University of Bradford. ©Tim Green aka atouch/Wikimedia Commons/cc-by-2.0

 

A guardare i numeri e le aspettative che ruotano intorno allo sviluppo dell’economia circolare in Europa e nel resto del mondo, c’è da entusiasmarsi. Numerosi studi pubblicati negli ultimi anni affermano che la transizione a un’economia circolare potrebbe generare una trasformazione positiva anche nel mondo del lavoro. Secondo il rapporto The circular economy and benefits for society. A study pertaining to Finland, France, the Netherlands, Spain and Sweden, redatto dal Club di Roma nel 2016, il numero di posti di lavoro aggiuntivi supererebbe le 75.000 unità in Finlandia, 100.000 in Svezia, 200.000 nei Paesi Bassi, 400.000 in Spagna e mezzo milione in Francia. A fronte delle ultime rilevazioni ciò significherebbe ridurre i tassi di disoccupazione di un terzo in Svezia e nei Paesi Bassi, e far crescere dell’1,5% il Pil di tutti i paesi presi in esame. Tradotto significherebbe qualche miliardo di euro all’anno per la Finlandia, più di cinque miliardi di euro all’anno per la Svezia, circa 15 miliardi di euro nei Paesi Bassi, 20 miliardi di euro in Spagna e 50 miliardi di euro in Francia.

Ma perché la transizione sia sistemica, è fondamentale che il mondo accademico sia in grado di alimentare la ricerca in tutti i settori nei quali l’economia circolare può intervenire. E il terreno non è mai stato così fertile, dato che questo modello può essere declinato in quasi tutti gli ambiti della società. Energia, progettazione, gestione aziendale, ingegneria, chimica, solo per citarne alcuni. 

Sono già molte le università che offrono corsi, master, programmi a distanza e certificazioni post-laurea. Un fermento che pare essere maggiormente presente in Europa, anche se Stati Uniti, Cina, Brasile e India hanno avviato proficue collaborazioni. È il caso della Ekonnect Knowledge Foundation con sede a Mumbai che a gennaio 2018 ha siglato un memorandum d’intenti con la Green Industries South Australia, per sviluppare un programma denominato “Circular economy leadership”. L’obiettivo è formare a distanza e face-to-face le persone che cercano di migliorare le proprie credenziali e le proprie competenze in materia di economia circolare, efficienza delle risorse e aree di recupero delle risorse e assumere una posizione di leadership. Il programma, che durerà cinque anni, prevede un fitto scambio di best practice, di corsi online e dimostrativi in vari ambiti: dalla gestione delle acque reflue al recupero dei materiali per l’edilizia.

Lo conferma anche Laura Badalucco, direttore del corso di laurea in Disegno industriale e multimedia dell’Università Iuav di Venezia, che sottolinea come quello dell’economia circolare non sia un concetto nuovo, “ma è sicuramente innovativo il modo di affrontarlo e di proporlo concretamente al mondo economico-produttivo. L’attenzione è molto forte soprattutto relativamente agli aspetti economico-manageriali e tecnico-scientifici. Il design, in tal senso, studia questi aspetti da molto tempo, ma credo che possa dire ancora moltissimo al riguardo”, con largo spazio di manovra per “approfondirne ancora i confini, le potenzialità e le criticità”. 

Per approfondirne i temi e le criticità, la Ellen MacArthur Foundation ha dato vita al CE100 Programme, una sorta di collaborazione internazionale per fornire linfa allo sviluppo dell’economia circolare. Riunisce gruppi industriali, governi, città e istituzioni accademiche in modo tale che queste ultime siano capaci di fare rete e creare i leader di domani, anche in ambito accademico. 

È ciò che accade, per esempio, all’Università di Bradford nel Regno Unito, che fa parte di una delle otto “Pioneer Universities” a livello mondiale. 

“La School of Management con tripla certificazione presso l’Università di Bradford è all’avanguardia e continua a fornire un MBA a distanza specializzato in Innovazione, Impresa ed Economia Circolare fin dal 2008”, spiega il professor Amir Sharif, titolare del corso. “È disponibile anche una versione di certificazione post-laurea. Inoltre, l’Università ha sviluppato e condotto ricerche nel campo dei flussi di materiali per la costruzione; più recentemente ha fatto ricerca nel settore alimentare, nelle materie plastiche e nei cosiddetti ‘rifiuti intelligenti’, combinando le nuove tecnologie digitali con i concetti di gestione. Molte università e istituzioni stanno ora sviluppando programmi post-laurea simili e tirocini, oltre a collaborare e unire gli sforzi in una vasta gamma di organizzazioni pubbliche e private che affrontano problemi complessi come i finanziamenti per l’economia circolare, la logistica inversa, la scienza del design per i prodotti e i servizi, le soluzioni per il packaging e i sistemi di gestione dell’acqua e del cibo, solo per citarne alcuni”. 

Ma secondo il professor Sharif siamo ancora in un terreno vergine. “Sebbene la ricerca nell’economia circolare stia diventando sempre più affermata in tutto il mondo, c’è ancora molto da fare, mentre le aree di ricerca esistenti devono maturare ulteriormente. Dato che l’economia circolare ha le sue radici in concetti relativi alla biomimesi, all’ecologia industriale, alla cosiddetta ‘blu economy” e al pensiero sistemico […] le sfide principali per l’economia circolare attualmente ruotano intorno all’eliminazione o alla mitigazione dei flussi di rifiuti in modo tale che questi materiali ‘irrecuperabili’ possano essere ricollegati ai cicli di riutilizzo e rigenerazione, affrontando così questioni chiave relative alla plastica, al cibo, all’energia e alle acque reflue, come sta accadendo sia nelle nazioni sviluppate sia in quelle in via di sviluppo”. 

Ma l’economia circolare va a toccare interi settori della società, che dovranno essere rivisti, rimodulati. “Le questioni chiave che richiedono ancora maggiore attenzione sono quelle che si riferiscono agli impatti socioeconomici e al modo in cui i governi, le autorità locali e il settore privato possono effettivamente apportare un cambiamento e una differenza visibili nella transizione verso un’economia circolare”.

È questa per esempio la missione del Circular Economy Centre (CEC) della Cambridge Judge Business School, che punta a diventare una delle principali fonti internazionali di ricerca, di esperienza e conoscenza sull’economia circolare, sulla politica e sui contesti aziendali in cui questo sistema opera. “Il centro – spiegano dal CEC – mira a diventare uno degli hub principali dell’economia circolare, sintetizzando gli obiettivi e le iniziative di ricerca condivisi sia dagli input accademici che dai professionisti”. Tra i vari progetti a cui il CEC ha partecipato c’è “Circular Defence”, avviato in collaborazione con l’Agenzia europea per la difesa, che ha identificato una serie di aree come potenziali opportunità per le applicazioni di economia circolare nella difesa nel prossimo futuro. Ma c’è molta anche molta innovazione: “Attualmente stiamo collaborando con le istituzioni accademiche e i professionisti europei per sviluppare un quadro innovativo di interazione tra l’economia circolare e l’IoT, per esplorare nuovi modi in cui questa interazione può cambiare drasticamente la natura di prodotti, servizi, modelli di business ed ecosistemi”, raccontano dal CEC. 

 

L’economia circolare nelle “aule” oltreoceano

Anche oltreoceano non mancano i riferimenti. La prestigiosa Yale University, per esempio, all’interno della School of Forestry and Environmental Studies offre numerosi corsi nei quali vengono prese in esame le macro aree dell’economia circolare: dalla gestione dei rifiuti, a quella dei materiali post-consumo, alla gestione aziendale, fino a tematiche più complesse come quelle legate all’ecologia industriale e alla resilienza dei sistemi urbani nei confronti dei cambiamenti climatici. “C’è più movimento in Europa che negli Stati Uniti, in quanto negli USA c’è una mancanza di conoscenza nei confronti dell’economia circolare”, spiega Nabil Nasr, professore alla Rochester Institute of Technology, nello Stato di New York, con più di 25 anni di esperienza nel settore della produzione sostenibile. “La ricerca accademica circular è, nella maggior parte dei casi, solamente ad alti livelli”. Per questo continua il dottor Nasr “è necessario coprire i modelli di business, le tecnologie abilitanti, le catene di approvvigionamento e la trasformazione del mercato, settori sviluppati dal Rochester Institute of Technology. Nell’area delle tecnologie abilitanti, la rigenerazione è una delle principali aree di interesse del nostro ateneo”. 

 

Grandi gruppi industriali e mondo accademico

Un cambiamento così complesso, necessita della partecipazione di tutti gli attori coinvolti: società civile, politica, ricerca e mondo accademico e non ultimo, quello delle imprese. Sono i grandi gruppi industriali infatti a poter segnare la strada, dettare l’agenda investendo risorse e finanze. Con la recente pubblicazione di un position paper sulle città circolari, intitolato Circular Cities, il gruppo Enel ha preso una chiara posizione enunciando la propria visione sulle città di domani: luoghi in cui si integreranno in un unico insieme l’innovazione tecnologica e gli aspetti a essa direttamente correlati, i flussi di risorse e di energia così come i modelli di produzione e di consumo, considerandone gli impatti non solo in termini economici e prestazionali ma anche ambientali e sociali. Nel documento vengono presi in esame i “cinque pilastri” dell’economia circolare che danno vita a loro volta a un modello di misurazione della circolarità, il CirculAbility model. “Una delle prime necessità emerse è stata quella di avere una metrica. Per questo abbiamo sviluppato il CirculAbility model, in grado cioè di declinare in maniera quantitativa i cinque pilastri dell’economia circolare, rilevabili durante tutta la vita utile di un prodotto”, spiega Luca Meini, head of Circular Economy per Enel. “Un modello che abbiamo applicato e che ci ha permesso di avere un linguaggio comune all’interno del gruppo, e che ha avuto anche una rilevanza al livello nazionale e internazionale”. Insomma per una volta l’industria ha anticipato la ricerca.

“L’economia circolare è una tematica che si è sviluppata a livello istituzionale ed aziendale, prima che accademico, nonostante ci siano state delle pubblicazioni rilevanti. Forse quello che è mancato fino a oggi è un approccio e una visione complessiva del tema, sviluppando piuttosto settori specifici, come il recupero dei materiali”, continua Meini. Per sviluppare dei modelli attuabili sarà comunque fondamentale fare ricerca e preparare figure specializzate. “Come ogni tema nuovo in questa prima fase serviva più una visione d’insieme che una specializzazione vera e propria. Anche perché si tratta di un tema estremamente variegato. Sicuramente le aziende assumono e assumeranno, anche se ad oggi è difficile parlare di un profilo piuttosto di un altro, perché non c’è una figura di riferimento”. Certo i bacini di riferimento rimangono l’economia, l’ingegneria e la visione quantitativa dei sistemi. “È evidente che poi dovrà essere ripensato l’intero impianto normativo in molti ambiti, agli aspetti sociologici e alle dinamiche del lavoro, perché adottare questo tipo di economia vorrà dire avere nuove figure professionali. A seconda delle fasi tutti gli ambiti verranno interessati”.

 

 

Circular Economy Centre della Cambridge Judge Business School, www.jbs.cam.ac.uk/faculty-research/centres/circular-economy 

 


  

Intervista con Laura Badalucco, direttore del corso di laurea in Disegno industriale e multimedia dell’Università Iuav di Venezia
di R. B.

 

Allo Iuav il primo master in design circolare

 

Il design e la progettazione dei prodotti saranno essenziali nella transizione verso l’economia circolare. Per questo occorre formare i progettisti in grado di ricoprire questo ruolo. Ne parliamo con Laura Badalucco, direttore del corso di laurea in Disegno industriale e multimedia dell’Università Iuav di Venezia.

 

Come nasce il master: qual è stato il punto di partenza, l’idea e la sua evoluzione? 

“Il master in design per l’economia circolare nasce da un’idea mia e di Alessio Franconi, designer e dottorando in Circular Design. Con Alessio abbiamo iniziato a riflettere sul contributo che il design può offrire alla transizione verso l’economia circolare e su come questo influisca nella formazione dei futuri progettisti. Ci siamo accorti che in Italia esistevano alcuni ottimi esempi di formazione avanzata negli ambiti dell’economia circolare, ma tutti con un taglio economico/manageriale, oppure relativi alle biotecnologie e alla chimica, mentre mancava un master specificatamente riferito al design. Esistono in alcuni atenei italiani esperienze di circular design, ma sono solitamente limitate nel tempo (in pratica workshop o seminari) per cui abbiamo ritenuto che fosse il momento di offrire una formazione strutturata per i futuri designer.

Questo master, il primo del suo genere in Italia, vuole innestare nei partecipanti una nuova visione circolare, per contribuire a riprogettare i modelli di produzione e consumo della nostra società, prestando particolare attenzione alle nostre imprese e alle persone. Fornirà connessioni, visioni, metodologie, strumenti e innumerevoli attività pratiche per creare un impatto nella progettazione offrendo un punto di vista proprio del ‘fare progettuale’ caratteristico del nostro paese e riconosciuto internazionalmente.”

 

Quali sono gli obiettivi e gli sbocchi occupazionali nel settore professionale di riferimento?

“Il master si focalizza sull’innovazione di prodotti e servizi capaci di rispondere alle richieste dell’economia circolare e si rivolge a chi è coinvolto non solo nella progettazione, ma anche nei processi di valutazione, scelta e acquisto dei prodotti.

Non si parlerà solo di product design, ma anche di design della comunicazione data l’importanza strategica che questo ambito riveste nelle imprese. Le attività del master sono strutturate in seminari, lezioni attive, workshop, role playing, project work e casi studio.

I contenuti del master comprenderanno anche nozioni di modelli di business, normativa, sistemi di fund raising utili alla corretta gestione dei processi di trasformazione che l’economia circolare prevede, allo scopo di migliorare la competitività e l’innovazione industriale. Avremo ospiti internazionali tra i quali, ad esempio, David Peck della Delft University of Technology e Chris Grantham di Ideo, una dei più importanti società di design al mondo. Coloro che conseguiranno il titolo di master potranno intervenire sia nella progettazione dei prodotti e artefatti comunicativi, sia nella selezione/valutazione dei prodotti in ambito di green procurement e management con profili di designer del prodotto e della comunicazione visiva e multimediale, packaging designer, project manager, consulente o assistente al process design engineering e del product development manager, referente per il green procurement e assistente al waste end management in uffici acquisti, marketing, distribuzione, ambiente e servizi di società private o enti pubblici.”

 

Quali sono secondo lei i temi su cui c’è più urgenza di fare ricerca? 

“L’economia circolare richiede un cambio di paradigma e questo significa che dobbiamo mettere in discussione i nostri modelli di produzione e consumo, non pensando però a una loro contrazione, ma a un modo diverso di fare e di utilizzare le risorse. Ecco questo richiede, secondo me, un contributo trasversale di molte discipline e una visione complessiva dell’intero processo che consideri non solo gli aspetti quantitativi, ma anche quelli qualitativi. Per questo credo che sia fondamentale pensare ai designer non solo nel loro ruolo di progettisti del singolo elemento, ma per la loro capacità di avere un ruolo di regia tra le competenze. Penso che dall’Italia potremo offrire un punto di vista che consideri anche il valore estetico, simbolico e culturale dei prodotti, non sempre presente nelle riflessioni su questi temi. Questa credo che possa essere la cifra del nostro intervento specifico.

Per quanto riguarda gli ambiti della ricerca, sicuramente dovremo lavorare molto su temi come il tempo d’utilizzo dei prodotti e il rapporto tra prodotti e servizi, nonché sul remanufacturing senza mai perdere di vista il fatto che l’eccellenza raggiunta in Italia dai processi di riciclo va consolidata e migliorata sempre più. 

C’è poi un altro ambito di ricerca e studio al quale tengo particolarmente e che cercheremo di far emergere anche nel master: quello connesso alla biomimesi nella quale la natura è presa a modello e guida per l’innovazione.” 

 

Quanto è importante la collaborazione col mondo delle imprese per sviluppare corsi adeguati e quindi figure professionali?

“La collaborazione è fondamentale, imprescindibile. Il passaggio di paradigma che l’economia circolare ci richiede è possibile solo se ci sarà una compartecipazione di tutti i soggetti connessi alla produzione e consumo dei prodotti per cui lavorare con le imprese è indispensabile. Si tratta oltretutto di un interesse trasversale, che non riguarda solo alcuni settori merceologici tanto che, ad esempio, il master ha trovato consenso in ambiti molto diversi tra loro. Ci sostiene Conai e molte aziende, in particolare del Triveneto, in ambiti che vanno dall’illuminazione all’arredo urbano, dalla produzione della carta al packaging, solo per fare alcuni esempi. Per questo motivo abbiamo previsto diverse attività con le aziende: dalle visite negli stabilimenti ai workshop di progettazione, fino al tirocinio di almeno 375 ore che i nostri studenti svolgeranno in Italia o all’estero. Un’occasione fondamentale per i futuri designer e un momento di verifica della coerenza della formazione rispetto alle necessità delle imprese.”  

 

 

www.master circulardesign.it