BioEconomy cluster, en.bioeconomy.de/
Global Bioeconomy Summit 2015, gbs2015.com/home/
Intervista a Manfred Kircher, membro del Comitato consultivo di Clib2021
Strategia e forte base industriale: le chiavi del successo green made in Germany
“Una delle conseguenze dello scandalo delle VW sarà che le autorità non crederanno più alle aziende. Le autorità controlleranno con maggiore scrupolo le dichiarazioni delle aziende per quanto riguarda le performance. Questa potrebbe diventare la prassi per qualsiasi dichiarazione di rilevanza industriale, inclusa la riduzione di emissioni di gas serra attraverso l’utilizzo di biocombustibili e le materie prime biologiche. La bioindustria dovrebbe cercare di evitare di fornire alle autorità e al pubblico qualsiasi informazione non realistica e fuorviante.” La riflessione è di Manfred Kircher, membro dell’Adivisory Board di Clib2021, il cluster tedesco delle biotecnologie industriali, una delle voci più influenti della bioeconomia tedesca ed europea. In questa intervista con “Materia Rinnovabile”, Kircher parla non solo delle conseguenze che potrà avere il cosiddetto Dieselgate sulla bioeconomia in Germania, ma anche dei punti di forza di un sistema che da tempo si è dotato di una strategia e di ciò che adesso Berlino si aspetta dall’Unione europea per favorire lo sviluppo ulteriore di questo meta-settore.
Quali sono stati finora i principali risultati ottenuti dalla bioeconomia in Germania?
“Le bioindustrie tedesche sono attive in tutti i principali settori: farmaceutico (Sanofi a Francoforte è il leader mondiale nella produzione di insulina), additivi alimentari e per mangimi (Evonik è l’unica azienda che produce L-amminocidi per l’industria), enzimi per alimenti, mangimi, applicazioni per beni di consumo e industriali, platform chemical biologici, polimeri, lubrificanti, adesivi, biocombustibili. E biogas, settore dove la Germania è il numero uno con oltre 8.000 impianti produttivi. A produrre tutti questi beni sono aziende come Basf, Evonik, Henkel, ma anche piccole e medie imprese molto conosciute come Brain, evocatal e c-LEcta, giusto per fare qualche nome. Poiché la bioeconomia è diventata una materia di studio all’università, stanno nascendo sempre più start-up promettenti.”
Quanto è importante la presenza di una strategia nazionale per lo sviluppo della bioeconomia in Germania?
“La strategia nazionale gioca un ruolo fondamentale nell’armonizzazione dei dati sia a livello federale sia statale, come pure nei programmi di settore e in quelli privati inter-istituzionali. Inoltre, aiuta anche i ministeri coinvolti (Agricoltura, Economia, Ecologia) a semplificare le attività di finanziamento pubblico. Nel complesso, la strategia nazionale funziona come linea guida ben accetta da tutte le parti interessate.”
Qual è il ruolo del Consiglio per la bioeconomia in Germania?
“Il Consiglio per la bioeconomia funge da interfaccia tra i portatori d’interesse pubblici e privati. Il Consiglio non solo elabora la strategia nazionale consultandosi con le autorità governative e le associazioni che rappresentano l’industria, la comunità scientifica e la società civile, ma la comunica anche alle parti interessate.”
Il Consiglio per la bioeconomia
Nel 2009, il Ministero federale per l’Istruzione e la Ricerca (Bmbf) e il Ministero federale dell’Alimentazione, dell’Agricoltura e la Protezione dei consumatori (Bmelv) crearono il Consiglio per la bioeconomia come ente di consulenza indipendente per il governo federale tedesco. Il compito principale degli attuali 17 membri del Consiglio, le cui competenze coprono l’intero spettro della bioeconomia, è di trovare metodi e mezzi per soluzioni sostenibili e di presentare le loro idee in un contesto globale. Il Consiglio per la bioeconomia si riunisce regolarmente per redigere dichiarazioni di posizione e fornire consulenze specialistiche, organizzare incontri su tematiche attinenti e promuovere la visione della bioeconomia all’intera società. Le attività sono orientate sia verso obiettivi di lungo periodo sia verso i requisiti della politica in vigore.
All’inizio del 2012, come previsto, il Consiglio per la bioeconomia ha completato il suo primo periodo di attività; l’estate seguente, il governo federale ha nominato un nuovo comitato con lo stesso nome che ha iniziato la sua attività nell’autunno dello stesso anno. Nella scelta dei membri è stata data pari importanza all’area dell’economia, della scienza e della società.
(Fonte: www.biooekonomierat.de)
Quali tipi di bioraffinerie ci sono in Germania?
“Ci sono tre tipi di bioraffinerie. 1) Impianti di produzione singoli: per esempio raffinerie dello zucchero (derivati dello zucchero), oleifici (lubrificanti, biodiesel), fabbriche di prodotti chimici (polimeri biologici), impianti di fermentazione (medicinali) e per i biogas ecc. 2) Poli chimici con unità produttive biobased che utilizzano in cascata l’intero flusso di materiali: ne è un esempio Frankfurt-Hoechst dove tutto il flusso di materiali confluisce nel più grande impianto industriale per la produzione di biogas d’Europa; fornisce gas persino alla rete pubblica. 3) Nuove bioraffinerie da integrare nei poli chimici, come l’impianto pilota della Fraunhofer a Leuna che si concentra esclusivamente sulla produzione di platform chemical da biomassa legnosa.”
Mappa delle bioraffinerie
Da anni in Germania ci si occupa di bioraffinerie. Pertanto sono in diverse fasi di realizzazione tutta una serie di attività che mirano a esplorare e sviluppare vari modelli di bioraffinerie. Ecco alcuni esempi:
- Bioraffinerie per lo zucchero/amido utilizzando cereali/barbabietole da zucchero. Aziende: Südzucker/ CropEnergies a Zeitz (Sassonia-Anhalt).
- Bioraffineria per materiale lignocellulosico derivante da legno gestita da un consorzio coordinato da Dechema come parte del Fraunhofer Center for Chemical-Biotechnological Processes nel polo chimico di Leuna (Sassonia-Anhalt).
- Bioraffineria di materiale lignocellulosico derivante da paglia del Group Biotechnology della Clariant a Monaco di Baviera e Straubing (Baviera).
- Bioraffineria verde per foraggio insilato della Biowert a Brensbach (Hesse).
- Bioraffineria verde per foraggio insilato della Biopos a Selbelang (Brandeburgo).
- Bioraffineria per gas di sintesi da paglia della Kit a Karlsruhe (Baden-Württemberg).
(Fonte: www.bundesregierung.de)
Secondo lei, cosa rende la Germania così attraente per gli investimenti nella bioeconomia?
“Credo – tra le altre cose – che gli investitori apprezzino il mercato interno, l’accesso ai mercati globali e i costi di produzione. Per quanto riguarda il mercato interno, i prodotti biologici sono ben accettati e poiché la Germania è un asso dell’esportazione è anche posizionata bene nei mercati esteri. Benché alcuni costi di produzione, come quelli per il personale, siano più elevati in Germania rispetto ad altre regioni, il paese può contare su altri pilastri della concorrenza. Per esempio, infrastrutture eccellenti, qualità del personale, un sistema politico e amministrativo affidabile e favorevole. Da questo punto di vista, anche il Consiglio per la bioeconomia può essere considerato come un fattore concorrenziale.”
La Clariant ha dichiarato che lo scandalo della Volkswagen favorirà la diffusione del biodiesel. Lei cosa ne pensa? Quali sono – e quali saranno – i benefici di questo evento per la bioeconomia sia in Germania sia a livello globale?
“Una delle conseguenze dello scandalo della VW sarà che le autorità non crederanno più alle aziende. Le autorità controlleranno con maggiore scrupolo le dichiarazioni delle aziende per quanto riguarda le performance. Questa potrebbe diventare la prassi per qualsiasi dichiarazione di rilevanza industriale, inclusa la riduzione di emissioni di gas serra attraverso l’utilizzo di biocombustibili e materie prime organiche. La bioindustria dovrebbe evitare di fornire alle autorità e al pubblico qualsiasi informazione non realistica e fuorviante.”
Alla fine di novembre, la Germania ha ospitato il Global Bioeconomy Summit. Dal punto di vista tedesco, cosa dovrebbe fare l’Unione europea per sostenere ulteriormente la bioeconomia e diventare competitiva a livello mondiale?
“Primo, i prodotti della bioeconomia devono diventare competitivi di per sé. Però i processi e i prodotti biologici non possono competere fin dall’inizio con le alternative fossili i cui costi si sono ridotti nei decenni. I prodotti biologici devono avere l’opportunità di sfruttare la curva di apprendimento dell’ottimizzazione dei processi. Il finanziamento di impianti pilota e dimostrativi attraverso l’attuale programma Horizon2020 è dunque la strada da seguire, ma dovrebbero anche essere eliminate le barriere al coinvolgimento dei privati.
Secondo, oltre alle (limitate) biomasse, i nuovi bioprocessi di riciclo del carbonio da fonti gassose forniscono un’altra possibilità per sostituire il carbonio fossile. Nonostante queste tecnologie non facciano differenza tra carbonio di origine biologica o fossile, questo riciclo del carbonio dovrebbe essere accettato come sostenibile dalla normativa in materia.
Terzo, benché i prodotti chimici in termini economici generino un valore aggiunto in media 7 volte superiore rispetto agli investimenti in energia e inoltre creino più posti di lavoro, le politiche europee danno priorità ai biocarburanti e all’energia. Sarebbe opportuno sostenere entrambi i settori in modo più equilibrato.”