Mangiamo pesce almeno una volta alla settimana, lo acquistiamo prevalentemente al supermercato e siamo pronti a pagare di più purché sia del Mediterraneo, pescato con metodi sostenibili e rispettando l’ambiente. Eppure, come emerge da un sondaggio condotto per Greenpeace da Ixé in Italia, Spagna e Grecia, non molti conoscono la nuova normativa sull’etichettatura che proprio per consentire una scelta più consapevole impone l’obbligo di indicare sia la provenienza del pesce, sia gli attrezzi da pesca utilizzati.
Se da un lato la pesca è una delle attività più antiche praticate dall’uomo, che ancora oggi garantisce il sostentamento del 12% della popolazione mondiale, la sua sostenibilità è un concetto relativamente giovane. Negli ultimi 50 anni, la domanda globale di pesce è quasi raddoppiata e per far fronte a una richiesta in continuo aumento, i governi nazionali hanno sostenuto con fondi pubblici soprattutto la pesca industriale. Eppure la piccola pesca artigianale, condotta con imbarcazioni di lunghezza inferiore ai 12 metri e che non utilizzano attrezzi trainati, rappresenta circa l’80% dei pescherecci che oggi operano in tutto il mondo e garantisce lavoro e sostentamento a milioni di famiglie.
Questo è il tipo di pesca sostenibile: ha un impatto minore sull’habitat marino e rispetta i ritmi biologici del mare, consentendo ai pesci di riprodursi e svilupparsi. Così come sostenibile è il pescatore che rispetta le regole, che utilizza solo attrezzi consentiti e opera in aree e periodi autorizzati. Questa pesca può garantire un futuro al Mediterraneo e ai 300.000 pescatori che la praticano.
Quattordici anni fa, il 23 novembre del 2003, i ministri dell’Unione europea siglarono a Venezia un patto con i paesi della sponda sud del Mediterraneo per la creazione di zone di protezione per la conservazione, il controllo delle attività di pesca e la lotta a quella illegale. Era un’altra epoca: i pescatori erano oltre 200.000 e si contavano più di 80.000 pescherecci, mentre oggi si sono ridotti quasi della metà. Allora si stabilirono alcune regole per salvaguardare specie altamente migratrici come il tonno, il pesce spada, la sardina e l’acciuga. Oggi è necessario fare un passo avanti in direzione di una pesca equilibrata, redditizia, sostenibile e di maggiore attenzione ai piccoli pescatori.
Questi i temi discussi a Malta il 30 marzo scorso nell’ambito della Conferenza ministeriale sulla sostenibilità della pesca nel Mediterraneo. Sotto la regia del Commissario all’Ambiente dell’Ue Karmenu Vella, i ministri di otto paesi europei (Spagna, Francia, Italia, Malta, Slovenia, Croazia, Grecia e Cipro) e sette extra Ue (Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Turchia, Albania e Montenegro), che rappresentano oltre l’80% delle flotte, hanno firmato una nuova dichiarazione, la “MedFish4Ever di Malta”: un progetto politico e una tabella di marcia per i prossimi 10 anni che ha come obiettivo un migliore controllo dei mari e la gestione sostenibile della pesca nel Mediterraneo. Tra gli impegni presi: la lotta alla pesca illegale, lo sviluppo delle aree marine protette (almeno fino al 10% del bacino del Mediterraneo entro il 2020), la messa a punto di un piano per la piccola pesca entro il 2018, la valorizzazione delle filiere che praticano la pesca selettiva e a basso impatto ambientale e una raccolta dati sugli stock ittici sistematica e armonizzata tra paesi Ue ed extra Ue.
Fino a ora la situazione del Mediterraneo è stata affrontata con l’adozione di alcune misure legislative, che prevedono, tra le altre cose, limitazioni allo sforzo di pesca, regolamentazione delle taglie minime delle catture e modalità di utilizzo delle attrezzature di pesca. Tuttavia, queste misure non sono sufficienti, perché manca un approccio ecosistemico che le giustifichi e una politica globale il cui inserirle. Inoltre sono necessarie altre misure complementari, ma non meno importanti, che garantiscano la diversificazione della pesca. Tra queste la promozione del pescaturismo sostenibile e politiche di sensibilizzazione dei consumatori che, attraverso le proprie scelte alimentari, possono contribuire al miglioramento dello stato del Mediterraneo, per esempio prediligendo un consumo di specie ittiche locali, spesso trascurate dalla grande distribuzione, poco conosciute ma non per questo meno buone.
Non dobbiamo dimenticare poi le aree marine protette, che non sono solo uno strumento di salvaguardia dell’ambiente, ma anche una modalità di gestione delle attività di pesca che ha il vantaggio di essere ecosistemica per definizione. Infine, vanno coinvolti nel processo decisionale i pescatori e le loro comunità che sono parte integrante della soluzione, proprio perché sono quelli che vivono il mare ogni giorno. Il loro contributo, così come quello di tutte le altre parti interessate, dagli scienziati alle organizzazioni non governative, è un’opportunità di cui la politica deve approfittare. L’efficacia delle nostre azioni dipende ora dal nostro grado di coesione, di coordinamento e di collaborazione con gli organismi internazionali per la gestione della pesca. Infine bisogna considerare che l’attività di pesca dipende dalla salute degli stock, ma la salute degli stock dipende a sua volta dalla qualità del mare. Per questo in Europa stiamo lavorando alla stesura di un piano di governance degli oceani, multidisciplinare e internazionale.
Sondaggio “Consumatori di pesce poco informati”, tinyurl.com/yazgbv27
Greenpeace, Le abitudini di consumo di prodotti ittici in Italia, Report 2016; tinyurl.com/y96dz7oz
Dichiarazione MedFish4Ever di Malta, tinyurl.com/y8zf22ku
Campagna #MedFish4Ever, tinyurl.com/ycfh6b5t