Ai Weiwei,Forever, 2014, Palazzo Cavalli-Franchetti, Venezia
Per gentile concessione di Berengo Studio e Lisson Gallery

 

Già l’avanguardia Dada – in particolare il Ready Made di Duchamp – con un approccio liberatorio e dissacrante nei confronti dell’arte istituzionale ridefinì il significato di oggetti e immagini negando il loro contesto e la loro funzione d’origine. 

Alla fine degli anni Cinquanta poi, artisti New Dada e Nouveaux Réalistes hanno rielaborato la nozione di Ready Made riappropriandosi di tutto ciò che la società offre. Non solo prodotti, dunque, ma anche rifiuti. Con un “nuovo approccio percettivo del reale” questi artisti hanno sublimato il boom economico di quegli anni trasformandone le scorie in opera d’arte. È così che lo scarto e l’oggetto comune sono diventati vera e propria materia per l’arte. 

Oggi poi l’arte torna a confrontarsi anche con gli impatti prodotti dalle politiche economiche sull’ecosistema del pianeta e sulla nostra stessa sopravvivenza. Gli artisti si fanno portavoce di una denuncia che impone una riflessione critica, rielabora le contraddizioni della nostra società e il suo stile di vita, invitando a osservare il mondo con maggiore consapevolezza. Riciclo e creazione artistica hanno allora lo stesso scopo: dare nuova vita a materiali già usati. In alcuni casi l’operazione è meramente concettuale ed è racchiusa nel messaggio contenuto nell’opera. In altri si manifesta più concretamente e l’artista utilizza il riciclo come metodo di creazione. 

Per esempio, l’occasione di riflettere su inquinamento e stile di vita ci viene da Forever bicycles del cinese Ai Weiwei. Forever bicycles si compone di migliaia di biciclette, in un tributo alla mobilità delle masse. Ai Weiwei reitera la Ruota di bicicletta di Duchamp evidenziando l’importanza di ampliare il nostro punto di vista sulla realtà: ci invita a osservare come una bicicletta possa diventare un oggetto che, paralizzato nell’incastro con gli altri, perde la propria integrità e funzione, in cui la sensazione di movimento è restituita solo dal gioco ottico delle sovrapposizioni. Spesso le opere di Ai Weiwei inducono a riflettere sul valore del singolo individuo collocato nella complessità del sistema sociale; in Forever bicycles questa riflessione si salda con il tema dell’impatto ecologico, delle abitudini quotidiane e dei ritmi della città contemporanea.

Queste stesse questioni sono evocate anzi rivendicate, seppur con un diverso linguaggio, nei lavori di Yuri Romagnoli, alias Hopnn. Per questo street artist la rivoluzione ecologista prende forma e colore nello spazio urbano: l’intervento di Hopnn su un muro o su una carcassa di auto bruciata racconta storie che vogliono ispirare l’uso della bicicletta invece dell’automobile. La bici diventa simbolo di un nuovo modo di vivere la città, esprime la scelta personale di non inquinare (espressa nello slogan +B.C. = -CO2) e di anteporre il benessere collettivo alla comodità individuale. La stessa estetica della bicicletta entra in contrasto con l’alienazione industriale del traffico urbano, in battaglie frontali in cui sono le auto ad accartocciarsi, mentre onde di ciclisti prendono il volo.

Con il tema dei rifiuti e del riciclo Hopnn si è confrontato nel 2013 nella Tour 13 di Parigi, quando nell’appartamento 931 ha utilizzato l’ambiente in disuso. Trasformando in un gigantesco triciclo il parquet smantellato del pavimento. Una scultura inattesa ed effimera le cui forme non nascondono il materiale di recupero di cui è costituita.

 

Hopnn, Senza titolo - Triciclo, 2013, Tour 13, Parigi
Hopnn©

 

Hopnn, Spintime, 2015, Roma
Hopnn©

 

Hopnn, Auto, 2016, trapanese
Hopnn©

Sito di Hopnn, hopnn.com

 

Altro esempio di come l’arte grazie al riciclo riesca ad attingere alla realtà è costituito dall’opera di Hazoumé, artista beninese. 

Con le sue masques-bidons realizzate con taniche di plastica, l’artista racconta un mondo in cui i ritratti umani diventano il simulacro del traffico di petrolio tra Benin e Nigeria, emblema della corruzione e della disparità economico-politica tra Africa e Occidente. Un conflitto che si esprime nella galleria di ritratti che l’artista realizza da oltre vent’anni. Ogni maschera – nonostante la matrice standard imposta dalle taniche – mostra un carattere, un’individualità e un’unicità propria espressa dai colori, dalle incisioni, dalle scritte sulla sua pelle. Basta osservare le sculture Ati e Miss Havana per rendersi conto di quanto, a partire dallo stesso materiale, l’artista sia capace di manipolare lo scarto, creando personaggi e al tempo stesso raccontando la cultura, la tradizione e l’attualità dell’Africa contemporanea. 

 


Romuald Hazoumé, Miss Havana, 1999, tanica di plastica, capelli sintetici, rame
Per gentile concessione di CAAC - The Pigozzi Collection ©Romuald Hazoumé

 


Romuald Hazoumé, Ati, 1994, tanica di plastica, capelli sintetici, nylon, gomma
Per gentile concessione di CAAC - The Pigozzi Collection ©Romuald Hazoumé

 

Romuald Hazoumé, Noix de Coco / Coconut, 1997, tanica di plastica, capelli sintetici, metallo, nylon
Per gentile concessione di CAAC - The Pigozzi Collection ©Romuald Hazoumé

 

Romuald Hazoumé, Cargo, 2006, Vespa a tre ruote, taniche in plastica, metallo
Per gentile concessione di CAAC - The Pigozzi Collection ©Romuald Hazoumé

 

Per focalizzare l’attenzione su come l’uomo interviene sulla natura, in un (ri)ciclo di morte e rinascita l’artista brasiliano Henrique Oliveira usa invece il legno. Sinuosi e mostruosi rami o interi tronchi d’albero scaturiscono nel caso di Baitogogo dalle pareti bianche del glaciale ambiente White cube del Palais de Tokio di Parigi. O dalla calda atmosfera dell’ex fienile del Castello di Chaumont-sur-Loire con Momento Fecundo. In realtà questi contorti alberi sono formati da pannelli e assi di legno ritrovati ai margini dei cantieri e delle favelas di Rio che l’artista recupera e lavora in modo che la materia si riappropri della forma che la natura le ha destinato e il legno torni ad abitare la forma albero

Si tratta di manipolazioni che mettono insieme l’arte del riciclare e l’atto del restituire al mondo attraverso gli scarti stessi l’evoluzione delle vite e delle cose che lo popolano. Il ciclo vissuto dal legno nelle sue tre fasi – natura, oggetto, collettività – riflette con critica e poesia ciò che è avvenuto e continua a succedere nella nostra società. Lasciandoci la speranza che l’arte possa dar vita a un pensiero collettivo consapevole delle proprie azioni nel mondo. 

 

Henrique Oliviera, Baitogogo, 2013, Palais Tokio, Parigi, compensato e rami
Per gentile concessione dell’artista e della Galerie GP & N Vallois, Paris / Foto: Aurélien Mole

 

Henrique Oliviera, Momento fecundo, 2014, Centre d’art e de nature de Chaumont-sur-Loire
©Eric Sander 

 

Henrique Oliviera, Desnaturaleza, 2011, Parigi, legno, pigmenti, cemento
Per gentile concessione dell’artista e della Galerie GP & N Vallois, Paris / Foto: Aurélien Mole