È questo il motivo per cui l’innovazione è stata posta al centro della strategia “Europa 2020” a sostegno dell’occupazione, della produttività e della coesione sociale in Europa. L’Unione europea ha definito dei percorsi per raggiungere una crescita intelligente (attraverso lo sviluppo delle conoscenze e dell’innovazione), sostenibile (basata su un’economia più sostenibile, più efficiente nella gestione delle risorse e più competitiva) e inclusiva (volta a promuovere l’occupazione, la coesione sociale e territoriale). Questa ambiziosa visione di sviluppo si concretizza in una serie di obiettivi quantificabili da raggiungere entro il 2020, vale a dire: portare al 75% il tasso di occupazione delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni; investire il 3% del prodotto interno lordo (Pil) in ricerca e sviluppo; ridurre le emissioni di carbonio al 20% (e al 30% se le condizioni lo permettono); aumentare del 20% la quota di energie rinnovabili e aumentare l’efficienza energetica del 20%; ridurre il tasso di abbandono scolastico a meno del 10% e portare al 40% il tasso dei giovani laureati; ridurre di 20 milioni il numero delle persone a rischio di povertà.

È logico che il raggiungimento di obiettivi così ambiziosi sia strettamente legato a coerenti politiche per il finanziamento della ricerca e l’innovazione tecnologica. Il programma di finanziamento integrato “Horizon 2020” fornisce il necessario supporto finanziario per l’implementazione di queste politiche, ed è strutturato secondo tre pilastri o priorità: “Eccellenza scientifica”, “Leadership industriale” e “Sfide per la società”. Il nuovo Programma è attivo dal 1° gennaio 2014 fino al 31 dicembre 2020, con un budget di 79 miliardi di euro.

Il primo pilastro, “Eccellenza scientifica” (24,4 miliardi di euro), riguarda la ricerca di frontiera, tecnologie future ed emergenti. Queste attività devono mirare a sviluppare competenze a lungo termine, incentrandosi fortemente sulla scienza, i sistemi e i ricercatori delle prossima generazione. Le azioni di ricerca svolte in quest’ambito devono essere stabilite in base alle esigenze e alle opportunità scientifiche, senza priorità tematiche prestabilite (approccio bottom up). Per tale motivo la ricerca viene finanziata sulla base dell’eccellenza scientifica. 

Il secondo pilastro di Horizon 2020 (17 miliardi di euro) deve consentire di rafforzare la leadership industriale in Europa attraverso una gamma completa di strumenti di sostegno dell’intero ciclo della ricerca e dell’innovazione, secondo priorità tematiche stabilite dalle imprese. La realizzazione dell’innovazione tecnologica si gioverà delle cosiddette “tecnologie abilitanti” (key enabling technologies) che sono state individuate come strumenti chiave per lo sviluppo industriale: le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le nanotecnologie, i materiali avanzati, le biotecnologie, la fabbricazione e trasformazione avanzate, lo spazio. 

Il terzo pilastro, “Sfide per la società” (circa 30 miliardi di euro), mira a realizzare azioni di ricerca, sviluppo tecnologico, dimostrazione e innovazione che contribuiscono a obiettivi identificati come prioritari, quali benessere, alimentazione, energia, ambiente, trasporti, uso delle risorse, cambiamenti sociali.

Come sottolineato dalla Commissione europea, il principale problema per l’Unione e i suoi stati membri è probabilmente quello di arrivare a impostare l’approccio all’innovazione in un modo molto più strategico. Occorre definire un approccio nell’ambito del quale l’obiettivo dell’innovazione sia la chiave di volta di tutte le politiche, si adotti una prospettiva a medio-lungo termine, ogni elemento delle politiche adottate (strumenti, provvedimenti e finanziamenti) sia ideato in vista del contributo che fornisce all’innovazione, le politiche a livello di Unione e a livello nazionale/regionale siano strettamente allineate e si rafforzino a vicenda e, ultimo aspetto ma non per importanza, i vertici politici definiscano un’agenda strategica e seguano regolarmente i progressi compiuti per intervenire qualora si verifichino ritardi.

 

Quale innovazione per la bioeconomia e la bioindustria europea?

L’Europa possiede un potenziale unico di risorse intellettuali e industriali nonché un contesto culturale favorevole per lo sviluppo di nuovi modelli economici e produttivi che coniughino efficienza e sostenibilità. In tal senso Horizon 2020 traccia un percorso per lo sviluppo di una bioeconomia europea che deve rispecchiare effettivamente le esigenze dei cittadini, rispettando e valorizzando le specificità territoriali e dell’ambiente. Le regioni a forte vocazione rurale, nonché le aree costiere, possono trovare nello sviluppo di un proprio modello di bioeconomia uno strumento per fronteggiare lo spopolamento e la disoccupazione. La piccola Europa, paragonata con gli altri continenti, ha uno sviluppo di coste enorme. Se poi teniamo conto anche di tutte le sue isole, questa lunghezza diventa sbalorditiva: circa 100.000 chilometri, equivalenti a due volte e mezzo la circonferenza della Terra. Circa 200 milioni di cittadini europei vivono in prossimità delle zone costiere e in molti casi basano la loro sussistenza sulle risorse offerte dall’ecosistema marino acquatico.

Nell’ottica di uno sviluppo rispettoso del territorio si colloca il concetto di “bioraffineria integrata”, vale a dire un sistema industriale che si basa su tecnologie in grado di sviluppare prodotti a base biologica, rinnovabili e sostenibili ma anche prodotti intermedi e biocarburanti. Questo complesso sistema integrato si sviluppa secondo un approccio a cascata, in linea con i principi della cosiddetta economia circolare, dove tutti i componenti della biomassa vengono sfruttati e trasformati, in modo tale che i prodotti ad alto valore aggiunto possono contribuire alla sostenibilità economica dell’intero ciclo produttivo. Al termine di tale ciclo, i residui di lavorazione possono ritornare al suolo, fungendo da nutrienti per le attività agricole e prevenendo il depauperamento dei terreni. È evidente che l’approvvigionamento di materie prime rappresenta un elemento cruciale di tale strategia e deve essere coerente con le risorse offerte dal territorio, senza andare a minare gli equilibri ecologici né sociali. 

Ampliando la gamma di tipologie di biomassa destinate a essere utilizzate nelle bioraffinerie di seconda e terza generazione, ivi comprese quelle provenienti dalla silvicoltura, dai rifiuti organici e dai sottoprodotti industriali, sarà possibile evitare i conflitti tra prodotti alimentari e combustibili e sostenere uno sviluppo economico rispettoso dell’ambiente nelle aree rurali e costiere dell’Unione europea. L’innovazione tecnologica deve perciò incentrarsi sulla biomassa che non è in concorrenza con l’alimentazione e prendere altresì in esame la sostenibilità dei correlati sistemi di utilizzazione del suolo. In particolare, ci si attende che la ricerca scientifica permetta di valorizzare economicamente una gamma sempre più ampia di risorse rinnovabili, di rifiuti organici e di sottoprodotti grazie a processi nuovi ed efficienti sotto il profilo delle risorse, compresa la trasformazione di rifiuti organici urbani e il loro utilizzo nel settore agricolo.

Questo permetterà anche di superare i conflitti etici creati dall’introduzione dei biocarburanti di prima generazione da parte di paesi (Cina, Usa, Brasile) che sono stati promotori di tecnologie basate sull’impiego di risorse agricole usabili anche a scopo alimentare. 

Le biotecnologie, identificate come tecnologie abilitanti di fondamentale importanza, possono contribuire a portare avanti l’innovazione e ad aumentare l’efficienza dell’uso delle risorse per produrre “di più con meno”. L’obiettivo è duplice: da un lato, consentire all’industria europea (per esempio chimica, sanità, industria mineraria, energia, cellulosa e carta, legno e prodotti a base di fibre, tessile, amido e industrie di trasformazione dei prodotti alimentari) di mettere a punto nuovi prodotti e processi che soddisfino nel contempo esigenze industriali e sociali, utilizzando preferibilmente metodi di produzione competitivi rispettosi dell’ambiente e sostenibili; dall’altro, sfruttare il potenziale delle biotecnologie per individuare, monitorare, prevenire ed eliminare l’inquinamento. 

Secondo alcune stime il passaggio a materie prime biologiche e a metodi di trasformazione biologici potrebbe permettere di risparmiare fino a 2,5 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente l’anno entro il 2030, con una crescita sostanziale dei mercati delle materie prime e dei nuovi prodotti di consumo biologici. Il programma Horizon 2020 indica nel dettaglio le strategie da seguire per sfruttare queste potenzialità, che devono essere fondate sullo sviluppo di conoscenze e (bio)tecnologie pertinenti, incentrandosi principalmente su tre elementi essenziali: a) sostituzione dei processi di trasformazione attuali, a base fossile, con processi basati sulle biotecnologie efficienti sul piano delle risorse e delle energie; b) creazione di catene di approvvigionamento affidabili, sostenibili e adeguate di biomassa, sottoprodotti, flussi di rifiuti e una vasta rete di bioraffinerie in tutta Europa; c) incentivazione dello sviluppo del mercato per i prodotti e i processi biologici, tenendo conto dei relativi rischi e vantaggi. 

Poiché ci si attende che l’innovazione biotecnologica apra nuovi mercati, è di fondamentale importanza una standardizzazione e una certificazione a livello sia dell’Unione sia internazionale, anche ai fini della determinazione del contenuto biologico, delle funzionalità e della biodegradabilità dei prodotti. Occorre sviluppare ulteriormente le metodologie e le strategie relative all’analisi del ciclo di vita e adeguarle costantemente ai progressi scientifici e industriali. 

Merita un discorso a parte l’attenzione riservata da Horizon 2020 alle risorse biologiche acquatiche. Più del 90% della biodiversità marina è ancora inesplorata e offre un enorme potenziale per la scoperta di nuove specie e applicazioni nel campo delle biotecnologie marine, che dovrebbe generare una crescita annua del 10% per questo settore. Una delle principali caratteristiche delle risorse biologiche acquatiche è che esse sono rinnovabili e il loro sfruttamento sostenibile si basa su una conoscenza approfondita e una qualità e una produttività elevate degli ecosistemi acquatici. L’obiettivo globale è quello di gestire le risorse biologiche acquatiche per massimizzare le ricadute e i vantaggi sociali ed economici derivanti dagli oceani, dai mari e dalle acque interne d’Europa. Per questo Horizon 2020 intende sostenere l’esplorazione e la valorizzazione ulteriori delle ampie potenzialità offerte dalla biodiversità marina e dalla biomassa acquatica per creare processi, prodotti e servizi nuovi, innovativi e sostenibili sui mercati con potenziali applicazioni in settori come l’industria chimica e dei materiali, la pesca e l’acquacoltura, le industrie farmaceutiche, di approvvigionamento energetico e di cosmetici. 

 

L’innovazione europea nasce dalle esigenze del territorio

La geografia dell’innovazione è tuttavia molto eterogenea, con alcune regioni competitive a livello mondiale sulla frontiera tecnologica, e altre che lottano per avvicinarsi a tale frontiera adottando e adeguando soluzioni innovative alla loro situazione specifica (divario dell’innovazione). È necessario che il sostegno pubblico adatti le proprie strategie e i propri interventi al fine di riflettere tale diversità. Per raggiungere l’obiettivo di crescita intelligente di Europa 2020 deve essere mobilitato il pieno potenziale innovativo delle regioni Ue. L’innovazione è importante per tutte le regioni; per quelle avanzate al fine di mantenere il proprio vantaggio, per quelle in ritardo di sviluppo al fine di recuperare terreno. I risultati nell’ambito dell’R&S e dell’innovazione variano significativamente all’interno dell’Ue, come evidenziato dall’indice di prestazione dell’innovazione regionale.

Allo stesso modo, la distanza dall’obiettivo di portare la spesa per R&S al 3% del Pil varia molto da regione a regione. All’interno dell’Ue solo 27 regioni, circa una su dieci, hanno raggiunto questo obiettivo. 

Rispetto ai precedenti programmi europei per il finanziamento alla ricerca, Horizon 2020 si colloca all’interno di una strategia concertata che abbraccia diversi fonti di finanziamento della Commissione europea (per esempio per lo sviluppo agricolo, regionale, industriale ecc.) e che pone come obiettivo prioritario l’allineamento degli indirizzi e delle politiche comunitarie, nazionali e regionali. Per questo, per la prima volta, le priorità espresse dalla Commissione europea abbracciano anche gli stati membri, le loro regioni nonché macro-aree geografiche che condividono priorità e specificità tematiche. Risulta pertanto essenziale valutare quanto le strutture deputate alla ricerca e formazione scientifica siano pronte a recepire questi cambiamenti strategici. 

Nell’ottica della promozione dell’allineamento delle politiche europee, è stato elaborato il concetto di smart specialisation strategy (strategia di specializzazione intelligente o S3) che ha come obiettivo evitare la frammentazione degli interventi e mettere a sistema gli sforzi in materia di sostegno all’innovazione anche a livello periferico e regionale. La politica regionale è uno strumento chiave per tradurre le priorità dell’Unione dell’innovazione in effettive azioni pratiche. Tali azioni comprendono la creazione di condizioni favorevoli a innovazione, istruzione e ricerca, in modo da incoraggiare investimenti fortemente orientati alla R&S e alla conoscenza, nonché iniziative a sostegno di attività a valore aggiunto più elevato. Le regioni rivestono un ruolo centrale in quanto sono il principale partner istituzionale delle università, di altri istituti di ricerca e istruzione e delle pmi, attori chiave del processo di innovazione e quindi elementi indispensabili della strategia Europa 2020. 

Il nuovo ciclo di programmazione della Politica di coesione 2014-2020 (fondi strutturali regionali per almeno 100 miliardi di euro) prevede che le regioni di tutti gli stati membri redigano un documento che delinei, a partire dalle risorse e dalle capacità di cui dispongono, la propria smart specialisation strategy, identificando i vantaggi competitivi e le specializzazioni tecnologiche più coerenti con il loro potenziale di innovazione e specificando gli investimenti pubblici e privati necessari a supporto della strategia e in particolare nelle attività di ricerca, sviluppo tecnologico e innovazione. In questo modo l’Unione europea intende scoraggiare la tendenza a distribuire l’aiuto pubblico uniformemente rispetto ai settori produttivi senza tenere adeguato conto del loro posizionamento strategico e delle prospettive di sviluppo in un quadro economico globale, e allo stesso tempo sviluppare strategie d’innovazione delle imprese e dei settori produttivi regionali legate alle filiere internazionali del valore. I governi nazionali e regionali dovrebbero di conseguenza sviluppare strategie di specializzazione intelligente per massimizzare l’impatto della politica regionale abbinata ad altre politiche Ue. Le strategie di specializzazione intelligente possono stimolare gli investimenti privati e costituire un elemento chiave per lo sviluppo di una governance a più livelli delle politiche di innovazione integrate. 

 

Superare la frammentazione attraverso la trasversalità dell’innovazione

L’innovazione è sempre più spesso intesa come un sistema aperto in cui collaborano e interagiscono diversi attori. I confini tra i settori scientifici ma anche industriali tradizionali sono sempre più sfocati e, di conseguenza, la trasversalità diventa sempre più importante per generare ricerca di alto livello e accelerare il processo di innovazione orientato verso i bisogni emergenti del mercato. Ciò si applica in particolar modo alla bioeconomia, un metasettore che comprende una amplissima filiera di conoscenze e diversi comparti produttivi. Per esempio, i cluster – concentrazioni geografiche di imprese, spesso pmi, che interagiscono tra loro e con clienti e fornitori e spesso condividono un pool di specialisti, servizi finanziari e imprenditoriali, R&S e strutture di formazione – forniscono un contesto favorevole per promuovere la competitività e orientare l’innovazione all’interno delle filiere della bioeconomia (vedi a proposito il contributo pubblicato in questo numero di Materia Rinnovabile, “La via europea alla bioeconomia passa dai cluster”).

Secondo Horizon 2020, è prioritario promuovere una “fertilizzazione intersettoriale” ma anche la mobilità tra mondo dell’impresa e ricerca accademica. Questo permette di evitare la frammentazione delle competenze, promuovere il trasferimento tecnologico e superare la cosiddetta “valle della morte”. Viene chiamato così lo scollamento esistente a livello europeo tra ricerca e innovazione industriale. Per quanto gli scienziati europei siano estremamente prolifici in termini di pubblicazioni scientifiche, molto spesso questi risultati non vengono tradotti in innovazione che possa avere un impatto sulla qualità della vita del cittadino che li ha finanziati attraverso le sue tasse. Per fare un esempio, l’analisi dei risultati di circa la metà (7.888) dei progetti finanziati dalla Commissione europea nel corso del precedente programma quadro per la ricerca (Settimo Programma Quadro) indica che sono stati pubblicati 16.709 lavori scientifici a fronte di solo 629 domande di protezione dei diritti di proprietà intellettuale.

Per questo motivo, le recenti politiche di finanziamento prevedono una crescente focalizzazione delle risorse verso grandi progetti interdisciplinari che devono coinvolgere interi “sistemi” o “filiere” di conoscenza e innovazione. Pertanto le competenze scientifiche e le eccellenze a livello territoriale devono essere messe in rete per creare sinergie. In tale contesto risulta cruciale, ancora una volta, il ruolo delle regioni, alle quali viene affidata la missione di disegnare delle politiche coerenti per il proprio territorio, che possano finalmente integrare risorse scientifiche e innovazione tecnologica. 

Nell’ottica della trasversalità, anche gli interventi che mirano alla crescita e all’innovazione industriale non vanno intesi tanto a promuovere un singolo settore o comparto produttivo, piuttosto a potenziare la competitività di un’intera filiera di valore che si esplica attraverso l’integrazione di settori a diverso contenuto di innovazione. In tal modo potranno beneficiarne anche quei comparti tradizionali e a basso contenuto tecnologico che sono, tuttavia, fortemente integrati con il territorio e che vengono coinvolti a valle della meta-filiera come fornitori di biomassa e sottoprodotti da valorizzare. Solo in questo modo la creazione di nuove filiere di innovazione e di valore della bioeconomia potrà portare a soluzioni di ampio respiro in grado di consentire uno sviluppo coeso e sostenibile del territorio.

 

Il contributo dei soggetti pubblici e privati per l’innovazione

In questo momento storico, l’Unione europea, con Horizon 2020, indica chiaramente una strategia che porta all’innovazione attraverso la focalizzazione delle risorse su attività mirate che possano avere impatto sociale e siano da volano per l’innovazione industriale e lo sviluppo economico. 

I motivi, al di là della già citata crisi economica, vengono esplicitati nel documento “L’Unione dell’innovazione” che presenta una lucida analisi dei limiti del sistema europeo. Le attività di R&S del settore privato vengono sempre più spesso demandate ai paesi emergenti e molti ricercatori europei qualificati si trasferiscono in paesi in cui godono di condizioni più favorevoli. L’Ue investe in ricerca e innovazione lo 0,8% del Pil meno degli Usa e un 1,5% meno del Giappone. Il numero delle pmi innovative che arrivano a diventare grandi imprese è tuttora troppo limitato. In base a stime recenti il conseguimento dell’obiettivo di spesa del 3% del Pil dell’Unione in attività di R&S entro il 2020 potrebbe creare 3,7 milioni di posti di lavoro e far aumentare il Pil annuo di circa 800 miliardi di euro entro il 2025

Lo stesso documento sottolinea come sia urgente eliminare gli ostacoli che ancora impediscono agli imprenditori di portare le loro “idee al mercato”: si deve facilitare l’accesso ai finanziamenti, soprattutto per le pmi e nel contempo abbassare i costi dei diritti di proprietà intellettuale. 

È di conseguenza necessario che il sostegno pubblico all’innovazione si adatti a questi cambiamenti integrando l’impegno a favore di ricerca e tecnologia con la promozione di una collaborazione aperta tra tutte le parti interessate. Tale sostegno risulta giustificato dato che le forze di mercato non sempre possono garantire un finanziamento di lungo termine adeguato per gli investimenti. Per esempio, gli investimenti privati nel settore delle bioraffinerie vengono ritenuti ancora ad alto rischio in quanto il concetto di bioraffineria non è pienamente affermato nel campo chimico e dell’energia. Infrastrutture e impianti pilota, necessari a dimostrare la fattibilità dei processi innovativi, richiedono investimenti imponenti. Inoltre, il tempo necessario perché un prodotto possa raggiungere il mercato è mediamente molto lungo, causando esposizioni finanziarie inaccettabili soprattutto per le pmi. Da qui la necessità di ridurre il rischio finanziario, per esempio mediante il co-finanziamento pubblico di infrastrutture e impianti accessibili a diversi soggetti e imprese impegnati nel processo innovativo.

Quindi, per conseguire una crescita sostenibile in Europa, occorre ottimizzare il contributo dei soggetti pubblici e privati, poiché una ricerca e un’innovazione responsabili presuppongono che si ottengano le migliori soluzioni dalle interazioni tra partner con prospettive diverse ma interessi comuni. 

A tal riguardo, Horizon 2020 prevede la costituzione di partenariati pubblico-pubblico e pubblico-privato (public private partneships) che possono basarsi su un accordo contrattuale tra operatori pubblici e privati ma possono anche essere partenariati pubblico-privato istituzionalizzati, come le iniziative tecnologiche congiunte (joint technology initiatives). Nel caso delle joint technology initiatives i finanziamenti pubblici e privati vengono usati sinergicamente per superare le barriere che prevengono il trasferimento dei risultati della ricerca al mercato. Ne è un esempio il “Bio-based Industries Consortium” che riunisce più di 60 soggetti europei (enti pubblici di ricerca, industrie e pmi) attivi nei settori delle biotecnologie, agricoltura, chimica, foreste e alimentare. Tutti condividono l’interesse a sviluppare e dimostrare l’applicabilità di tecnologie “a base biologica” (biobased) e a trasformarle in prodotti utili per i cittadini europei. Questa joint technology initiatives finanzia progetti di ricerca e sviluppo per un totale di 3,8 miliardi di euro, dei quali circa un miliardo proviene dalla Commissione europea e il restante dai partner appartenenti al consorzio. È interessante sottolineare che i bandi per accedere ai finanziamenti sono aperti ai soggetti esterni al consorzio.

La Commissione europea confida che l’insieme di queste politiche e misure di finanziamento alla ricerca e all’innovazione possa accompagnare l’industria europea verso un “Nuovo Rinascimento”.

 

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