Cillian Lohan è Relatore dell’Eesc (European Economic and Social Committee) sull’economia circolare. La sua convinzione fondamentale, che alla fine i modelli di business sostenibili ed efficienti nell’uso delle risorse supereranno nelle prestazioni e sostituiranno quelli che sono finalizzati al solo guadagno, lo rende – come si definisce lui stesso – un “ambientalista riluttante”.
Tutti si chiedono: può l’economia circolare salvare i posti di lavoro cancellati dall’Industria 4.0(1)?
“Ci saranno molti stadi nell’avanzamento verso un’economia circolare. Al momento penso che siamo assolutamente al primo, che è in effetti quello delle opportunità di lavoro e del sostegno alla ri-industrializzazione dell’Europa, che a sua volta crea opportunità di impiego in luoghi che probabilmente hanno subito una contrazione del tasso di occupazione negli ultimi 50 o 60 anni. Indubbiamente abbandonando il modello lineare, ci sarà sicuramente una fase iniziale di perdita di posti di lavoro nelle industrie estrattive.”
A parte le industrie estrattive, quali altri settori potrebbero essere influenzati?
“Dipenderà da come i principi dell’economia circolare vengono applicati. Penso che l’implementazione della strategia proposta dalla Commissione europea sia in realtà finalizzata alla creazione di posti di lavoro, generando così più opportunità, in particolare nel settore della gestione delle risorse e in quello della gestione dei rifiuti. Essenzialmente, in termini di perdite se abbiamo un’economia basata sul riutilizzo delle materie prime (e quindi che usa materie prime secondarie) allora le perdite di posti di lavoro saranno concentrate nei settori legati alla lavorazione delle materie prime vergini.
A scala macro, la perdita di gran parte di questi posti di lavoro sarà compensata dalla creazione di nuovo impiego nel settore delle materie prime secondarie, ma certo non succederà istantaneamente. Questo ci porta al problema che sebbene i posti di lavoro potrebbero essere rimpiazzati in termini di numero, non significa necessariamente che le stesse persone che hanno perso il lavoro saranno poi qualificate per i nuovi impieghi che si sono creati. Questa è probabilmente una delle sfide iniziali più ardue: assicurare che la transizione sia gestita con l’adeguato supporto per la formazione, con programmi di welfare sociale e sussidi, in modo da offrire un sostegno in questa fase.”
L’Ue sta attrezzando gli Stati membri con strumenti e capacità adeguati con i quali affrontare questa transizione?
“L’Eesc ha fatto ricerca su questo includendo i risultati in tutti i suoi pareri consultivi. Abbiamo concordato durante le sessioni plenarie che uno degli aspetti più importanti è quello di riqualificare e fornire istruzione alla prossima generazione. Partendo dalle scuole primarie fino all’università, ma anche attraverso la riqualificazione nel luogo di lavoro. Quindi una delle priorità è consistita nel comunicare alle più importanti istituzioni dell’Ue il seguente messaggio: dobbiamo individuare molto chiaramente da dove arriverà la maggiore pressione in termini di perdita di posti di lavoro e fornire una formazione alle persone impiegate in quei particolari settori in modo che possano poi passare ai nuovi impieghi. Questo è un messaggio che come rappresentanti della società civile organizzata noi riceviamo costantemente dal nostro comitato. Per quanto riguarda la Commissione, ha riconosciuto che la formazione è importante, e ha addirittura incluso in una parte del suo monitoraggio dell’implementazione del Circular Economy Package l’importanza del monitorare realmente la formazione.”
Quanto sarà importante sostenere programmi di welfare sociale che affrontino la trasformazione del mercato del lavoro sia riqualificando i lavoratori sia supportandoli nella transizione?
“All’interno del nostro comitato abbiamo anche lavorato per la riforma del welfare sociale e assicurato che continueremo a usare la frase ‘una transizione giusta’, in modo che i più vulnerabili nella società siano assistiti durante la fase di passaggio. In termini di politiche, penso che questo sia un problema di competenza nazionale e che sarebbe molto difficile per le istituzioni europee imporre agli Stati membri come strutturare il welfare sociale. Inoltre non credo che la perdita di occupazione sarà un aspetto critico nell’implementazione iniziale delle oltre 100 azioni specificate nel Circular Economy Action Plan e delle diverse strategie di promozione, che più recentemente hanno riguardato anche la strategia relativa alla plastica. Possono tutte essere implementate senza grandi impatti negativi sull’occupazione e rappresentano solo il primissimo stadio dei cambiamenti negli schemi comportamentali. Di fatto molti dei primi stadi della transizione all’economia circolare hanno un impatto maggiore sui paesi del Terzo mondo, sulle materie prime che stiamo importando e sui rifiuti che stiamo esportando, rispetto a qualsiasi altro impatto all’interno dell’Ue. Al contrario, si tratta di una situazione in cui si creano posti di lavoro, in particolare se stiamo cercando di realizzare un mercato per le materie prime secondarie. Anziché supportare il welfare sociale, penso siano necessari investimenti finalizzati ad aiutare i settori a padroneggiare le materie prime secondarie e creare un mercato per queste ultime. Queste sono cose che creerebbero davvero opportunità reali. Inoltre gli investimenti nella formazione e nell’istruzione devono anche comprendere investimenti per le università, contribuendo così all’innovazione e alla ricerca nel campo delle tecnologie che possono fare da propulsori di questa transizione e fornire opportunità fondamentali nel medio termine”.
In termini di nuove professioni necessarie – come gli esperti di logistica e i manager della gestione dei rifiuti – quali altri ruoli vedremo emergere in relazione all’economia circolare?
“Prima di tutto penso che ci sia il pericolo, specie nelle aziende più grandi, di vedere un ‘manager dell’economia circolare’ o un ‘funzionario dell’economia circolare’. Questo sarebbe un problema perché crea un’unità separata specializzata, mentre l’ambizione è integrare il pensiero circolare nell’intera azienda e in tutte le sue azioni. Penso che siano gli acquirenti e i responsabili del portafoglio clienti a essere le persone chiave che devono partecipare al dialogo, invece che i soli PR o coloro che creano su misura l’immagine dell’azienda. Purtroppo, specie nella fase iniziale, credo che i soldi dell’industria verranno impiegati per i capire cosa significa circolarità e poi usare questo termine come specchietto per le allodole per avere benefici pubblicitari e proclamarsi ‘circolari’. A più lungo termine i posti di lavoro e le nuove regole saranno concentrati sull’efficienza nell’uso delle risorse e sui manager all’interno delle organizzazioni, ma in modo particolare sulla progettazione ecocompatibile”.
Progettare prodotti ma anche progettare servizi...
“Sì, esattamente. Per ideare il modello di business in cui i prodotti vengono usati come un servizio. Questo implica l’effettiva progettazione fisica di un prodotto, ma anche il modo in cui un’azienda è strutturata per immettere quel prodotto o i suoi componenti nel mercato e per recuperare le materie prime contenute in quel prodotto. Il modello circolare per il quale cerchiamo costantemente di fare pressione nel comitato è basato sull’idea che: il prodotto sia stato immesso nel mercato e funzioni, e, una volta che il suo funzionamento si interrompe (per qualsiasi ragione: sia che si rompa, che le sue parti diventino obsolete, si decida di passare a un prodotto differente o perché questo passa di moda), che o il produttore o il distributore in un punto a monte della catena di produzione possa recuperare le parti costituenti di quel prodotto come parte dell’industria delle materie prime secondarie. È proprio qui che si devono trovare i nuovi posti di lavoro e le nuove opportunità, un lavoro che sia dedicato ad assicurare che i materiali destinati a diventare quello che solitamente chiamiamo rifiuti possano davvero essere recuperati. Il fattore della progettazione ecocompatibile comprende il renderlo economicamente realizzabile, e vantaggioso per le aziende recuperare le parti costituenti di un prodotto che non funziona più. Suppongo che sia qui che i prodotti e i servizi circolari interagiscono reciprocamente. Senza la progettazione ecocompatibile dei prodotti, cambiare il modello di servizio o passare dalla vendita di beni alla vendita di servizi non funziona. Dobbiamo mettere la progettazione ecocompatibile proprio all’inizio del processo produttivo.”
In termini di investimenti le principali istituzioni finanziarie si stanno muovendo in questa direzione?
“Sì, il sito web European Circular Economy Stakeholder Platform che è stato approntato dall’Eesc e dalla Commissione europea elenca un gran numero di industrie e differenti settori commerciali che stanno investendo cospicuamente nell’economia circolare e stanno cercando di utilizzare a proprio vantaggio il fondo Junker finalizzato ad aiutare la transizione. Quindi c’è una vivace partnership pubblico-privato coinvolta nell’investimento e nel passaggio a modelli circolari. Sicuramente stiamo vedendo questo fenomeno in un’ampia gamma di industrie e abbiamo raccolto molti di questi esempi nel sito web che è una piattaforma interattiva che permette di osservare esempi specifici in diversi settori.”
European Economic and Social Committee, www.eesc.europa.eu
European Circular Economy Stakeholder Platform, circulareconomy.europa.eu/platform/en