Chi pensava che con lo Sblocca Italia, l’estrazione degli idrocarburi, le nuove grandi e inutili opere, il governo avesse toccato il fondo delle politiche ambientali, sbagliava di grosso.
L’ultima conferma arriva con lo schema di Dpcm sull’incenerimento dei rifiuti in attuazione dell’articolo 35 dello Sblocca Italia che prevede 12 nuovi inceneritori in Italia che si aggiungerebbero a quelli già attivi, di cui non si prevede lo spegnimento. Neanche di quelli evidentemente da dismettere (e ce ne sono diversi).
Si tratta di una proposta da respingere al mittente per tanti motivi evidenti.
Il primo è che Palazzo Chigi fa finta di non vedere che – ancora una volta – manca l’oggetto del contendere, e cioè i quantitativi di rifiuti. I rifiuti da bruciare sono sovrastimati perché calcolati sul 65% di differenziata già superato in diverse regioni. Non si considerano né il programma nazionale di prevenzione (ma il ministro Galletti si ricorda che ha messo in piedi un comitato scientifico presieduto dal professor Andrea Segrè per la sua attuazione?), né il fatto che i cementieri stanno cercando di bruciare Css nei loro impianti. Tra l’altro già oggi gli impianti più recenti, come quello di Parma, sono in difficoltà perché grazie alle raccolte differenziate e alla tariffazione puntuale non hanno più i rifiuti dal territorio che li ospita e sono costretti a cercarli in altre regioni. Insomma sull’incenerimento il governo dà veramente i numeri.
Il secondo motivo è che ancora una volta si guarda agli interessi di poche società e non a quelli del paese. Si tratta infatti di una bozza di decreto che è il frutto della sommatoria delle richieste singole delle aziende – soprattutto delle multiutilities del Nord – che non hanno capito che non c’è più spazio per nuovi inceneritori. Opzione che va invece ridotta inesorabilmente a vantaggio della economia circolare. Il paese avrebbe bisogno di altri impianti che servirebbero molto ai cittadini e alle loro tasche. Specie al Centro Sud occorre realizzare impianti per trattare l’organico differenziato (recuperando energia con il biometano) e che invece continua a viaggiare su gomma per diverse centinaia di chilometri sprecando soldi in inquinanti trasporti. Serve costruire la rete capillare degli impianti per la massimizzazione del riciclaggio (ecodistretti, fabbriche dei materiali ecc.) e per la preparazione al riutilizzo dei rifiuti. Insomma gli impianti servono, e ce ne vogliono davvero tanti nuovi sul territorio nazionale, ma non quelli che hanno in mente le società di igiene urbana quotate in Borsa, a partire da A2A, Hera e Iren.
Il terzo motivo è che questo schema di Dpcm non fa altro che spostare l’attenzione su un piano complicato per questioni politiche (le Regioni hanno detto “no grazie”), sociali (quali sono i territori disponibili a ospitare impianti di questo tipo?) ed economiche. I potenziali prezzi di conferimento dei nuovi impianti non sono, infatti, competitivi con gli inceneritori esistenti, a partire da quelli del nord Europa, sovradimensionati e costruiti negli anni ’90, che garantiscono prezzi bassissimi che nessun inceneritore italiano, vecchio o nuovo, è in grado di assicurare. Tutto questo ci farà purtroppo perdere altro tempo che soprattutto in alcune regioni critiche (come Sicilia, Puglia o Lazio) non abbiamo.
Insomma, se il governo vuole lavorare sul serio sulla gestione dei rifiuti cancelli questa bozza di Dpcm e scriva un nuovo testo sull’economia circolare. Basterebbe rivedere il principio di penalità e premialità economica nel ciclo dei rifiuti e il cambio di passo sarebbe garantito. Bisogna tartassare le discariche, cancellare gli incentivi alla produzione di elettricità da incenerimento e supportare economicamente la filiera della prevenzione, del riuso e riciclo. Se invece l’esecutivo andrà avanti sulla strada del Dpcm in discussione, ci sarà un solo risultato: lo stallo totale che farà felici ancora una volta i tanti signori delle discariche che continuano a fare soldi e governare il ciclo dei rifiuti grazie a inesistenti politiche di settore.