Il corretto trattamento dei rifiuti – dalla raccolta ove essi si formano fino alla fine dei processi di lavorazione – necessita, per garantire con stabilità i migliori risultati ambientali e il minimo costo per il cittadino, non solo di un insieme di efficienti ed efficaci attività operative (fisiche) ma, quando non si autosostiene economicamente, anche di una attenta gestione basata su una costante visione di filiera, pianificazione e monitoraggio delle attività, sorveglianza degli operatori e tracciamento dei flussi. Per riflettere una concezione moderna e liberista dell’economia, le attività operative andrebbero affidate ad aziende qualificate, esperte e specializzate, spesso multicodice, di cui è ricco il mercato italiano. Le quali, operando in regime di libera concorrenza, sono in grado di assicurare i migliori risultati in termini di costo e livello di servizio.

Più delicato, invece, è stabilire l’inquadramento nazionale del sistema di gestione dei vari flussi, anche in relazione alle varie tipologie di rifiuti, e cioè:

  • provenienti dal suolo pubblico e dallo spazzamento delle strade;
  • urbani, generati nelle abitazioni;
  • speciali, generati nei siti industriali, artigianali, commerciali.

La natura merceologica del rifiuto, la sua origine, nonché “l’ambiente” a cui i rifiuti appartengono, determinano flussi molto differenti, che a loro volta richiedono non solo diversi trattamenti operativi ma anche diversi modelli gestionali.

 

I quattro modelli di base

L’inquadramento di fondo non può che partire dal Ministero dell’Ambiente, quale massimo livello di responsabilità nel paese che, direttamente o tramite una Agenzia, può alternativamente:

1. rapportarsi direttamente con tutti gli operatori della gestione. Il modello può funzionare solo in presenza di una elevata coscienza civica dei cittadini e delle aziende, ma soprattutto di una elevata capacità di governo e controllo da parte dell’Autorità centrale, responsabile del funzionamento del sistema. Definiamo questo come un modello a responsabilità individuale degli operatori o di mercato libero, con costi e livelli di servizio governati dalla competizione;

2. attribuire la responsabilità della gestione alla autorità locale, che può operare in parte direttamente e in parte indirettamente. Questo approccio richiede una pubblica amministrazione preparata, efficiente, di grande capacità organizzativa, manageriale ed esecutiva. Si tratta di un modello a responsabilità della PA, con costi appoggiati al sistema della tassazione e livelli di servizio imposti;

3. affidare la responsabilità della pianificazione e controllo a una rappresentanza dei soggetti operanti nella filiera. È il modello a responsabilità di filiera, ove i costi, il livello di servizio e l’intero funzionamento risentono del compromesso continuo tra differenti interessi e priorità;

4. affidare la responsabilità ai produttori del bene, secondo il modello della responsabilità estesa del produttore, il soggetto che più di tutti gli altri ha un diretto interesse nel contenimento del costo al cittadino e nel massimo livello di servizi.

 

Responsabilità estesa, il modello più premiante

Per la maggior parte dei flussi, di rifiuti non domestici e provenienti da utenze industriali, si ritiene premiante (e ce lo ricorda anche il legislatore comunitario) il modello della responsabilità estesa del produttore. Esso contiene infatti intrinsechi elementi di successo, in quanto il produttore del bene:

  • gestisce con impegno per dimostrare che i suoi prodotti non arrecano danni all’ambiente o alla salute delle persone; 
  • è incentivato ad alleggerire al massimo il prezzo di vendita (che include il contributo ambientale) e perciò a studiare beni e prodotti sempre più facilmente riciclabili, eliminando materiali e soluzioni costruttive che rendono le operazioni di recupero più onerose; 
  • è motivato a garantire un buon livello di servizio a valle della produzione, presso le strutture distributive e i consumatori;
  • resta estraneo alle varie fasi della gestione del rifiuti, con miglior possibilità – da una parte – di garantire l’autonomia e l’integrazione della filiera, e dall’altra di facilitare la separazione dei ruoli, con notevole riduzione dei conflitti di interesse;
  • è interessato alla re-immissione dei materiali derivati (punto base della circular economy). 
  • Inoltre, il modello della responsabilità estesa del produttore agevola la diffusione, nei servizi di pubblico interesse, della cultura dell’efficienza tipica delle imprese. D’altra parte, la pubblica amministrazione conserva senza inquinamenti le sue prerogative di rappresentazione della cittadinanza, fissando obiettivi e supervisionandone il raggiungimento.

 

I principi fondamentali dell’organizzazione Epr

Perché una organizzazione impostata sul modello della responsabilità estesa del produttore funzioni davvero, è necessario che vengano rispettati alcuni principi fondamentali, che potrebbero essere così riassunti:

  • l’organismo di gestione deve essere autonomo, con idonea personalità giuridica, dedicato totalmente allo scopo e separato dalla conduzione di altre attività;
  • lo Statuto deve essere specificamente approvato dal Ministero dell’Ambiente; 
  • non deve sussistere fine di lucro né diretto né indiretto (tramite partecipazioni);
  • l’organo responsabile della gestione deve essere costituito esclusivamente dalla categoria dei produttori/importatori, cioè da chi immette il bene nel mercato;
  • il collegio sindacale deve prevedere la presenza di un componente di nomina ministeriale;
  • devono essere specificate nello Statuto le modalità di rendicontazione dell’attività al Ministero dell’Ambiente, sia seguendo le indicazioni ministeriali sia ai fini di progredire verso una completa tracciabilità dei flussi gestiti;
  • i responsabili apicali devono sottoscrivere un “Codice Etico” volontario, possibilmente promosso anche in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente;
  • deve essere assicurata la copertura a tutto il territorio nazionale e per tutte le tipologie di rifiuti comprese nel perimetro della gestione affidata;
  • le attività operative non possono essere effettuate da aziende possedute, partecipate o controllate né direttamente né indirettamente; esse devono essere assegnate tramite gare aperte a tutte le aziende in possesso dei requisiti minimi;
  • deve essere garantita grande trasparenza verso tutti, con pubblicazione in internet delle informazioni e dei dati rilevanti (modello organizzativo, soci, partner, bilanci), indicati dal Ministero dell’Ambiente;
  • i valori del contributo devono essere determinati in correlazione ai costi complessivi di gestione e devono restare esenti da influenzamenti di natura commerciale o finanziaria; il calcolo del contributo deve essere documentato al Ministero dell’Ambiente.

 

Punti fragili dei modelli non Epr

Vi sono comunque flussi di rifiuti per i quali possono risultare più idonei schemi di gestione diversi dall’Epr. Essi pongono però alcuni delicati problemi: 

  • il modello a “responsabilità della pubblica amministrazione”, presenta due rilevanti controindicazioni: il conflitto di interessi tra controllore (la PA stessa nel suo ruolo amministrativo) e il controllato (la PA nel suo ruolo di rappresentante dei beneficiari del servizio) e la distonia tra gli strumenti a disposizione (impostati per amministrare la res pubblica) e quelli necessari per garantire elevata efficienza ed efficacia;
  • il modello del “mercato libero” è poco compatibile – allo stato attuale – con il livello di cultura civica dei cittadini, delle aziende e dei soggetti coinvolti e con le possibilità della PA di effettuare attenti e frequenti monitoraggi e controlli;
  • il modello della “responsabilità di filiera” vede un sistema di ripartizione tra rappresentanti della fornitura dei materiali di produzione, dei produttori del bene, della raccolta, trasporto e lavorazione dei rifiuti e dell’utilizzo dei materiali derivati. Il rischio è che si costituisca un centro autoreferenziale che deve continuamente trovare delicati equilibri interni. Infatti, i soggetti della filiera hanno obiettivi contrastanti sia di natura operativa sia economica e spesso tendono a privilegiare i propri rappresentati anziché il cittadino/consumatore. 
  • Nei sistemi appartenenti a queste tre categorie si lamentano spesso sprechi di risorse, inefficienze, tariffe in aumento, insoddisfazione sul servizio, opacità nei comportamenti. Pertanto, se si decidesse di implementarli occorrerebbero probabilmente nuovi correttivi. 

La proposta di un codice etico per i compliance scheme: una bozza per la discussione

La proposta è che, per ottenere e mantenere l’autorizzazione del Ministero dell’Ambiente a gestire una filiera di rifiuti, ogni organizzazione interessata debba, contestualmente alla presentazione dello Statuto, consegnare obbligatoriamente il proprio Codice Etico, sottoscritto dai vertici apicali (presidente, amministratore delegato, amministratore, direttore generale), che preveda almeno i seguenti impegni:

1. Costituire/mantenere l’organizzazione con gestione autonoma, che sia:

  • dedicata totalmente ed esclusivamente alla filiera di rifiuti, come individuata nello Statuto e all’unico scopo ivi esplicitamente declinato (per esempio: pianificazione, controllo e tracciamento dei flussi; gestione delle attività correnti, dello sviluppo e della comunicazione; amministrazione del contributo);
  • limitata nelle attività a quelle strettamente necessarie al perseguimento dello scopo, senza conduzione di altre attività, in particolare operative, a evitare conflitti di interesse con il proprio ruolo di gestione super partes della filiera;
  • improntata costantemente ai principi di oggettività, trasparenza e non discriminazione.

2. Mantenersi estranei ad attività commerciali correlate, allo scopo dell’organizzazione ed evitare ogni forma di comportamento potenzialmente distorsivo della concorrenza, relativamente alla gestione sia dei rifiuti sia dei prodotti che li originano. Garantire la massima riservatezza a tutti i soci, sia tra di loro sia verso l’esterno della organizzazione. 

3. Accettare in qualità di soci solo aziende che immettono nel mercato gli specifici beni/materiali che diventano poi oggetto della propria gestione, una volta giunti a fine vita. Assicurare a tutti i soci parità di trattamento.

4. Facilitare l’inserimento e l’attività di un componente di nomina ministeriale nel collegio sindacale.

5. Evitare di trasferire ai soci qualsiasi beneficio economico, sia diretto sia indiretto.

6. Affidare le singole attività operative, che non possono essere effettuate da aziende possedute, partecipate o controllate né direttamente né indirettamente, ad aziende identificate tramite gare aperte a tutte le aziende in possesso dei requisiti minimi dichiarati.

7. Assicurare copertura su tutto il territorio nazionale e per tutte le tipologie di rifiuti comprese nel perimetro dettato dalla norma, senza alcuna discriminazione di raccolta e di trattamento. 

8. Segnalare costantemente ai propri soci le opportunità di immettere nel mercato beni/materiali sempre più facilmente riciclabili, riprogettando i propri prodotti ed eliminando materiali e soluzioni costruttive che rendono le operazioni di recupero più onerose.

9. Garantire ai cittadini reale trasparenza su tutte le attività svolte, pubblicando in internet le informazioni e i dati rilevanti (modello organizzativo, soci, partner, conto economico, progetti di sviluppo).

10. Segnalare immediatamente al Ministero dell’Ambiente ogni variazione a Statuto e Codice Etico introdotta successivamente alla loro approvazione.