Nella scia della più grande crisi economica moderna, che ha portato il Pil del paese dalla vetta di 252 miliardi di dollari americani nel 2008, a 212,5 miliardi nel 2013, il governo del Portogallo ha aggiornato e ribadito i suoi propositi di esplorazione del mare, per una concreta opportunità di innovazione e sviluppo. Inspirata dalla direttiva quadro sulla Strategia per l’ambiente marino (2008), che mira a proteggere il buono stato ecologico dell’ambiente marino, come base da cui dipendono molteplici attività economiche e sociali; e guidata dalle prospettive di occupazione e crescita sostenibile, descritte nella recente Strategia europea “Crescita Blu”; la Strategia marina nazionale portoghese (NOS), 2013-2020, esprime un appassionato appello e un esemplare percorso di ri-orientamento per le attività di sfruttamento delle risorse marine nazionali, verso la creazione sostenibile di prodotti ad alto valore aggiunto.
Secondo il resoconto del Capitano João Fonseca Ribeiro, Direttore Generale alle Politiche marine, il settore marittimo rappresenta, oggi, solo il 2,7-2,8% del prodotto interno lordo del Portogallo, con una prevalenza di attività tradizionali come la pesca, il decimo settore economico del paese, e la costruzione navale. La Strategia marina può essere un valido strumento per convincere vari attori, nazionali ed esteri, a investire nell’economia blu: nell’innovazione dei settori tradizionali, così come nello sviluppo di quelli emergenti. L’attesa è di quasi raddoppiare il volume delle attività dirette del settore economico marino e raggiungere il 5% del Pil, entro il 2020.
L’acquacoltura di pesci e molluschi, per esempio, è un settore molto promettente: con una domanda globale di cibo e proteine sempre in aumento, questa industria è già cresciuta del 35%, rispetto al livello di produzione del 2011; e si prevede che sosterrà una capacità produttiva di quaranta chilotonnellate/anno, in un futuro molto prossimo. Un alto potenziale di ritorno sugli investimenti è anche atteso per il settore dei trasporti e, certamente, anche per i settori più innovativi, come la biotecnologia marina, l’estrazione di minerali marini e le energie rinnovabili marine. Quando si comprendano anche le attività secondarie e indotte, l’intero settore blue economy potrebbe crescere fino a coprire un terzo della ricchezza del Portogallo.
La probabilità che queste rosee previsioni siano raggiunte è rafforzata da una recente proposta alla Commissione sui limiti della piattaforma continentale, per l’estensione della piattaforma continentale del Portogallo. Se approvata, la zona economica esclusiva (Zee) del paese salirà a circa 2,1 milioni di chilometri quadrati, con un’area marina di quaranta volte le dimensioni del paese: grande come l’intera Europa, e pari al 4% della superficie dell’oceano Atlantico. Con una scala delle operazioni così variabile, l’amministrazione della NOS si manterrà piuttosto flessibile, con la nozione che una scala più grande comporta responsabilità più ampie.
La chiave per la realizzazione di quest’ambizioso piano, analogo dell’intero programma europeo di “Crescita Blu”, è lo sviluppo di nuove conoscenze e capacità tecnologiche: elementi necessari per consentire un’adeguata capacità di sfruttamento delle risorse e, quindi, il raggiungimento del potenziale economico previsto per il settore. In questa prospettiva a lungo termine, è di fondamentale importanza che si adotti uno spirito di collaborazione nella creazione e applicazione di tale conoscenza; iniziando con programmi di cooperazione territoriale all’interno della regione marina di competenza, come a livello pan-europeo e, infine, costruendo una visione comune per quel continuum territoriale costituito dall’oceano Atlantico. Solo una dettagliata e condivisa comprensione del valore degli oceani consentirà di rispondere responsabilmente alle concrete opportunità di sviluppo derivanti dal profondo blu.