Quando Daniel Webb ha aperto il ripostiglio che aveva dedicato ai suoi rifiuti di plastica, ammassandoli lì dentro per un anno intero, una montagna di 4.490 borse, imballaggi, confezioni, contenitori, bottiglie, bicchieri, posate, spazzolini ed altro gli è caduta addosso. Da quel momento, all’inizio del 2018, è iniziata un’opera di catalogazione, da cui è emerso che si tratta per il 93% di contenitori monouso e per il 60% di imballaggi di cibo. Solo otto pezzi della sua collezione sono fatti di plastica riciclata. Ora la montagna di rifiuti, debitamente riordinata, è stata fotografata ed è finita su un enorme murale fronte mare a Margate, ameno luogo di villeggiatura nel Kent, dove si è potuto ammirare come un monito alla decadenza della civiltà fino al 21 maggio. Nel frattempo, la catena di supermercati inglesi Sainsbury’s ha pensato di correre ai ripari di fronte alla “preoccupante” tendenza dei Millennials a consumare sempre meno carne per paura di toccarla, inventando un packaging di plastica ad hoc che consenta di cucinarla facendola scivolare direttamente nella padella, senza prenderla in mano. La prossima tappa sarà la banana senza buccia avvolta nella pellicola trasparente, per evitare la fatica di sbucciarla.
Il progetto di Daniel, chiamato Everyday Plastic, conferma – se ce ne fosse bisogno – che viviamo nell’era della plastica. Il suo avvento è stata una liberazione e ha migliorato in mille modi la vita quotidiana, ma al tempo stesso ci ha imprigionati in un mare di rifiuti e di micro-inquinamento. In base a un recente studio delle università americane della California e della Georgia, da quando la plastica è diventata un prodotto di massa negli anni ’50 a oggi ne sono state sfornate 8,3 miliardi di tonnellate; e le previsioni dei ricercatori stimano che questa montagna crescerà fino a 34 miliardi di tonnellate nel 2050. Nell’ultimo quinquennio, infatti, i big della petrolchimica hanno investito 186 miliardi di dollari in 318 nuovi stabilimenti, che porteranno a un aumento della produzione di plastica da fonti fossili del 40% nel prossimo decennio. Di questa enorme massa, fino ad oggi solo il 9% è stato riciclato e il 12% bruciato nei termovalorizzatori, mentre il 79% è andato a inquinare l’ambiente, in discarica, sul territorio o in mare.
Nello studio – senza dubbio il più completo identikit nella storia di questo materiale – si stima che metà dei 340 milioni di tonnellate di plastica prodotti ogni anno diventa rifiuto dopo meno di 4 anni di uso, per non parlare dei sacchetti, che in media si utilizzano solo per 20 minuti. E sarà sempre più così, visto che la crescita della produzione è guidata dall’aumento dei contenitori monouso e dalle bottiglie. Il confronto con gli altri materiali ubiqui, come l’acciaio o il cemento, è deprimente: “Più di metà di tutto l’acciaio che produciamo va nelle costruzioni, quindi viene utilizzato per decenni. Con la plastica è il contrario”, rileva Roland Geyer dell’Università della California a Santa Barbara, che ha guidato lo studio. “Oltre metà di tutte le materie plastiche diventano rifiuti dopo pochissimo tempo, da due giorni a quattro anni”. Il mare è l’ecosistema più colpito: lo stesso team aveva calcolato in uno studio precedente che 8 milioni di tonnellate di plastica all’anno finiscono in mare. Entro il 2050 gli oceani conterranno più plastica che pesce, secondo le stime della Ellen MacArthur Foundation. E gli esperti ammoniscono che la plastica si sta già facendo strada nella catena alimentare umana. In primo luogo nell’acqua di rubinetto.
Il tasso più alto di contaminazione dell’acqua da bere, al 94%, è stato trovato negli Stati Uniti, secondo uno studio condotto da Sherri Mason, esperta di microplastiche della State University di New York a Fredonia. In pratica, quasi tutta l’acqua che esce dai rubinetti degli americani è inquinata da fibre plastiche. L’India viene subito dopo. In Europa la situazione è migliore, ma siamo comunque al 72%. Non è chiaro come tutta questa plastica possa finire nell’acqua da bere, ma la spiegazione più plausibile, secondo i ricercatori, è che le microplastiche in sospensione in atmosfera, dove sono arrivate attraverso l’azione dell’usura quotidiana di materiali sintetici, finiscano nei laghi e nei fiumi con la pioggia.
Un altro studio dell’Università di Paris-Est a Créteil ha scoperto nel 2016 che una pioggia di microplastiche scarica dalle 3 alle 10 tonnellate all’anno di questi materiali su Parigi, inquinando l’aria e le acque della città. “Riteniamo che laghi e fiumi siano stati contaminati dagli input atmosferici”, sostiene Johnny Gasperi che ha condotto lo studio. “Ciò che abbiamo osservato a Parigi tende a dimostrare che in atmosfera sia presente un’enorme quantità di fibre”. Una ricerca dell’Università di Plymouth, invece, ha appurato che circa un terzo dei pesci catturati nel Regno Unito sono contaminati da microplastiche. Chi mangia regolarmente prodotti ittici ingerisce fino a 11.000 frammenti di plastica all’anno, secondo i risultati di uno studio dell’università di Gand, tanto che l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha richiamato l’attenzione sulla necessità di studiare gli effetti delle microplastiche sul nostro organismo (di cui si sa pochissimo), “dato il potenziale di inquinamento da microplastiche nei pesci commerciali”.
Alternative? Da un lato aumentare al massimo il riciclo della plastica già esistente e non biodegradabile, in modo da eliminare la necessità di produrne di nuova. Dall’altro, sostituire la plastica tradizionale derivata dal petrolio, con bioplastiche da materie prime rinnovabili, che oggi rappresentano appena l’1% della produzione annuale di plastica nel mondo: 4 milioni di tonnellate sui 340 milioni annuali.
In Europa, la strategia adottata dalla Commissione Ue all’inizio di quest’anno punta al riciclo totale degli imballaggi da qui al 2030: un obiettivo ambizioso, considerando che dei 26 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica prodotti ogni anno nell’Ue, per ora solo il 30% viene avviato a riciclo. Una quota significativa di questa percentuale, inoltre, viene trattata in mercati terzi, come la Cina, che ha recentemente annunciato un giro di vite sull’import di rifiuti in plastica, e solo il 6% rientra nella produzione di plastica europea. Da questa perdita di valore deriva un danno di oltre 100 miliardi di euro all’anno per l’economia dell’Unione. Emerge, quindi, l’urgenza di creare un mercato del materiale rigenerato, oggi molto limitato da una serie di blocchi, che le direttive in via di stesura finale cercheranno di superare.
A fine marzo la commissione Ambiente del Parlamento europeo ha pubblicato una bozza di risoluzione, che sarà la base per le direttive europee in materia. Il relatore, l’europarlamentare conservatore belga Mark Demesmaeker, considera il documento varato da Bruxelles in gennaio come “un passo avanti nella transizione verso una gestione sostenibile della plastica e verso un’economia circolare”, ma teme che “le azioni volontarie potrebbero essere insufficienti” per spingere l’industria all’utilizzo di plastica riciclata. Ne deriva l’ipotesi, caldeggiata dal Parlamento, di introdurre “regole obbligatorie sulle quote di contenuto riciclato per prodotti specifici” e di una modulazione dell’Iva per sostenere chi usa più plastica riciclata degli altri. “Il divieto di importazione cinese di rifiuti di plastica offre all’Ue un’immensa opportunità di premere sull’acceleratore. Dobbiamo usare questo slancio per investire e innovare”, dice Demesmaeker, che individua tre importanti blocchi da superare.
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Le immagini di questo articolo raffigurano gli oggetti in plastica riciclata proposti da Ecobirdy progettati dai designer Joris Vanbriel e Vanessa Yuan. Un progetto co-finanziato dal programma europeo COSME, che unisce alla realizzazione di oggetti di arredo per bambini, specifiche attività e supporti didattici. Ne parleremo più diffusamente in uno dei prossimi numeri. |
“È chiaro che alzare gli standard di qualità sarà essenziale per stimolare il mercato delle materie plastiche secondarie. Attualmente esiste una discrepanza tra la qualità delle materie plastiche riciclate e la qualità necessaria per la funzionalità di determinati prodotti”, sostiene Demesmaeker. Anche le nuove regole sulla responsabilità estesa del produttore, concordate nella legislazione rivista sui rifiuti, possono svolgere un ruolo importante: “Per spingere davvero il mercato in una certa direzione, abbiamo bisogno di un chiaro impegno da parte dei grandi operatori del settore, come nel caso dell’impegno di Danone di passare al 100% a bottiglie di plastica riciclata per l’acqua Evian entro il 2025. Sarà molto interessante vedere come i grandi player cominceranno ad abbinare un modello di business sostenibile e circolare alla propria immagine”, prevede Demesmaeker. Il procurement e il design per la circolarità sono un terzo tassello importante per sviluppare il mercato delle materie plastiche riciclate. “Un Green Deal sugli appalti circolari è attualmente in vigore nelle Fiandre, avviato con l’istituzione della piattaforma Circular Flanders e ispirato a un precedente esempio olandese. Questo caso di successo dimostra l’importanza degli appalti pubblici e privati per stimolare l’innovazione nei modelli di business”, rileva Demesmaeker.
La progettazione dei prodotti in funzione di un’economia circolare, la creazione di un mercato europeo per le materie plastiche riciclate, la prevenzione della produzione di rifiuti di plastica e la promozione delle bioplastiche sono tutti temi al centro delle raccomandazioni dei parlamentari. Per sostenere la transizione verso un’economia circolare, l’Europarlamento “ritiene che la società civile debba essere in grado di obbligare le imprese ad assumersi la propria responsabilità”. La Commissione dovrebbe “rendere la ‘circolarità prima di tutto’ un principio generale, anche per gli articoli in plastica che non sono imballaggi”, suggerisce l’Europarlamento. Nella bozza di fine marzo si chiede dunque che questa nozione venga incorporata nel New Deal for Consumers, attualmente in fase di preparazione. È il primo passo verso un coinvolgimento diretto del sistema produttivo europeo nella lotta contro l’inquinamento da plastica.
Mural by the Sea, www.muralbythesea.co.uk
Immagine in alto: ecoBirdy ©Luca Piras