Recupero di energia dai rifiuti, mezzi alimentati con biometano prodotto dagli oli esausti, riutilizzo delle acque in uscita dai depuratori, rigenerazione dei film plastici: tutti i settori di business di Hera sono oggetto di una trasformazione in un'ottica di circolarità. E ora la multiutility di Bologna guarda al futuro, con sistemi di etichettatura capaci di far decollare il mercato del riciclo.
Gli investimenti in economia circolare sono sostenibili, economicamente e ambientalmente. Lo dimostrano i numeri raggiunti e fissati dal Gruppo Hera. Per far decollare il mercato di materie prime seconde l’amministratore delegato Stefano Venier propone i certificati del riciclo.
La multiutility Gruppo Hera è stata inserita nel programma internazionale della Fondazione Ellen MacArthur. Come si compone il vostro disegno di economia circolare?
Con uno slogan direi: ‘Tutto il waste che serve, ma non solo waste’. Nell’economia circolare, al centro del nostro piano industriale al 2024, coinvolgiamo infatti tutti i nostri business, non solo quello dei rifiuti, che pure ha già archiviato risultati importanti.
Penso ai vent’anni di anticipo con cui abbiamo centrato l’obiettivo Ue sulla riduzione del ricorso alla discarica per i rifiuti urbani, ma anche al fatto che abbiamo già raggiunto e superato il target del 55% al 2025 sul tasso di riciclo complessivo e centrato quello al 2030 del 72% sul riciclo degli imballaggi.
Fondamentale, inoltre, è il recupero di materia ed energia cui viene avviato l’81% delle oltre 400.000 tonnellate di rifiuti trattate dai nostri impianti di selezione che ricevono la raccolta differenziata.
Un altro fronte riguarda poi la mobilità sostenibile: i mezzi su cui trasportiamo la raccolta differenziata fatta dai cittadini sono alimentati da un biocarburante derivante dagli oli esausti che noi stessi raccogliamo. E con i 7,8 milioni di metri cubi di biometano che abbiamo prodotto nel solo 2020 nell’impianto di S. Agata Bolognese, partendo dalla frazione organica dei rifiuti, alimentiamo mezzi di trasporto pubblici e privati, puntando a 30 milioni di metri cubi entro il 2030.
Ma non dimentichiamoci l’idrico, con l’avvio a riuso agricolo del 5% dell’acqua in uscita dai nostri depuratori, un dato che al 2024 contiamo di far salire al 9%: non parlo di gocce, ma di 17 milioni di metri cubi d’acqua.
La raccolta differenziata e il corretto conferimento dei rifiuti attivano l’economia circolare e la green economy. Quanto contano tracciabilità e monitoraggio da remoto, nell’ottica sia della trasparenza verso l’utente sia della sicurezza dei lavoratori, soprattutto ai tempi della pandemia di Covid-19?
Contano molto, perché valorizzano al massimo l’impegno profuso dai cittadini e li incentivano a fare sempre meglio. Nel 2020 la raccolta differenziata è salita ancora, raggiungendo il 65,3%, ma non ci basta, ed entro il 2024 puntiamo al 75%. Lo possiamo fare anche perché i nostri servizi ambientali, dalla raccolta dei rifiuti alla pulizia stradale, sono informatizzati dal sistema all’avanguardia HergoAmbiente, che georeferenzia processi e asset (compreso il singolo cassonetto), calibrando da remoto le attività sul campo, migliorandosi nel tempo e risultando particolarmente performante dove è già in vigore la tariffazione puntuale. Una digitalizzazione, peraltro, condotta sempre in maniera responsabile, con investimenti mirati alla sicurezza cibernetica, fondamentale quando metti in rete anche i cittadini. Con l’app Il Rifiutologo, infatti, chiunque può sapere come conferire ogni singolo rifiuto ma anche effettuare segnalazioni utili al decoro urbano, che noi prendiamo in carico. Questo rinsalda il legame fiduciario e aiuta le persone a sentirsi protagoniste. Identico lo spirito del report annuale Sulle tracce dei rifiuti, dove mostriamo come il 92% di quello che le persone differenziano venga effettivamente portato a recupero.
Il Covid-19, certamente, ha rappresentato una sfida importante per i nostri servizi ambientali, ma questi standard di qualità non sono venuti meno: la continuità delle prestazioni è infatti stata garantita, e precise misure di sicurezza sono state adottate per lavoratori, fornitori e cittadini.
In che modo la multiutility promuove la salvaguardia dell’acqua e come attuate una gestione del servizio che rispetti i principi di economia circolare?
In primo luogo, credendoci: nel piano industriale al 2024 all’idrico è destinato circa un miliardo di euro di investimenti, essenziali per fare la differenza in un comparto non solo stressato dal climate change ma anche altamente infrastrutturato. L’esempio, poi, è per noi alla base di tutto: grazie al progetto di water management interno e all’introduzione della figura del water manager, nel 2020 i nostri consumi idrici sono scesi del 12% sul 2017, e sfruttando sensoristica e intelligenza artificiale stiamo anche abbattendo i consumi elettrici del parco impianti.
Massima attenzione anche ai clienti, per i quali c’è il Diario dei consumi, un tool ispirato ai principi dell’economia comportamentale di Richard Thaler che paragona le loro abitudini a quelle di utenze virtuose. Alle imprese idroesigenti, inoltre, il Gruppo riserva un portale attraverso cui verificare e controllare i propri consumi. In una logica di sistema e di engagement vanno poi considerati gli accordi con gli enti del territorio, come i consorzi di bonifica e le amministrazioni pubbliche, che ci permettono di usare i reflui depurati per coprire quote crescenti dei fabbisogni idrici dell’agricoltura, un settore particolarmente ‘assetato’, dove ‘riuso’ deve diventare parola d’ordine. Ma i depuratori si stanno dimostrando luoghi ideali anche per implementare la tecnologia del power-to-gas. Insomma: circolarità e sinergia tra filiere, la nostra ricetta passa anche da questo.
Il tema del recupero e della rigenerazione degli scarti di film plastici suscita sempre grande interesse. Quali risultati avete conseguito grazie all’acquisizione di Aliplast?
Abbiamo dimostrato che la plastica non va demonizzata, bensì gestita, perché è un materiale duttile e performante, e diventa un problema solo se abbandonata o prodotta intaccando il capitale naturale del pianeta. Già oggi, in questo senso, Aliplast è in grado di produrre annualmente circa 100.000 tonnellate di plastica riciclata e rispetto al 2017 ha aumentato del 16% la propria capacità produttiva. Abbiamo fatto breccia in settori dagli alti standard qualitativi, come l’imballaggio alimentare e la cosmesi, e ci stiamo affacciando anche sul comparto delle plastiche rigide, utilizzate in comparti come quello dell’elettronica e dell’automotive, che finora hanno usato quasi esclusivamente polimeri vergini. Non solo: forti di Aliplast abbiamo sottoscritto il programma per la riduzione dell’inquinamento da fonti plastiche New Plastics Economy Global Commitment della Fondazione Ellen MacArthur, ed entro il 2025 ci siamo impegnati ad aumentare la produzione di plastica riciclata del 70% sul 2017. E del 150% entro il 2030. E lo faremo.
Guardando al futuro, come potrà veramente decollare il mercato delle materie prime seconde in Italia?
Bisogna creare condizioni di sistema intelligenti, che funzionino come game changer, partendo anche dalle misure incentivanti che già esistono per indurre le imprese a usare quote crescenti di riciclato nei loro prodotti. Inoltre, il prodotto potrebbe avere una etichettatura, verificata da enti terzi, che dia conto della quantità di materia prima seconda impiegata, dell’impronta carbonica e di quella idrica, così da informare e responsabilizzare i clienti, altro anello fondamentale. Ogni azienda potrebbe poi ottenere dei certificati attestanti l’utilizzo di materia prima riciclata, che potremmo chiamare ‘certificati del riciclo’ in assonanza con i certificati bianchi e verdi. Quelle più virtuose potrebbero così guadagnare crediti da commercializzare con i player meno green. Il sistema si sposerebbe bene con la tassazione verde e il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Le strade, in altre parole, possono essere diverse, ma occorrono sguardi lunghi e idee chiare.