Pensate alla generazione distribuita e locale di energia elettrica. Questo è il caso di una famiglia che installa sul tetto della propria abitazione un impianto solare fotovoltaico e che quindi diventa prosumer di elettricità: produce (producer) l’energia che consuma (consumer). Portiamo ora lo stesso discorso al livello di una cantina vinicola o di un produttore di olio di oliva e consideriamo gli scarti della filiera produttiva. Se l’azienda in questione fosse in grado di riutilizzarli per generare nuovi prodotti, diventerebbe un prosumer dei suoi stessi scarti produttivi. E chiuderebbe quindi in un senso sostenibile la filiera.
È questo il modello di business su cui sta lavorando Mycoplast, start-up fondata lo scorso febbraio dopo oltre un anno di scouting di nuove tecnologie e analisi di mercato da due imprenditori italiani già attivi nell’ambito della bioeconomia, Federico Grati e Stefano Babbini. L’obiettivo di Mycoplast è sviluppare un processo produttivo di bioplastiche biodegradabili adottabile addirittura a livello di singola azienda agroalimentare, quindi su piccola e piccolissima scala. “Da qualche anno mi sto occupando di bioeconomia, in passato come start-upper con Agroils e Treedom e oggi in Mossi Ghisolfi” spiega Federico Grati “e approfondendo questo tema mi sono reso conto delle grosse potenzialità del settore. La fonte d’ispirazione è stato il testo Blue Economy. 10 anni. 100 innovazioni. 100 milioni di posti di lavoro di Gunter Pauli. Uno dei 100 casi riguarda lo sviluppo di proteine alimentari a partire dagli scarti di caffè grazie all’azione di funghi shiitake.
“Dopo varie ricerche, siamo entrati in contatto con il designer italiano Maurizio Montalti che lavora da oltre cinque anni nei Paesi Bassi con la sua realtà Officina Corpuscoli e produce materie prime per prodotti di biopackaging a basso impatto ambientale.”
Montalti fa crescere la parte radicale dei funghi, il cosiddetto micelio, su residui agricoli. Il micelio è costituito principalmente di chitina, un biopolimero naturale (come la cellulosa) che si trova anche nelle unghie umane, nelle chele dei granchi o nei gusci dei gamberetti. I veri inventori della tecnologia di crescita sono però i ricercatori del Dipartimento di Microbiologia dell’Università di Utrecht, in particolare il direttore Han Wösten, con il quale collaborano Maurizio Montalti e il team di Mycoplast. “Sono loro i nostri partner scientifici di riferimento. In Italia stiamo iniziando ad affacciarci nel panorama delle start-up, ottenendo riscontri positivi. Abbiamo anche ricevuto un riconoscimento dalla Global Social Venture Competition di Altis, da cui abbiamo avuto una menzione speciale per l’economia circolare. Siamo anche in contatto con il mondo della ricerca italiana, in particolare l’Università di Pisa e i Politecnici di Milano e Torino.”
Il confronto con la plastica convenzionale
Sono diverse le famiglie di funghi che potrebbero essere usate per lo sviluppo di questo nuovo bioprocesso, che oltre a essere completamente naturale ha il vantaggio di richiedere una quantità assai limitata di energia: la crescita dei funghi avviene a temperatura e pressione ambiente. I funghi per svilupparsi si nutrono di zuccheri complessi, come la cellulosa presente nel legno e nei residui dell’industria agroalimentare, e hanno bisogno di un ambiente umido con una temperatura fra 20 e 25 gradi centigradi. Non hanno invece bisogno di un irraggiamento solare elevato ma, anzi, prediligono il buio. Non ci sono quindi vincoli particolari su dove sarà possibile realizzare eventuali siti produttivi. Anche per tenere saldo il concetto di economia circolare, Mycoplast si sta focalizzando sui sottoprodotti e gli scarti dell’agroindustria: paglie, segatura, bucce di pomodoro, fondi di caffè ecc. Non è facile confrontare le performance delle bioplastiche che verranno realizzate da Mycoplast con le performance delle plastiche tradizionali perché la composizione a livello di polimeri è diversa. Un confronto è invece possibile nelle modalità produttive, che come si diceva in precedenza è assai meno impattante nel caso di Mycoplast. L’altro lato della medaglia è che, a differenza della plastica convenzionale, servono più spazio e tempo. Un ipotetico stabilimento produttivo di tipo commerciale dovrebbe avere una superficie da 3.000 a 5.000 metri quadrati (in questo caso non ci stiamo riferendo alla produzione di una piccola azienda dell’agroalimentare) e affinché i funghi colonizzino un singolo sacco di paglia serve almeno una settimana. “Sono due le sfide tecnologiche che abbiamo di fronte”, spiega Federico Grati. “La prima è riuscire a ingegnerizzare il processo mantenendo dei costi di produzione sostenibili. In altre parole: abbiamo dimostrato che è facile produrre della bioplastica a partire da un singolo sacco di paglia, ma adesso dobbiamo riuscire a lavorare su quantitativi commerciali. La sfida successiva è la più avvincente: oltre a realizzare del packaging verde, vorremmo sviluppare delle chitine pure (i polimeri stessi) che possano essere usate in applicazioni medicali, come la realizzazione dei fili per le suture, o nella cosmesi. Tanto per avere un ordine di grandezza, un chilo di bioplastica per il packaging costa circa un euro, mentre un chilo di nanochitine con un grado di purezza sufficiente per la cosmesi costa tipicamente intorno ai 600 euro. Si tratta quindi di prodotti con un altissimo valore aggiunto e un elevato grado di tecnologia. Ma per superare questa seconda sfida avremo bisogno dell’aiuto di un grosso player industriale, leader nel settore.”
Le linee di prodotto di Mycoplast
A oggi Mycoplast sta lavorando allo sviluppo di tre linee di prodotto.
MOGU Box. È una linea di packaging verde che andrà a sostituire il polistirolo nelle confezioni di oggettistica fragile, come lettori dvd, computer, mobili montabili ecc.
MOGU Home. È la linea dei pannelli isolanti e biomattoni. Il grosso vantaggio consiste nella resistenza al fuoco. Una volta che il fungo ha preso possesso della cellulosa, è assai difficile che si crei una fiamma perché il materiale presenta le stesse caratteristiche di un’unghia o un guscio di gamberetto.
MOGU Garden. È la linea dedicata al settore agricolo, in particolare per scatole da vivaio e l’industria dei fiori. Questo prodotto è totalmente compostabile (è stato verificato in diversi contesti e verrà certificato a breve) e quindi una volta utilizzato può essere sbriciolato in campo o gettato nell’umido.
La strategia industriale
L’azienda detiene già le licenze per utilizzare un fungo che produce bioplastica di qualità e negli scorsi mesi ha realizzato dei prototipi presentati in alcuni eventi internazionali e che hanno riscosso un notevole successo. In questi mesi Grati e Babbini stanno cercando di ampliare il laboratorio a Inarzo, in provincia di Varese, dove attualmente lavorano alcuni ricercatori e dove si porranno le basi per passare alla produzione su scala pilota. Ciò significa raggiungere una produzione di almeno 100.000 pezzi l’anno per un investimento di circa mezzo milione di euro, con una quindicina di persone impiegate a tempo pieno (vedi il box per la descrizione dei prodotti che l’azienda intende realizzare). La sperimentazione su scala pilota servirà per dimostrare che la bioplastica può essere realmente competitiva con la plastica tradizionale. Il passaggio successivo sarà la realizzazione di un primo stabilimento produttivo vero e proprio in Italia da un milione di pezzi l’anno, per un investimento compreso fra un milione e un milione e mezzo di euro e 35 persone assunte a tempo pieno. “La nostra idea è di vendere i processi produttivi, che proteggeremo tramite brevetti, a player agroindustriali che producono dei residui e, allo stesso tempo, devono realizzare del packaging. Pensiamo alle cantine vinicole o ai produttori di olio che potrebbero realizzare del packaging verde usando il loro stesso rifiuto di coltivazione. Non intendiamo quindi brevettare il biomateriale in sé: sarebbe come pensare di brevettare il pane.”
Info
Blue Economy. 10 anni. 100 innovazioni. 100 milioni di posti di lavoro di Gunter Pauli, nuova edizione, Edizioni Ambiente 2014; tinyurl.com/pth8ydv
Officina Corpuscoli, www.corpuscoli.com