È l’Emilia-Romagna la prima regione in Italia ad aver assunto, per legge, l’economia circolare come stella polare della propria politica dei rifiuti. Obiettivo: ridurre la produzione di Rsu non differenziati e recuperare più materia possibile da inviare a riciclo.
Lo ha fatto con gli undici articoli della Legge 16 entrata in vigore il 5 ottobre scorso, il cui titolo funge, per così dire, da sintetico manifesto programmatico: “Disposizioni a sostegno dell’economia circolare, della riduzione della produzione di rifiuti urbani, del riuso dei beni a fine vita, della raccolta differenziata e modifiche alla legge regionale 19 agosto 1996 n. 31 (Disciplina del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi)”.
Per attuare concretamente questa svolta “filosofica”, la legge ha istituito il Forum permanente per l’economia circolare, a cui parteciperanno le istituzioni locali, i rappresentanti della società civile, le organizzazioni economiche di rappresentanza delle imprese e le associazioni ambientaliste. Per quanto riguarda la gestione degli Rsu, il provvedimento assegna ai Comuni obiettivi minimi alquanto ambiziosi da raggiungere al 2020. Infatti, rispetto alla produzione di rifiuti urbani registrata nel 2011, il target ora in vigore è ridurli del 20-25%, per raggiungere una media di 150 chili annui per abitante al 2020. Per la raccolta differenziata, invece, l’asticella è fissata al 73%, di cui almeno il 70% da inviare a effettivo riciclo.
Fin qui i numeri. Con un’annotazione, prima di passare all’esame puntuale dei diversi articoli: il testo approvato è figlio di due proposte di legge di iniziativa popolare e di un intenso percorso partecipativo che ha coinvolto Comuni e associazioni ambientaliste fin dal passato mandato amministrativo. “Un aspetto che va sottolineato perché ha caratterizzato il contenuto della legge e l’attività di confronto con il territorio”, riconosce la consigliera regionale del Partito democratico Lia Montalti, relatrice del provvedimento in Commissione ambiente. Prima di approdare all’esame dell’Assemblea regionale, infatti, le due proposte di iniziativa popolare – redatte da un esperto dell’Ecoistituto di Faenza, Natale Belosi – erano state votate dai consigli comunali di 60 Comuni grandi e piccoli (tra cui Forlì, Modena, Parma e Piacenza) e dalla Provincia di Reggio Emilia. Una “massa critica istituzionale” rappresentativa del 60% della popolazione dell’Emilia-Romagna e che, insieme a Legambiente, Wwf e vari comitati locali, e a otto consiglieri regionali di maggioranza della passata legislatura, ha premuto sulla Regione perché approvasse il provvedimento. Così, in appena un paio di mesi, si è arrivati a definire il testo della Legge 16 che, ammette Belosi, per certi aspetti integra e migliora le proposte votate dai Comuni, che comunque sono state accolte al 50%.
È l’obiettivo di minimizzare la produzione di indifferenziati, prioritario anche rispetto al recupero di energia negli impianti di incenerimento, a costituire la “rivoluzione copernicana” nella gestione degli Rsu. In pratica, rovesciando il criterio adottato finora, la bussola in base alla quale orientare, incentivare e valutare l’efficacia delle politiche comunali di gestione dei rifiuti non è più la percentuale di differenziata raggiunta – che, come sostiene Belosi, può essere “taroccata” per esempio includendovi gli enormi quantitativi di inerti derivanti dalle demolizioni – bensì la diminuzione della frazione indifferenziata non inviata a riciclo.
Per consentire ai Comuni di raggiungere i target fissati al 2020, la Legge 16 ha istituito tre strumenti volti a premiare le amministrazioni locali e i residenti che ottengono i migliori risultati di riduzione della produzione di indifferenziati. E – viceversa – a penalizzare i più spreconi.
Il primo di questi strumenti è il Fondo d’ambito di incentivazione alla prevenzione e riduzione dei rifiuti, finalizzato per metà ad abbassare il costo del servizio di gestione degli Rsu a carico dei cittadini-utenti nei Comuni che raggiungono un alto livello di riduzione degli indifferenziati (per l’esattezza, la quota prodotta per abitante equivalente – considerati quindi anche city user e turisti – deve essere inferiore al 70% della media regionale). L’altro 50% del Fondo è invece destinato a finanziare, sotto forma di incentivo progressivo e automatico, i progetti e gli investimenti dei Comuni dedicati all’incremento della raccolta differenziata, alla riduzione della produzione dei rifiuti. Ma anche alla creazione dei Centri comunali di riuso, dove i beni conferiti dai cittadini verranno sottoposti ad adeguata manutenzione per renderne possibile il reimpiego. In questo modo alle amministrazioni locali più virtuose andranno maggiori risorse e i residenti potranno risparmiare sulla bolletta. Fino al 2020 resterà in vigore questo schema di ripartizione del Fondo, mentre successivamente i due terzi saranno utilizzati per ridurre le bollette e un terzo per finanziare i progetti dei Comuni.
Il secondo strumento è il Tributo speciale per il conferimento in discarica degli Rsu, nonché per lo smaltimento dei rifiuti tal quali in impianti di incenerimento senza recupero di energia: tale tributo va a incrementare la preesistente ecotassa sullo smaltimento istituita per legge nel 1996. La ratio che motiva l’incremento è intuitiva: rendere l’opzione smaltimento economicamente poco appetibile e spianare quindi la strada alla chiusura delle discariche attive in Emilia-Romagna. Anche in questo caso saranno penalizzati i Comuni meno virtuosi che producono più indifferenziati, i quali subiranno pertanto un incremento maggiore dell’ecotassa da versare alla Regione.
Il terzo strumento innovativo – la tariffazione puntuale – introduce un altro criterio di equità: i cittadini pagheranno la tassa sui rifiuti in ragione della frazione di indifferenziata conferita. Finiscono così in soffitta i sistemi di calcolo basati sulla superficie dei locali dell’abitazione o sul numero dei componenti del nucleo familiare. In questo modo si colma il vuoto normativo che finora aveva impedito ai Comuni di adottare questa metodologia tariffaria che “sulla base delle esperienze esistenti, ha dato prova di contribuire in maniera efficace a ridurre la produzione di rifiuti”, commenta Montalti. “Ora la legge impone a tutti i Comuni di adottarla entro il 2020. Inoltre la tariffa puntuale consentirà alle imprese di recuperare l’Iva sul servizio pagato”, opportunità che in regime di tassa sui rifiuti non esisteva.
Tra le politiche regionali introdotte nell’orizzonte dell’economia circolare c’è il dichiarato impegno a promuovere lo sviluppo dell’impiantistica collegata al riuso e al riciclo sia della frazione differenziata sia di quella indifferenziata. E anche “il sostegno alla ricerca sulla frazione di rifiuto residuale, al fine di riuscire a modificare a monte la produzione dei beni attualmente non riciclabili e di favorire così il recupero di materia” sottolinea Michele Giovannini, sindaco di Castello d’Argile (BO) che ha guidato la pattuglia dei colleghi nel confronto con la Regione. Inoltre, per ridurre al massimo la produzione di rifiuti organici e gli impatti ambientali derivanti dalla loro gestione, viene promosso il compostaggio domestico e di comunità, a partire dalle utenze che risiedono in aree agricole o in abitazioni sparse.
Anche il sistema di finanziamento del Fondo di incentivazione risponde a un criterio di equità, dal momento che “i Comuni che producono più indifferenziati contribuiranno in maniera maggiore ad alimentarlo”, puntualizza Montalti. Il Fondo infatti (articolo 3 della legge) verrà finanziato in parte con una percentuale che va dal 5 al 15% del costo complessivo di smaltimento degli indifferenziati a carico dei Comuni (costo esplicitato nei piani economico-finanziari comunali e coperto dalla bolletta pagata dagli utenti); in parte (articolo 7) con una quota della succitata ecotassa incassata dalla Regione, percentuale che non è stabilita nella norma e che verrà decisa anno per anno dalla Giunta. Poiché nel testo approvato non è specificata la soglia di dotazione complessiva del fondo, nel corso del dibattito in Assemblea con un collegato alla legge è stato dato mandato alla Giunta di garantire, con proprie risorse, il raggiungimento del tetto minimo di 10 milioni di euro l’anno.
Sulla tipologia di raccolta delle frazioni differenziate la Legge 16 non è restrittiva: “Tenuto conto delle esperienze già in corso sul territorio, il provvedimento parla sia di porta a porta sia di sistemi equipollenti in termini di risultato, per evitare di entrare a gamba tesa sul terreno dell’autonomia dei Comuni”, spiega Montalti. Nelle more dell’intervento statale, come metodo di calcolo delle rese della raccolta differenziata al 31 dicembre 2020 verrà comunque assunto quello elaborato da Ispra.
Un aspetto interessante della legge riguarda l’allentamento delle maglie in relazione al percorso di affidamento del servizio ambientale: Infatti, recita l’articolo 6 “il gestore del servizio di raccolta potrà essere diverso da quello degli impianti di smaltimento dei rifiuti”, neutralizzando così la tentazione per il gestore unico di scegliere modalità di raccolta funzionali all’impiego dei propri impianti di incenerimento e discariche, anziché al recupero di materia.
Un’altra innovazione riguarda l’arrivo degli ispettori ambientali per la guerra al “rifiuto selvaggio”: ai dipendenti del gestore del servizio di raccolta degli Rsu viene infatti attribuito il ruolo di agenti accertatori: potranno quindi contestare agli utenti i comportamenti che contravvengono alle modalità di raccolta dei rifiuti impartite dai Comuni.
Venendo ora al comparto delle imprese, per quelle che innovano ciclo produttivo e prodotti con l’obiettivo di ridurre la produzione di rifiuti, la legge (comma 2 dell’articolo 3) richiama gli incentivi previsti da altri provvedimenti regionali, per esempio per l’assegnazione di fondi europei. Inoltre (comma 3), stabilisce che nel regolamento relativo al corrispettivo del servizio di gestione dei rifiuti si possano prevedere delle agevolazioni per le aziende che attuano azioni finalizzate alla prevenzione della produzione di rifiuti. Ciò con esplicito riferimento sia alle attività benefiche e sociali sia alle iniziative che abbiano ottenuto la formale certificazione del punto vendita sotto il profilo ambientale ed energetico nell’ambito di protocolli di intesa sottoscritti con la Regione (il primo di questi è stato firmato a novembre con Legacoop e altre catene della Grande distribuzione organizzata cooperativa emiliano romagnola). Anche in questo caso si è colmato un vuoto normativo che in passato ha impedito ai Comuni di premiare le imprese del territorio che attivavano iniziative per la riduzione dei rifiuti e il recupero di beni e materia.
Approvata la legge, il prossimo passo legislativo che devono ora affrontare Giunta regionale e Assemblea legislativa sarà incardinare nel Piano rifiuti regionale, attualmente in discussione, i nuovi target di riduzione dell’indifferenziata, di raccolta differenziata e riciclo, con particolare riferimento alla revisione della programmazione impiantistica prevista dal piano vigente approvato nel 2011.
“Rispetto alla tempistica del nuovo Piano rifiuti ha deliberatamente prevalso la volontà politica di approvare prima la Legge 16 che promuove la riduzione della produzione di indifferenziati e pone obiettivi di differenziata e riciclo più spinti”, sottolinea Montalti. “L’adozione del nuovo Piano richiederà un intenso lavoro perché quello in vigore prevede che delle 30 discariche oggi attive ne rimangano 4, un numero su cui si sta lavorando per renderlo coerente con gli obiettivi della Legge 16. E si sta spingendo anche in materia di inceneritori: la Giunta sta facendo incontri a livello locale poiché si punta a chiuderne alcuni, rivedendo la precedente previsione di piano, come è ovvio che sia alla luce dei nuovi target”.
Legge regionale Emila-Romagna 5 ottobre 2015, n. 16
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