Si conosce sempre meglio l'impronta ambientale dei servizi digitali, dei centri di calcolo e della rete che li rende disponibili, e dei dispositivi per utilizzarli. E l'impatto è considerevole e in rapida crescita. Si stima che, complessivamente, il ciclo di vita del settore digitale, includendo produzione, uso e smaltimento, abbia generato nel 2020 tra 1,2 e 2,2 giga tonnellate di anidride carbonica (CO2), pari a 2,1-3,9% delle emissioni globali, superiore quindi a un settore come quello del trasporto aereo.

A queste si aggiungono gli impatti sull'ambiente legati all'estrazione dei metalli necessari al funzionamento dei dispositivi elettronici e al crescente volume di rifiuti elettrici ed elettronici, che nel 2018 corrispondevano a quasi 57 milioni di tonnellate, di cui solo circa il 17% vengono correttamente riciclati. La consapevolezza di questa impronta e la conoscenza delle misure  necessarie per contenerla e ridurla nella società e nelle aziende non sono però altrettanto sviluppate.

L’impatto dei processi immateriali

Nell'industria, l'attenzione verso la sostenibilità è portata in primo luogo sugli aspetti materiali del processo produttivo e in particolare sul flusso di materiali, sostanze nocive, energia, acqua, residui, scarti, e sulla catena logistica che va dai fornitori ai clienti finali. Le emissioni di gas a effetto serra vengono contenute attraverso misure d'efficientamento energetico, utilizzo di energie da fonti rinnovabili, elettrificazione dei processi di trasformazione e dei trasporti. Il bisogno di materia prima, e di acqua, viene ridotto attraverso il recupero e il riciclo di scarti e di prodotti arrivati a fine uso. Dove possibile i prodotti inquinanti vengono sostituiti, e altrimenti gestiti con massima cautela per evitare che si disperdano nell'ambiente.

È più raro invece che altrettanta attenzione venga posta su quei processi produttivi percepiti come immateriali, in particolare sul flusso di dati che connette l'attività produttiva ai fornitori, ai clienti, ai prospects, e le diverse funzioni all'interno dell'azienda tra di loro. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di flussi di dati trasmessi da un server all'altro attraverso la rete, trattati e archiviati in grandi e potenti centri di calcolo: il cosiddetto cloud che contrariamente al nome non ha nulla di etereo.

Il cloud infatti è ben impiantato a terra, copre migliaia di metri quadrati di suolo con capannoni che ospitano migliaia di server operativi 24/7. Centri di calcolo che consumano terawatt di elettricità per ricevere, trattare, archiviare e trasmettere zettabytes di dati, ma anche per mantenere costante la temperatura dell’ambiente, intorno ai 28°C, utilizzando milioni di litri di acqua per il raffreddamento.

E per lo scambio di dati il cloud si appoggia su una  fittissima rete di cavi lunghi milioni di chilometri, milioni di antenne e migliaia di satelliti, oltre che a milioni di routers, miliardi di modem e di dispositivi che ricevono, indirizzano e trasmettono dati. Dietro all'apparente immaterialità, il flusso di dati cela un flusso di materia, energia, acqua che ha molteplici impatti sull'ambiente e che richiede interventi mirati e specifici.

Le aziende leader della sostenibilità del prodotto sono sostenibili anche online?

Ci siamo chiesti in che misura aziende che perseguono con determinazione la sostenibilità ambientale, trasformando in profondità i propri processi produttivi, prendano in considerazione anche la riduzione dell'impronta ambientale delle proprie attività digitali. I tanti incontri con aziende impegnate sul fronte della sostenibilità e le tante conversazioni intorno al tema dell'ecologia digitale degli ultimi mesi sembrano indicare che la sensibilità sul tema sia ancora poca, l'impatto del digitale sia generalmente sottovalutato o non sia tra le priorità, e le metodologie di progettazione per ridurlo siano ancora poco conosciute.

Ci sembra quindi importante sensibilizzare e informare chi è già impegnato nel perseguire la sostenibilità ambientale sul tema della sostenibilità digitale e sulle misure che si possono intraprendere per includere, all'interno del piano di sostenibilità, anche la riduzione dell'impatto ambientale delle attività digitali.

La ricerca

Per arrivare a una prima valutazione del divario tra sostenibilità materiale e sostenibilità digitale abbiamo identificato un campione di aziende leader e misurato la carbon footprint della loro presenza digitale. Come indicatore di leadership, abbiamo ritenuto il fatto che un'azienda abbia ottenuto, per uno o più dei suoi prodotti, la certificazione EU Ecolabel, segno di eccellenza per quanto riguarda la sostenibilità del prodotto.

Come indicatore di sostenibilità digitale abbiamo misurato l'impronta di carbonio della presenza digitale della stessa azienda utilizzando due tra gli strumenti più avanzati oggi disponibili per calcolare le emissioni di anidride carbonica di un sito web: uno strumento internazionale, il Website Carbon Calculator, e la versione italiana dello stesso strumento, Siti Green, che nel calcolo utilizza l'intensità di anidride carbonica della rete elettrica italiana.

Abbiamo così potuto determinare quante, tra le aziende leader, hanno anche una presenza digitale sostenibile. Hanno cioè la home page del proprio sito aziendale che ogni volta che viene consultata emette una quantità molto inferiore alla mediana delle emissioni, che nel luglio 2023 era pari a circa 0.8 grammi di CO₂ per pagina, e hanno il sito ospitato in un centro di calcolo alimentato da energie rinnovabili. Abbiamo scelto la home page perché è generalmente la pagina più collegata e consultata, e rappresenta il biglietto da visita dell'organizzazione. Partiamo quindi dall'ipotesi che un'organizzazione attenta alla sostenibilità prenda anche in considerazione l'impatto della propria presenza digitale, e abbia un sito web a basso impatto ospitato in una server farm a basse emissioni.

I risultati

Sono 63 le aziende italiane che hanno ottenuto il prestigioso marchio di certificazione ecologica EU Ecolabel (basato su ISO 14024:2018) per uno o più dei propri prodotti. Il marchio è stato istituito nei primi anni Novanta dalla Commissione europea per identificare i prodotti e i servizi a basso impatto ambientale lungo tutto il loro ciclo di vita, dalla produzione all'uso fino allo smaltimento. Viene attribuito a specifiche categorie di prodotti: detergenti, prodotti tessili, cartacei, elettrodomestici e prodotti per la cura personale. Per ottenerlo, i criteri da soddisfare riguardano l'efficienza energetica, l'uso di materiali riciclati o riciclabili, l'emissione di sostanze nocive e l'impatto sull'acqua e sulla biodiversità.

Esaminando ora la home page dei siti di queste 63 aziende, osserviamo una grande disparità in termini di emissioni di CO₂ a ogni consultazione. Ci sono pagine che emettono più di 5 grammi di CO₂, cioè più di sei volte il valore mediano, e altre che ne emettono circa 0,10 grammi, cioè otto volte meno del valore mediano. 26 home page hanno emissioni all'apertura superiori alla mediana, tra 5,34 g/CO₂ e 0,80 g/CO₂, mentre solo due siti producono emissioni sensibilmente più basse, inferiori a 0,20 g/CO₂. Le altre home page si situano tra 0,79 e 0,23 g/CO₂.

Per quanto riguarda l'hosting del sito, 28 aziende non si appoggiano a una server farm alimentata da energia rinnovabile, mentre 25 aziende utilizzano una server farm green. I due indicatori non sono necessariamente correlati. Home page ad alte emissioni sono ospitate su server farm green e home page a basse emissioni sono ospitate  su server farm che non utilizzano energia rinnovabile. Questo sembra indicare l'assenza di una strategia d'insieme per rendere la presenza digitale sostenibile.

Cosa si può fare

Questi risultati preliminari avvalorano l'ipotesi che a oggi esiste un sensibile divario tra impegno per la sostenibilità materiale e poca attenzione rivolta alla sostenibilità digitale. Ma in realtà sappiamo come ridurre l'impatto ambientale della presenza digitale. La progettazione a basso impatto minimizza il volume di dati che vengono trasmessi dal centro di calcolo al dispositivo e poi caricati ogni volta che una pagina viene consultata, offrendo allo stesso tempo un'esperienza immediata, senza pause né distrazioni, una più facile manutenibilità del sito e inferiori costi di hosting.

A sua volta, la scelta di un centro di calcolo sostenibile, non solo attraverso l'alimentazione con elettricità da fonti rinnovabili certificate ma anche con l'uso di sistemi di raffreddamento efficienti e di gestione attenta delle apparecchiature, contribuisce ulteriormente a ridurre l'impronta ambientale della propria presenza digitale.

Con queste due misure, relativamente semplici quando paragonate alle grandi trasformazioni operate per rendere processi e impianti produttivi più sostenibili, le aziende possono minimizzare l'impronta ambientale della propria presenza digitale.

 

Immagine: Johnson Wang, Unsplash