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Mark ha elaborato – con il suo co-fondatore Nick Robins, oggi co-direttore dell’Unep Inquiry – l’idea del “carbonio non bruciabile” e della carbon bubble. I concetti si sono diffusi in tutto il mondo e sono comunemente usati da investitori, analisti, media e – più di recente – da regolatori finanziari tra cui Mark Carney, governatore della Banca d’Inghilterra.

Questa teoria innovativa è il risultato di un lungo viaggio che Mark ha intrapreso a partire dalla finanza sostenibile alla fine degli anni Ottanta, quando ebbe la possibilità di sviluppare alcune idee innovative per rimodulare i mercati di capitali.

Cos’è la Carbon Tracker Initiative? Chi l’ha fondata e con quali obiettivi?

“È un think tank finanziario non-profit, composto da ex analisti energetici della City, ideatori di sistemi esperti e comunicatori, che ha l’obiettivo di collegare mercati di capitali e cambiamenti climatici.

Circa dieci anni fa ci siamo accorti che nel mondo veniva finanziata più CO2 di quanta potesse esserne emessa senza rischiare pericolosi cambiamenti climatici. In altre parole, si era creata una ‘bolla del carbonio’.

Grazie ai finanziamenti per le start-up del Growald Family Fund, del Rockefeller Brothers Fund e della Tellus Mater Foundation, abbiamo avuto le risorse necessarie per approfondire questa tesi. E dopo che sono entrati nella nostra squadra James Leaton, attuale direttore delle ricerche, e Jeremy Leggett che dirige il Board, Carbon Tracker è emersa come una nuova voce che evidenzia il rischio finanziario associato ai cambiamenti climatici.”

Quando è nata l’espressione “carbon bubble?

“Nel 2011 Carbon Tracker ha pubblicato il suo primo report: Unburnable Carbon – Are the world’s financial markets carrying a carbon bubble?. Questa analisi innovativa dimostra che le riserve conosciute di combustibili fossili contengono una quantità di CO2 cinque volte superiore a quella che può essere emessa se si vuole mantenere l’aumento del riscaldamento globale antropogenico al di sotto dei 2 °C.

Questo rapporto ha suscitato una vasta attenzione, in particolare quella dell’ambientalista Bill McKibben. Bill ha scritto un articolo per Rolling Stone, che fa riferimento a questa semplice matematica, e che è uno dei testi online più letti sui cambiamenti climatici.

La nostra analisi finanziaria dimostra che la maggior parte dei combustibili fossili deve rimanere nel sottosuolo perché il settore rischia di perdere redditività a causa di una rapida transizione energetica. Rendendo gli investitori consapevoli dei rischi dell’azione climatica per i mercati finanziari, Carbon Tracker sta accelerando una rapida allocazione dei capitali verso un futuro basato sulle energie rinnovabili.”

Dopo la pubblicazione dei due rapporti “Unburnable Carbon” nel 2011 e nel 2013, le espressioni carbon budget, carbon bubble e stranded asset sono entrate nel gergo della finanza e della politica. Può chiarirci di cosa si tratta?

“Partiamo dal concetto di carbon budget. Rappresenta la quantità massima di anidride carbonica che può essere immessa in atmosfera se vogliamo avere una ragionevole possibilità di mantenere l’aumento del riscaldamento globale entro i 2 °C. Se lo si confronta con le emissioni di carbonio prodotte bruciando le riserve e i giacimenti noti, è evidente che solo un terzo di queste risorse potrà essere utilizzato: questa è la bolla del carbonio. Gli altri due terzi, dunque, devono rimanere nel sottosuolo. E questo senza poi parlare degli investimenti sprecati per cercare combustibili fossili in luoghi come l’Artico o nelle profondità oceaniche.

Per essere chiari, non abbiamo mai detto che si tratta di una bolla finanziaria. Ci sono tuttavia importanti implicazioni finanziarie. Il governatore della Banca d’Inghilterra ha affermato che se gli investitori decidessero di colpo di riesaminare la capacità del settore fossile di centrare i propri obiettivi di lungo periodo, ‘si potrebbe innescare una potenziale destabilizzazione dei mercati’. Ecco perché è importante che il pianeta intraprenda una transizione ordinata verso un futuro a basse emissioni di carbonio, così da evitare ripercussioni finanziarie e perdite di valore.

Con l’introduzione di concetti come quelli di stranded assets (‘investimenti incagliati’) e ‘carbonio incombustibile’, Carbon Tracker ha creato un nuovo lessico finanziario. Lo stesso The Wall Street Journal ha dichiarato che ‘il concetto della carbon bubble è diventato mainstream’.

L’idea della carbon bubble segnala agli investitori che rischiano di ritrovarsi con degli stranded assets, investimenti in combustibili fossili resi improduttivi da una combinazione di progressi tecnologici, norme sul clima più severe e passaggio alle rinnovabili.

Nel 2013 abbiamo scoperto che tra il 60 e l’80% delle riserve di carbone, petrolio e gas delle compagnie elencate pubblicamente non possono essere bruciate, se non vogliamo superare i 2 °C. Abbiamo poi sviluppato un modello finanziario che analizza le implicazioni per i piani di investimento dell’industria del fossile di un scenario caratterizzato da una riduzione della domanda di idrocarburi, associata a prezzi più bassi e a una diminuzione delle emissioni. Riteniamo che per prepararsi alla transizione in corso verso un futuro a basse emissioni di carbonio, i mercati di capitali debbano dare un giusto prezzo ai rischi climatici e ai ‘veri’ costi dell’investimento in combustibili fossili.”

Quali sono i rischi che devono fronteggiare investitori, decisori politici, utility e movimenti popolari? E quali raccomandazioni fornite a questi settori?

“Primo, un rischio fisico: la comunità scientifica ha dimostrato che, per evitare gli impatti più pericolosi legati ai cambiamenti climatici, dobbiamo limitare l’aumento del riscaldamento globale a 2 °C, un obiettivo ora adottato unanimemente dai governi grazie all’epocale Accordo sul clima di Parigi. Tuttavia sappiamo che se dovessimo bruciare tutte le riserve e le fonti di combustibile fossile conosciute, andremmo ben oltre questo limite, con il rischio potenziale di danni irreversibili causati da eventi meteo estremi e dall’innalzamento del livello del mare.

Tutto ciò si traduce immediatamente in un rischio finanziario: come spiegato dal chairman della compagnia assicurativa Axa, ‘un mondo più caldo di 4 °C non è assicurabile’. Egualmente importanti – ma non altrettanto ovvi – sono i rischi finanziari che Carbon Tracker ha portato all’attenzione dei mercati. Se fino ai due terzi dei combustibili fossili non possono essere bruciati, chi investe in questi progetti rischia di ritrovarsi con 2.000 miliardi di dollari di investimenti incagliati. Ecco perché è importante spostare i capitali da progetti altamente costosi e inquinanti verso una green economy sempre più redditizia.”

Dopo l’Accordo di Parigi quali sono le prospettive per la finanza del carbonio? Qual è la posta in gioco? Di che cifre stiamo parlando?

Lost in Transition e Danger Zone, due studi elaborati da Carbon Tracker, dimostrano che da qui al 2025 ci sono più di 2.000 miliardi di dollari in investimenti su petrolio, carbone e gas naturale che rischiano di incagliarsi dal punto di vista finanziario.

Passando invece alle opportunità, ‘Sense & Sensitivity’, un nostro report pubblicato di recente, ha evidenziato che le major del petrolio potrebbero valere fino a 140 miliardi di dollari in più se allineassero la loro produzione per rispettare il limite dei 2 °C.

Inoltre, in collaborazione con il Grantham Institute dell’Imperial College di Londra stiamo per lanciare un’importante ricerca, focalizzata sul potenziale destabilizzante delle tecnologie pulite. Vogliamo capire quale sarà il mix energetico del futuro tenendo conto dei costi in caduta libera del solare fotovoltaico e dei veicoli elettrici, oltre che del disaccoppiamento tra domanda di energia e crescita economica. Apple e Tesla dimostrano che possono verificarsi dei cambiamenti massicci e più rapidamente del previsto. Si tratta quindi di una ricerca particolarmente interessante per gli investitori più lungimiranti.”

Quali attori finanziari e istituzioni hanno recepito meglio le vostre proposte? Dove avete incontrato maggiori difficoltà?

“Diverse istituzioni politiche e finanziarie importanti hanno integrato l’analisi di Carbon Tracker per prendere decisioni lungo la catena degli investimenti.

Hsbc e Citigroup hanno per esempio utilizzato alcune argomentazioni di Carbon Tracker per consigliare agli investitori di valutare il crescente rischio di stranded assets nel settore dei fossili. In base alle stesse analisi, la compagnia assicurativa Axa ha di recente messo in liquidazione 500 milioni di dollari di asset dell’industria del carbone.

Il divestment movement, anch’esso ispirato al concetto della carbon bubble, si è diffuso a una velocità mai vista. Nel dicembre del 2015 oltre 500 istituzioni hanno deciso di disinvestire dai carburanti fossili per un valore complessivo di 3.400 miliardi di dollari. Questo movimento sta crescendo molto e stiamo ora aspettando che il Divest-Invest del gruppo annunci i numeri del 2016.

Di recente Mark Carney ha dichiarato che ‘tra tutte le idee per convincere il mondo a fare di più contro il riscaldamento globale, nessuna è stata così potente come il concetto degli stranded assets’.

I più attenti a queste tematiche sono i fondi di investimento istituzionali dell’Europa settentrionale. Il Norwegian Pension Fund, la compagnia di servizi finanziari Storebrand, e le svedesi AP4 e AP2 hanno per esempio intrapreso azioni assai risolute per integrare il rischio climatico e decarbonizzare i loro portafogli.

Anche due dei maggiori fondi pensionistici statunitensi – CalPERS (California Public Employees’ Retirement System) e CalSTRS (California State Teachers’ Retirement System) – si stanno schierando con noi per allineare i loro pattern di investimento con la strategia che punta a restare entro il limite dei 2 °C.”

Come hanno reagito le compagnie fossili dopo la pubblicazione di “Unburnable Carbon”?

“Di fatto Carbon Tracker sta sfidando gli assunti alla base dell’attuale settore energetico.

Dopo un’intensa attività di ricerca e coinvolgimento, alcune grandi compagnie del settore fossile – come Royal Dutch Shell ed ExxonMobil – hanno iniziato a discutere apertamente degli impatti dei cambiamenti climatici sul sistema finanziario globale.

Per tutto il 2014 l’industria dei combustibili fossili si è opposta alla nostra narrazione. Sia Exxon sia Shell hanno pubblicamente minimizzato i rischi legati alla carbon bubble, cercando di rassicurare gli investitori sul loro modello di gestione del rischio.

Abbiamo pubblicato due articoli tecnici in risposta a Exxon e Shell nei quali abbiamo chiarito le nostre posizioni, sostenendo che il loro approccio sottostimava il potenziale indebolimento della domanda di petrolio riconducibile a politiche climatiche più severe, ai progressi tecnologici e al rallentamento della crescita economica.

In questo modo abbiamo posto le basi per un futuro coinvolgimento delle aziende, un obiettivo sempre più importante nel corso del 2016.

Anticipando ulteriormente le resistenze da parte dell’industria, il nostro report ‘Energy Access: why coal is not the way out of energy poverty’ ha messo alla prova dei fatti l’idea che il carbone sia ‘essenziale per soddisfare il disperato bisogno di elettricità dell’Africa’, idea fortemente sostenuta dal gigante del carbone Peabody Energy Corp. Solo pochi mesi dopo l’industria del carbone statunitense è collassata, e anche altri mercati del carbone sembrano indirizzati su questa stessa strada.”

Perché Carbon Tracker insiste tanto sulla disclosure e sulla trasparenza?

“Nell’ultimo anno governi e organismi internazionali hanno cominciato a considerare seriamente le implicazioni finanziarie dei cambiamenti climatici e degli investimenti nei fossili. Il lavoro di ricerca normativa e le attività di coinvolgimento portati avanti da Carbon Tracker puntano a convincere i regolatori finanziari della necessità di considerare con maggiore attenzione i rischi climatici per i mercati finanziari.

Per quantificare l’esposizione delle compagnie estrattive, è essenziale effettuare degli stress-test sui loro portafogli in relazione all’obiettivo accettato dalla comunità internazionale di contenere l’aumento del riscaldamento sotto i 2 °C.

Affrontare gli attuali gap di informazione permetterà di valutare meglio come le compagnie gestiscono i rischi climatici. Gli investitori non vogliono più vedere aziende dei fossili che evitano di analizzare gli impatti che una transizione verso basse emissioni di carbonio potrebbe avere sui loro modelli di business.

Per questi motivi abbiamo accolto con grande piacere la Financial Stability Board Task Force on Climate-related Financial Disclosures presieduta da Michael Bloomberg. Si tratta di uno sforzo fondamentale per creare un set standard e coerente di informazioni climatiche da richiedere alle aziende materialmente colpite dai cambiamenti climatici, che devono anche specificare le loro proposte per la transizione energetica, gli impatti fisici che devono affrontare, oltre alle politiche e ai sistemi di regolamentazione che intendono adottare.”

Unep Inquiry, web.unep.org/inquiry

Rapporto Unburnable Carbon – Are the world’s financial markets carrying a carbon bubble?, tinyurl.com/na7xywd

Bill McKibben, “Global Warming’s Terrifying New Math”, Rolling Stone 19 luglio 2012; tinyurl.com/8yvcdvy

Report Energy Access: why coal is not the way out of energy poverty, www.carbontracker.org/report/energyaccess/

Info

www.carbontracker.org

www.socialstock exchange.com