Questo articolo è stato pubblicato su Works That Work, n.7, worksthatwork.com/7

 

Traduzione dal Kinyarwanda: “È proibito l’uso di sacchetti di plastica non biodegradabile”

 

Il mercato di Kimironko, un brulicante centro commerciale all’aperto alla periferia della capitale del Ruanda, è per molti sensi il tipico bazar africano. Sette giorni alla settimana, masse di abitanti di Kigali, che conta 1,3 milioni di residenti, affollano i suoi stretti vicoli costeggiati da alberi di mango, banane e avocado. Farina finemente macinata è accatastata formando montagnole e carcasse di capre e mucche pendono da ganci di metallo. I profumi, sufficientemente pungenti, riflettono la freschezza dei prodotti. All’ingresso, l’aria è appesantita dall’aroma del pesce proveniente dalla regione dei Grandi Laghi, ma all’interno del mercato il sentore lascia pian piano spazio agli odori delle spezie, del sudore e della frutta che matura lentamente, che si aggiungono a quello della terra che la pioggia ha trasportato a valle dalle colline circostanti.

A Kimironko, comunque – e in tutto questo sovraffollato paese che conta 12 milioni di abitanti – un elemento è palesemente assente. La maggior parte degli altri mercati sub-sahariani sono sommersi di plastica – i sottili sacchetti semitrasparenti utilizzati per impacchettare carni e spezie e i più pesanti sacchi neri per i prodotti – e una moltitudine di entrambi svolazza nell’aria, finendo per intasare scarichi, o per cadere a terra e mescolarsi al fango. In Ruanda, produzione, vendita e uso di polietilene sono illegali dal 2008, con pene per i trasgressori che vanno da multe salate a periodi di detenzione. E nonostante permanga un redditizio mercato nero per i sacchetti di plastica, la maggioranza dei ruandesi è passata a soluzioni alternative riusabili o biodegradabili. 

 

Il Ruanda è stato vicino all’autodistruzione, ma adesso è diventato uno dei primi paesi africani per sviluppo e imprenditoria. KN 3 Road è il viale principale che porta al Central Business District di Kigali, la capitale del Ruanda. Kigali è risultata, dopo diverse valutazioni, la città più pulita e verde del continente

 

Al Kimironko, questo significa business per i locali come Theoneste Vuguziga, che, in uno stand del mercato, vende una grande varietà di borse per la spesa. Appesi ai ganci ci sono gli articoli più vistosi e costosi: borse di tessuto dai colori brillanti ed enormi borse di carta cerata importate dall’India, decorate con immagini di elefanti, grandi felini e montagne dalle cime innevate che – in questo contesto – appaiono in qualche modo fuori luogo. Il prodotto più venduto da Vuguziga, comunque, è il più abbordabile economicamente: una semplice borsa di carta marrone che costa 100 franchi ruandesi, l’equivalente di circa 13 centesimi di dollaro statunitense o di 12 centesimi di euro. Sebbene il guadagno di Vuguziga sia modesto, le borse lo aiutano a sfamare la sua famiglia e a contribuire a quello che la maggior parte dei venditori e acquirenti vede come un’esperienza di mercato più attenta all’ambiente per non dire piacevole.

“Prima della messa al bando, le buste di plastica erano ovunque”, dice Rebecca Niyongabo, una cliente che sta acquistando fagioli a un banchetto vicino. “Il vento le sollevava in aria; i bambini le mangiavano; la gente le bruciava con l’immondizia e l’intero vicinato ne respirava la puzza. Era un disastro.”

 

Borse di plastica biodegradabile in vendita al mercato, da utilizzare per gli acquisti dopo la messa al bando delle buste di plastica non biodegradabile

 

Nonostante la messa al bando delle buste di plastica in Ruanda per molto tempo abbia fatto notizia a livello internazionale, la legge in sé è pressoché unica. Dalla fine degli anni ’90, diversi governi municipali, provinciali o nazionali hanno applicato una legislazione simile, ma di solito con risultati diversi. Nel 2002 il Bangladesh è diventato il primo paese al mondo a vietare i sacchetti di plastica, che avevano intasato il sistema fognario e contribuito al verificarsi di inondazioni catastrofiche. Altre nazioni, tra cui molte africane, hanno fatto lo stesso. Secondo l’Earth Policy Institute di Washington D.C. (dati 2013), 19 paesi del continente hanno applicato divieti totali o parziali, spesso prendendo di mira le buste più sottili che sono quelle più facilmente trasportate dal vento. Questo inasprimento della battaglia al polietilene è stato motivato da diversi fattori: tra questi il contributo dei sacchetti alle inondazioni e alla degradazione del suolo e il rischio che vengano ingeriti, con conseguenze spesso fatali, dagli animali. In Mauritania, che ha bandito le buste di plastica nel 2013, il 70% delle morti di pecore e bovini del paese è da imputare alla ingestione dei sacchetti.

Il bando del Ruanda, comunque, è eccezionale per un importante aspetto: viene applicato con rigore. A differenza di quello che succede in altri paesi che hanno approvato leggi simili, le agenzie ruandesi preposte al controllo della legalità e i gruppi ambientalisti hanno dato alla campagna contro i sacchetti di plastica un’alta priorità. Seguendo l’applicazione della legge, la Rwanda Environment Management Authority (Rema), un’agenzia che fa capo al ministero per le Risorse naturali, ha lanciato una campagna nazionale per far conoscere l’esistenza del divieto ed educare i bambini e gli adulti a riconoscerne l’importanza. Oggi, cartelli al Kigali International Airport e presso molte frontiere avvisano i visitatori del fatto che le buste di plastica verranno confiscate. Nei mercati di tutto il paese, è ancora possibile trovare ambulanti che vendono frutta o dolci avvolti nella plastica, o venditori abusivi di sacchetti di polietilene che li commerciano agli angoli delle strade o nei vicoli interni. Ma la maggior parte dei ruandesi rispetta la legge. 

 

Marionne Muteteri, venditrice di fagioli, per servire la sua merce utilizza buste fatte con i foglietti delle scommesse acquistati a poco prezzo nelle sale giochi locali

 

Nelle interviste, alcuni venditori del Kimironko Market hanno raccontato di visite di ispettori in incognito. Chi viene sorpreso a usare plastica non biodegradabile, hanno detto, deve pagare una multa di 50.000 franchi ruandesi (61 dollari statunitensi, 67 euro), sufficiente a convincere la maggior parte dei commercianti a osservare la legge. Il successo della messa al bando è anche parzialmente dovuto alla cultura tradizionale ruandese, che enfatizza l’obbedienza all’autorità e la pulizia. Kigali, che è ampiamente riconosciuta come una delle città più pulite dell’Africa, ha ricevuto il premio UN Habitat Scroll of Honour nel 2008 per il suo distinguersi come “moderna città modello”, anche grazie alla raccolta dei rifiuti migliorata e alla “tolleranza zero sulla plastica”. A differenza di quanto avviene negli stati confinanti con il Ruanda, dove i viaggiatori buttano regolarmente i rifiuti dai finestrini dei veicoli, qui la sporcizia è quasi inesistente.

“I ruandesi sono un popolo orgoglioso” dice Rose Mukankomeje, direttrice generale della Rema che si autodefinisce “sostenitrice” della messa al bando delle buste di plastica. “Non ci piace lo sporco. La nostra nazione non è un bidone dell’immondizia.”

 

Attività di produzione in corso all’interno di Eco Plastic Ltd, la più grande azienda manifatturiera del Ruanda. L’impianto, che dista 15 km dal centro di Kigali, produce prodotti in plastica riciclata

 

Come ci spiega Mukankomeje, il divieto relativo ai sacchetti di plastica è solo parte di una più ampia strategia nazionale per la conservazione, che punta a rafforzare la resilienza ai cambiamenti climatici, combattere la deforestazione e prevenire la continua erosione delle famose colline del paese immerse nella foschia. Sebbene ancora non sia stato fatto uno studio quantitativo per valutare l’impatto specifico della legge, secondo Mukankomeje il divieto ha contribuito a ridurre la moria di animali, l’erosione del suolo, le inondazioni. Contenendo persino la malaria, grazie alla riduzione dei terreni potenzialmente ideali per lo sviluppo di larve di zanzare. In aggiunta, sostiene, l’impegno del Ruanda nella difesa dell’ambiente ha aiutato a generare un crescente mercato per il turismo ecologico, favorito dalla presenza di alcuni degli ultimi gorilla di montagna al mondo. Lentamente, la reputazione del Ruanda in tema di ordine, pulizia e bellezza naturale sta cominciando a superare la pessima opinione che la gente si era fatta del paese, a distanza di 22 anni dal genocidio del 1994, durante il quale milioni di persone di etnia Tutsi e di Hutu moderati furono trucidati in soli 100 giorni.

Qualunque ruolo abbia avuto la messa al bando delle buste di plastica nel migliorare l’immagine del Ruanda, comunque, ciò ha avuto anche alcune conseguenze indesiderate. Il problema principale per commercianti e clienti è il costo. Michael Rozanski, un panettiere tedesco di Kigali, afferma che i sacchetti di carta cerata che usa per impacchettare il pane costano da quattro a cinque volte di più rispetto a quelli di plastica. Al Kimironko, la maggior parte della carne e del pesce, a causa della mancanza di alternative locali, viene impacchettata in buste di plastica biodegradabile importate dalla Gran Bretagna, il cui costo viene scaricato sui consumatori. In uno sforzo per essere competitivi, alcuni venditori si inventano alternative creative. Invece di alzare i prezzi, Marionne Muteteri, una venditrice di fagioli a Kimironko, serve il suo prodotto in sacchetti da un chilogrammo fatti con i foglietti delle scommesse che acquista a buon mercato dalle sale scommesse locali. Gli acquirenti, quindi, arrivano a casa con un valore aggiunto: i pronostici di partite di calcio già giocate nella Premiere League della Bielorussia, nella K-League della Corea del Sud e nella Bundesliga tedesca.

 

Un venditore conta le sue borse biodegradabili. La maggior parte dei clienti che vengono al mercato le usa per trasportare gli acquisti

 

L’aumento dei prezzi legato alla messa al bando dei sacchetti di plastica, comunque, è stato più ingente per le aziende locali. Dato che la legge viene applicata alla maggior parte degli imballaggi in plastica, le aziende che producono cibo impacchettato, bevande e prodotti per la casa sono state costrette a cambiare il sistema di distribuzione dei loro prodotti. A causa di obblighi contratti con la ratifica di vari trattati commerciali internazionali, però, il governo ruandese non può impedire l’uso delle confezioni di plastica per le merci che importa: il che mette le aziende locali in condizioni di netto svantaggio. Secondo Alex Ruzibukira, un funzionario del ministero del Commercio e dell’Industria ruandese, le autorità stanno cercando di risolvere questo problema. C’è già, ci dice, un investitore che ha iniziato la costruzione di una fabbrica locale per la produzione di plastica biodegradabile. Inoltre sta per esser avviato uno studio del governo per valutare la fattibilità di un impianto di impacchettamento integrato; entrambe le iniziative potrebbero potenzialmente ridurre i costi per i produttori. Ciononostante, molte aziende ruandesi interessate affermano che la possibilità di eccezioni alla regola avrebbe causato parecchi mal di testa in meno.

“Su questo tema abbiamo fatto azione di lobbying sul governo per molti anni”, afferma il dirigente di un’azienda locale che ha chiesto di rimanere anonimo. “Non è cambiato niente, e non crediamo che cambierà. Quindi siamo solo stati costretti ad adattarci.”

Ci sono alcuni imprenditori locali, comunque, che hanno operato per volgere a loro vantaggio la guerra alla plastica condotta dal paese. Wenceslas Habamungu, il direttore generale della Eco Plastic Ltd, è uno di questi. Nel 1999, quando molti dei viali, ora pulitissimi, di Kigali erano ancora invasi dall’immondizia, lui e suo fratello Paulin Buregea fondarono la Copet, la prima compagnia privata ruandese per la raccolta dei rifiuti. Nove anni più tardi, dopo l’entrata in vigore della legge, ebbero una fase di stallo. Nonostante le autorità avessero garantito alla loro azienda un’eccezione alla regola, che avrebbe permesso loro di continuare a usare sacchi di plastica per la raccolta dei rifiuti, in pratica ciò era impossibile visto che tutti i produttori locali di plastica o erano falliti o si erano trasferiti negli stati confinanti. Dopo un incontro con le autorità, si trovarono a dover scegliere tra l’importare sacchi seguendo regole ferree o creare un impianto di riciclaggio per produrle direttamente loro.

 

Una busta di carta contenente un chilo di fagioli utilizzata al mercato di Kimironko. Alcuni venditori riutilizzano così i foglietti per le scommesse dopo la messa al bando dei sacchetti di plastica

 

Alla fine i due fratelli hanno scelto la seconda opportunità. Dopo tutto, mentre la legge era dura riguardo la regolamentazione degli imballaggi di plastica, essa permetteva l’uso di sacchi di plastica per gli ospedali, come pure di certi tipi di coperture in fogli di plastica per agricoltura ed edilizia. Al tempo stesso, la plastica usata per impacchettare i prodotti importati, solitamente confiscata alla dogana, rappresentava una pronta fornitura di materiale da riciclare. Oggi, sei anni dopo la sua fondazione, la Eco Plastic Ltd raccoglie più di 80 tonnellate di polietilene all’anno, producendo in serie sacchi gialli per i rifiuti ospedalieri, condutture per i vivai, per l’immagazzinamento dei raccolti e quelli per raccolta dei rifiuti usati dalla Copet di Buregeya. La fabbrica, come i prodotti che realizza, rimane nascosta alla vista, situata sul fianco di una collina vicina a una strada sterrata fuori dalla capitale. Qui, appena dentro i cancelli, file di copri materassi scartati, reti antizanzare e risme di fogli da imballaggio a bolle d’aria sono appesi ad asciugare al sole del pomeriggio dopo essere stati lavati da alcuni degli oltre 50 dipendenti della Habamungu. Presto, la plastica verrà riportata nella fabbrica, miscelata ad additivi e colori e pompata attraverso una serie di macchine che la riscaldano a 180 °C e la rimodellano in vari prodotti riciclati.

È questo lo stile del Ruanda riguardo alla plastica: ordinato, rispettoso della legge e più possibile nascosto.

 

 

Tutte le immagini ©Cyril Ndegeya

Cyril Ndegeya è un fotoreporter freelance ruandese che lavora per la Associated Press. Ha aiutato Rosen a trovare i contatti per la sua storia.

Immagine in alto: L’atmosfera generale nel mercato di Kimironko, uno dei più grandi della capitale del Ruanda, Kigali