Circolo su circolo. Si potrebbe chiamare così la nuova esperienza di up-cycling realizzata da Favini basata sull’utilizzo della vinaccia dopo il processo di distillazione per la produzione di carta: la nuova Crush Uva.
Ma è una storia, come tutte quelle che riguardano l’economia circolare, che deve essere raccontata con ordine e che inizia tra i vigneti veneti, noti per vini “storici” come quelli del Pinot e del Merlot, nei dintorni di Bassano del Grappa. Già perché è qui che il nostro grappolo d’uva, bianco o nero che sia, inizia il suo lungo viaggio: dal filare della vite alla carta. Saltando da un settore all’altro e producendo a ogni passo “valore a cascata” come direbbe il padre della blue economy, Gunter Pauli. Il primo passo è la raccolta dell’uva, seguito dalla spremitura per ottenere il mosto che si trasformerà in vino. Vino che è già parte dell’identità territoriale, il cui residuo, le vinacce, con l’innesto tra tradizione e innovazione, offre un prodotto diverso, la grappa, i cui sottoprodotti – è meglio chiamarli così – possiedono già da anni una propria vita. “La vinaccia che utilizziamo per la distillazione dei nostri prodotti (grappe, liquori, amari e aperitivi, ndr), dopo la lavorazione ha già da anni una nuova vita” ci dice Andrea Manzoli, direttore operativo della storica distilleria Nardini attiva dal 1779, 50 dipendenti, 3.800 ettolitri prodotti ogni anno con circa 10 milioni di euro di fatturato annuo. “È dagli anni ’70 che per noi la vinaccia con i suoi due componenti, buccia d’uva e vinaccioli, non è più un rifiuto. La prima viene utilizzata come mangime animale, mentre la seconda si invia agli oleifici, dove si ottiene l’olio di vinacciolo utilizzato in gastronomia e cosmesi.”
Andrea Manzoli
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Per dare un’idea di ciò che Nardini tratta in termini quantitativi bisogna pensare che la materia prima in entrata è rappresentata da 100.000 quintali di vinacce che hanno una resa, in termini di distillato, tra il 3,2 e il 3,8% negli impianti continui e del 4% in quelli discontinui che potremmo considerare storici. E la resa in termini di materia prima seconda, ossia il sottoprodotto, è del 20%. Una volta effettuata la distillazione si ottiene una vinaccia disalcolata che è introdotta in essiccatoio: qui è insufflata aria calda, fino a quando non viene essiccata con un’umidità inferiore al 10%, dopo di che si separa la buccia, che viene macinata, dal vinacciolo e si avvia la materia prima seconda a nuova vita. E il processo è rinnovabile. Già perché il 20% della materia prima seconda viene utilizzata per generare il calore necessario all’essiccamento che una volta esaurito questo compito serve per riscaldare gli uffici.
“Alcuni anni fa per la produzione energetica usavamo la parte legnosa del vinacciolo proveniente dagli oleifici dopo l’estrazione dell’olio” prosegue Manzoli. “Poiché per l’estrazione dell’olio si utilizza un solvente sul fronte dei rifiuti abbiamo invece preferito utilizzare per la generazione del calore parte della buccia e dei vinaccioli a monte della disoleazione.” Questa decisione è però significativa circa il fatto che nelle nascenti filiere industriali dell’economia circolare ogni tassello deve avere un suo, preciso, posto. E per fare ciò è necessaria una visione di sistema che valuti la catena del valore, con le questioni ambientali, lungo tutte le nuove filiere.
E non si creda, comunque, che tutto questo processo abbia uno scarso valore sul fronte strettamente economico. I 20.000 quintali di materia prima seconda prodotta ogni anno hanno un valore compreso tra i 15 e i 17 euro al quintale – tra i 300.000 e i 340.000 euro – che è in costante rialzo anche a causa della possibilità d’impiego energetico.
L’uva che diventa carta
Crush Uva si inserisce nel panorama più vasto delle carte Crush prodotte da Favini con scarti e sottoprodotti delle lavorazioni agroindustriali. Queste materie prime seconde sostituiscono fino al 15% della cellulosa proveniente dalle piante: finora vengono utilizzati – e salvati dalle discariche – i residui di agrumi, ciliegie, lavanda, mais, olive, caffè, kiwi, nocciole, mandorle e per l’appunto uva. La carta Crush è certificata Fsc (Forest Stewardship Council), viene realizzata completamente con energie rinnovabili, è senza ogm e contiene 30% di riciclato post-consumo. In questa maniera ha una carbon footprint ridotta del 20% rispetto alle carte normali.
Torniamo ora al nostro percorso: bucce e vinaccioli si trovano a un bivio. Cosmesi e allevamento, contro carta e magari energia. Ma in realtà non c’è una vera contrapposizione.
“Il processo usato da Nardini non è così diffuso come si potrebbe pensare” afferma Achille Monegato, direttore settore ricerche di Favini. “Altri, la maggior parte dei distillatori, non essiccano la vinaccia, al massimo la usano per produrre biogas, o come ammendante, oppure la cedono umida, dopo averla disalcolata, uno stato che la rende inutilizzabile per la produzione di carta. Nardini ha capito che essiccando la vinaccia, questa avrebbe trovato una seconda collocazione e sarebbe diventata, come è stato, una nuova fonte di reddito.” Effettivamente fare sistema in un panorama di piccoli soggetti, come le distillerie, può essere un problema anche perché pochi hanno le dimensioni necessarie per dotarsi di un forno per l’essicazione. “Noi vorremmo fare sistema con Nardini che è un’eccellenza e un brand forte” prosegue Monegato. “E con questa esperienza potremmo creare un altro mercato, attraverso l’utilizzo in cartiera della vinaccia disalcolata ed essiccata, incrementando il prezzo visto l’aumento di domanda. Allora si potrebbe innescare una nuova filiera, poiché i distillatori a questo punto troverebbero conveniente dotarsi di essiccatori.”
Quindi filiere che si incrociano, ma con una sorta di delicatezza, con attenzione, perché i fattori in gioco quando si parla di sistemi industriali sono parecchi. La logica che usano a Favini, dove Crush Uva è solo una delle carte realizzate con materie prime seconde, è chiara. Il “dogma” è quello di usare materie prime, anche seconde, non intaccando sotto nessun aspetto il settore del food. Ossia nessun materiale destinato direttamente all’alimentazione deve essere impiegato per produrre carta. “Se tutto, processo e materiale, va già nella direzione dell’economia circolare allora è chiaro che la nostra strada non ha molto senso – continua Monegato – però se solo una parte del quantitativo esistente di un materiale, come nel caso della vinaccia, viene riutilizzata ecco che il nostro intervento ha un senso. E si innesca, così, anche un mercato”.
Per quanto riguarda la percentuale di materia derivata dalla vinaccia, presente nella nuova carta di Favini, siamo al 15% cosa che migliora l’Lca (valutazione del ciclo di vita) del prodotto, anche perché in questa maniera si sostituisce materia prima pregiata con un sottoprodotto di un’altra filiera attuando un’operazione di up-cycling.
Vinacce e dintorni
Sul fronte di questa nuova filiera industriale bisogna considerare anche la tipologia della materia prima seconda necessaria alle distillerie: la vinaccia. La vinaccia da uva rossa ha una resa superiore, sia come buccia, sia come vinaccioli che sono di più. Il colore però interessa solo le cartiere e non ovviamente gli oleifici e i mangimifici. La vinaccia deve arrivare in distilleria entro 24 ore dalla spremitura pena la perdita delle sue caratteristiche peculiari e l’insorgenza di muffe. Per questa ragione la filiera deve essere breve, Nardini si approvvigiona tra il Brenta e il Piave, e il processo deve seguire i ritmi della vendemmia, prima il vitigno bianco come il Pinot e poi quelli rossi come il Cabernet e il Merlot. La vinaccia una volta arrivata in distilleria, tra agosto e fine d’ottobre, viene messa nei silos, pressata per levare l’aria e fatta fermentare in un ambiente anaerobico dove un fungo, il Saccharomyces cerevisiae, trasforma lo zucchero in alcool. Quindi si passa alla distillazione per tipologia di vinaccia. Ragione per la quale se una cartiera come Favini avesse bisogno di bucce bianche dovrebbe ritirarle tra ottobre e novembre, quando viene distillato il Pinot. E non è una cosa da poco incrociare, nei tempi e nei metodi, le filiere agricole e quelle industriali.
La grande sfida di queste carte, che non hanno alcun problema sul fronte della gestione tecnica, poiché possono essere trattate come quelle normali nelle fasi di stampa e della cartotecnica, è di essere “capite” sotto il profilo per così dire “culturale”. La novità più apprezzata è quella dell’aspetto tattile e visivo: Crush Uva infatti si presenta con un colore grigio chiaro e con una puntinatura di fondo data proprio dai sottoprodotti utilizzati. “Fin dal principio, infatti, abbiamo deciso di non purificarla o sbiancarla con processi chimici aggiuntivi lasciandola così come è, con queste sue ‘imperfezioni’ che diventano un messaggio.” La sfida, quindi, è offrire un materiale che consenta, al settore del vino, un salto sul fronte dell’immagine e del marketing, offrendogli nel concreto un esempio d’economia circolare. Ossia di confezionare il proprio prodotto con una carta che possiede al suo interno del materiale proveniente dal settore stesso.
Ed è una sfida che è stata accettata da un soggetto appartenente a un segmento di sicuro non marginale: quello dello champagne. La carta Crush Uva, infatti, è stata scelta per il packaging della nuova linea di champagne “Naturally Clicquot 3” della maison francese Veuve Clicquot. “Il vino ha un richiamo forte e poter associare la nostra carta ai vini, oltretutto di grande qualità, rappresenta un tassello importante nel quale i nostri concetti sul riuso creativo dei materiali trovano un connubio ideale”, ci dice Eugenio Eger, amministratore delegato di Favini. Nel lavoro fatto da Favini con Veuve Clicquot l’obiettivo era creare un packaging per un nuovo prodotto che però doveva essere in linea con l’immagine ricercata e d’alto profilo dell’azienda francese che ha, sotto questo aspetto, delle specificità persino all’interno del settore dei produttori di champagne. “Veuve Clicquot non mira all’immagine scintillata e metallizzata tipica della maggior parte dei produttori di champagne, ma possiede un suo percorso specifico e unico che si discosta dagli altri” prosegue Eger. “Solo cinque anni fa sarebbe stato impossibile condurre un’operazione di questo genere. Sono rimasto veramente impressionato durante gli incontri con l’ufficio marketing di Veuve Clicquot: avevano osato tanto, avevano fatto un salto molto coraggioso nel modificare in maniera netta e drastica l’impostazione patinata della loro immagine”. L’impressione che si ha osservando il packaging di “Naturally Clicquot” è “che abbiano voluto percorrere un sentiero di unione tra l’alto della gamma che è caratterizzata dall’immagine più raffinata e la naturalità del nuovo prodotto”, prosegue Eger. “È evidente – aggiunge – che hanno percepito il fatto che la connotazione dell’ecosostenibilità diventa un elemento premiante anche nell’ambito del lusso e l’azienda francese si presenta come l’antesignana di una logica che potrebbe diffondersi anche in altri settori merceologici”. E osservando il packaging di “Naturally Clicquot” non si ha solo questa impressione. Uno dei quattro lati della scatola, infatti, è dedicato alla spiegazione, rapida ed efficace realizzata con infografiche, del processo con cui viene prodotta.
La scelta è chiara. Valorizzare nel concreto il contenuto di sostenibilità nel suo complesso, packaging compreso. Ora la sfida è diffondere questa logica nel resto del settore vinicolo, a cominciare dalle etichette e dal materiale promozionale. E sviluppando una logica di marketing nella quale il contenuto, ecosostenibile, diventa messaggio. Anzi: il contenitore stesso per le sue caratteristiche ecologiche diventa parte fondante del messaggio.
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