Per il Coou (Consorzio obbligatorio degli oli usati) il bilancio dei 30 anni di attività è l’occasione per una riflessione sulle potenzialità offerte da un modello di recupero di una materia essenziale per il sistema industriale, un modello che potrebbe essere replicato anche in altri settori con forti ricadute positive sia sul piano economico sia su quello ambientale.
I numeri sono riassunti nel Green Economy Report curato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile che ha scelto questo approccio per evidenziare non solo le performance ambientali del Consorzio ma l’effetto più ampio prodotto dall’impegno trentennale del Coou, cioè le ricadute ambientali, economiche e sociali sull’insieme del paese. E per sottolineare l’importanza della spinta verso l’innovazione dell’intero ciclo produttivo: “Guardando la serie storica dell’immesso al consumo (decrescente) in relazione al Pil (crescente) si ha l’immediata immagine del disaccoppiamento nascente tra uso dell’olio lubrificante e ricchezza prodotta: è un caso di scuola che dimostra come i processi innovativi riescano, a parità di prestazioni, a ridurre il consumo di beni materiali garantendo (o migliorando) la qualità del servizio svolto”.
La storia del Coou è particolarmente significativa perché testimonia la possibilità di un cambio di rotta di 180 gradi che ha permesso di ribaltare una situazione molto critica grazie a una scelta strategica capace di tenere assieme le ragioni della tutela ambientale e quelle della convenienza economica.
La raccolta e la rigenerazione degli oli usati muovono infatti i primi passi in un’epoca lontana e difficile: il debutto avviene in un clima da Far West.
Siamo ai tempi dell’autarchia e il recupero dell’olio usato viene interpretato in modo molto rudimentale, accontentandosi di un processo molto sommario di riduzione delle impurità: secchi e calze da donna erano spesso i soli strumenti disponibili per improvvisare un filtro. Del resto, nell’economia di guerra tutte le preoccupazioni erano concentrate nello sforzo di sopravvivenza e non aveva senso pensare alla salvaguardia dell’ambiente.
Nell’immediato dopoguerra la situazione del settore migliora solo sul piano quantitativo: regole ambientali e correttezza fiscale restano un miraggio.
La scoperta del commercio illecito di prodotti petroliferi, lo “scandalo petroli” degli anni ’70, sembrerebbe chiudere la stagione degli abusi più o meno tollerati, ma nel settore dei lubrificanti, l’esenzione fiscale per l’olio recuperato è generosa e molti chiudono un occhio sui controlli. Trova spazio l’immissione fraudolenta di lubrificanti sul mercato con la vendita d’importanti quantitativi di olio vergine spacciato per riciclato per ottenere lo sconto impositivo.
I vantaggi economici sono apprezzabili, ma poco o nulla dei proventi del settore va all’ammodernamento degli impianti e alla sicurezza.
Dal punto di vista industriale e ambientale il salto si registra solo nel decennio successivo: la pressione crescente dell’Unione europea apre la porta a nuove regole. Si arriva così, nel 1984, alla nascita del Coou, una decisione dettata più da preoccupazioni ambientali che da una visione industriale avanzata.
All’epoca in Italia il ciclo di raccolta era in evoluzione: erano attive sei raffinerie di rigenerazione e una buona quantità di raccoglitori dotati molto spesso di strumenti di lavorazione inadeguati.
Con la spinta del Coou le cose cominciano a cambiare, anche perché il processo viene sostenuto da un’opinione pubblica sempre più allarmata dalle conseguenze del livello di inquinamento ambientale. Il Consorzio avvia una campagna di comunicazione pressante che si rivolge prima agli operatori (del settore auto: officine, garage, flotte aziendali e di quello industriale) e poi all’opinione pubblica per coinvolgere milioni di persone nella prevenzione spiegando che quattro chili di olio usato, l’equivalente del normale cambio di un’auto, scaricati in mare inquinano una superficie grande come un campo di calcio. È un messaggio sostenuto da una capacità operativa andata via via crescendo. L’epoca degli abbandoni tollerati e dello smaltimento a rischio è finita: ora i serbatoi vengono costruiti con modalità rigorose, bisogna usare pompe aspiranti e filtri, l’olio usato raccolto viene analizzato, la sicurezza è in primo piano.
Con il 2003 si arriva a un altro salto di qualità: la nuova dirigenza del Consorzio propone un’innovazione nel metodo di calcolo che riapre i giochi: gli obiettivi di raccolta sembravano praticamente raggiunti, ma i conteggi più raffinati sulla quota di olio che si perde durante l’uso (evaporazione, assorbimento) e sull’evoluzione della tecnologia (le macchine moderne consumano molto meno olio) mostrano che in realtà resta in circolazione più olio di quanto si pensasse: c’è bisogno di un ulteriore sforzo di raccolta.
Uno sforzo capillare nella raccolta che premia, sempre più, la destinazione verso la rigenerazione che ormai intercetta più del 90% dell’olio recuperato, la combustione passa a una quota via via decrescente mentre un’attenzione particolare viene posta all’olio usato inquinato da sostanze nocive che deve essere termo distrutto.
Un esempio di rispetto della gerarchia europea sulla destinazione dei rifiuti che colloca l’Italia al vertice delle buone pratiche del settore (la media Ue è circa il 50% di olio rigenerato).
L’effetto di queste politiche ha lasciato il segno non solo dal punto di vista della protezione ambientale, ma anche sul fronte economico (un quarto delle basi lubrificanti immesse al consumo in Italia viene dalla rigenerazione, con un evidente beneficio per la nostra bilancia dei pagamenti) e occupazionale. L’evoluzione della filiera è stata impressionante: al posto delle vecchie e precarie strutture si sono sviluppate 72 imprese moderne e ben strutturate, più del 90% dei raccoglitori ha un sistema di gestione ambientale Iso 14001 e i principali impianti di rigenerazione hanno una registrazione Emas.
Ora, con un mercato che tende ad aprirsi in una dimensione globale, la competizione per le materie prime seconde diventa sempre più serrata e l’Italia si trova di fronte a una nuova sfida anche in questo campo. Le perfomance di eccellenza raggiunte dal sistema di raccolta e rigenerazione dell’olio usato costituiscono la premessa che può aiutarci a vincere la scommessa sull’efficienza, sulla sicurezza e sulla produttività.
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