Questa transizione, anche se non al centro delle discussioni da bar, è piuttosto nota nei suoi tratti generali. È però in corso un’altra transizione che dal punto di vista economico ed ecologico ha uguale importanza, ma stenta a catturare l’attenzione dei grandi media: il recupero della materia. Nel numero precedente della rivista abbiamo dato conto delle cifre in gioco: ogni anno vengono prelevati tra 50 e 60 miliardi di tonnellate di roccia, pietre, sabbia e ghiaia, per ottenere combustibili fossili si muovono altri 45 miliardi di tonnellate di materia, e per le biomasse 27 miliardi di tonnellate.
Sono quantità enormi che producono un gigantesco impatto ambientale. E l’andamento sempre più irregolare del cardiogramma dei prelievi (dopo decenni di declino i prezzi delle commodities hanno iniziato a salire nervosamente) dimostra che questo impatto non è più governabile con i vecchi parametri dell’economia lineare che presuppone un’espansione infinita delle miniere e delle discariche. Il mercato ha registrato l’anomalia, ha intuito l’errore, ma non ha ancora messo a punto gli strumenti per risolvere il problema. Serve un nuovo punto di vista basato sul ritorno all’etimo di risorse (resurgere). E dunque sulla circolarità dell’energia e della materia che mettiamo in campo. Serve una nuova mappa delle convenienze (economiche, ambientali, spirituali). Servono nuovi protagonisti della scena economica in grado di rispondere alle esigenze che si stanno manifestando.
Materia Rinnovabile vuole aprire un dibattito per mettere a fuoco l’identità di questi attori dell’economia nascente, per individuare le loro esigenze e per capire in che modo si possano creare le condizioni di contorno per permettere ai nuovi interessi collettivi di vincere più rapidamente le resistenze del cartello degli oligopoli del ventesimo secolo. Proviamo a trovare le risposte ad alcune domande. Per esempio: quali sono le regole e le opportunità di mercato che consentono lo sviluppo dell’economia circolare? Deve prevalere l’iniziativa pubblica o quella privata? Quale equilibrio va costruito tra mercato libero e mercato “amministrato” (cioè orientato in modo da favorire economicamente i soggetti considerati più “virtuosi”)?
E proviamo a individuare alcuni elementi di possibili risposte. Per esempio. L’economia circolare persegue al tempo stesso interessi pubblici (è una strategia intelligente per far crescere il benessere collettivo limitando al massimo l’impatto sugli ecosistemi) e privati (è fatta soprattutto da imprese anche se non mancano le strutture no profit). Ciò significa che deve esistere una convenienza economica, un vantaggio individuale e collettivo, nel far circolare e ricircolare i flussi di materia all’interno dei cicli di produzione. Se parliamo di rifiuti, il vantaggio economico comincia in un punto preciso: quando i materiali raccolti valgono di più del costo necessario per raccoglierli. In quel momento i sistemi di raccolta, di selezione e di recupero si trasformano da “costi obbligati” in opportunità di business.
Oggi siamo in una fase storica di passaggio: per molte tipologie di rifiuti (soprattutto gli industriali e commerciali) è stata varcata la soglia della convenienza economica: raccoglierli è un buon affare e rivendendoli si guadagna; per altre frazioni (soprattutto gli urbani) il traguardo non è raggiunto ma è in vista. In questo quadro diventa importante la discussione sui modelli di funzionamento. Quali sono le soluzioni che portano ai migliori risultati ambientali ed economici?
Negli ultimi 20 anni si sono sviluppati sistemi nazionali di gestione dei rifiuti definiti compliance schemes, cioè “sistemi di conformità alle norme”: sono organizzazioni che assumono in carico gli obblighi di recupero e riciclo attribuiti alle imprese sulla base della “responsabilità del produttore”. Secondo le norme europee (ma ormai il principio si sta diffondendo a livello planetario) chi produce una merce ha infatti la responsabilità dei rifiuti che genera, ma per convenienza può affidarsi a un’organizzazione riconosciuta – un compliance scheme – che, a fronte di un contributo versato dall’azienda, raccoglie in modo documentato le quantità richieste. È una formula che vale ormai per diverse tipologie di rifiuti: gli imballaggi, i rifiuti elettrici ed elettronici, gli pneumatici, gli oli minerali o vegetali, le batterie. Vale a dire per parecchie decine di milioni di tonnellate di materiali recuperabili che vengono gestiti e reimmessi nei cicli produttivi.
I compliance schemes hanno un ruolo molto particolare perché disegnano un nuovo equilibrio tra norme e mercato, tra associazioni di imprese e amministrazioni locali, tra libera concorrenza e mercato amministrato; cioè tra beni comuni e interesse privato. Questo equilibrio è in continua evoluzione e i compliance schemes giocano un ruolo fondamentale in questo processo di innovazione: sono strutture che accompagnano, per gradi, la società verso nuove soluzioni che a poco a poco trovano fluidità di mercato e convenienza economica.
Ecco perché questa rivista intende aprire una discussione diretta con i principali compliance schemes internazionali in modo da costruire, attorno agli spunti contenuti in questo articolo, una proposta utile per la collettività e per le aziende. Si tratta di mettere a fuoco sempre meglio il modello: quali sono i dispositivi più efficaci nei diversi contesti socioeconomici? Alcuni modelli appaiono più solidi e duraturi, altri sembrano più adatti in situazione di transizione. Tutti i sistemi rispondono, in modo più o meno accentuato, a esigenze di interesse pubblico e di sostenibilità ambientale, e tutti – poiché sono costituiti essenzialmente da imprese – devono garantire bilanci sani a ciascuno degli interpreti della filiera. I modelli più efficaci potranno essere esportati nei paesi che non ne sono ancora dotati, estendendo ulteriormente l’ampiezza dell’economia circolare.