Ciò significa analizzare quale ne sia la rilevanza economica, partendo dal presupposto che esiste un nesso strettissimo che lega lo sviluppo dell’economia all’impiego razionale e sostenibile dei flussi di materia. Per poter affrontare questa ampia domanda di ricerca, occorre far riferimento ad alcuni dei cambiamenti che stanno attraversando le nostre economie.
Proviamo a elencarli per comprendere meglio l’effetto congiunto di processi che tengono assieme mutamenti di tipo economico, sociale, valoriale.
Il primo elemento da analizzare è la sempre più marcata carenza di materie prime di base e di commodities che è uno dei driver di una trasformazione radicale che si sta manifestando nel sistema economico. Un recente report di Mc Kinsey (2012) mostra come in circa un decennio vi sia stata una crescita del 147% del prezzo reale delle commodities rispetto ai valori presenti al passaggio del nuovo millennio. L’Europa soffre particolarmente questa dinamica, essendo fortemente dipendente dall’estero per la disponibilità delle materie prime. In figura 1 è rappresentata tale dipendenza per un insieme di materiali, a partire dai combustibili fossili.
Fonte (in alto): Eurostat Statistics, 2010. Fonte (in basso): Raw Materials Initiative Annex, Eu 2008. |
Emerge quindi con evidenza un secondo driver: l’attenzione crescente nei confronti di un uso più efficiente e rinnovabile delle risorse.
In questo ambito negli ultimi anni le Nazioni Unite (principalmente tramite l’Unep [2011]), l’Ocse (2011) e, sopra tutti, la Commissione europea (2014) hanno posto particolare enfasi sulla necessità di impostare una strategia di lungo periodo orientata all’uso efficiente delle risorse. Per la Commissione europea “la strategia Europa 2020 è una strategia di crescita verde che non solo ci aiuterà a creare un’economia forte sul lungo termine, ma offre anche opportunità di business concrete per uscire dalla crisi attuale e questa volta, in modo sostenibile [...] La chiave per fare in modo che questa transizione avvenga saranno le soluzioni eco-innovative che agiscono sul modo in cui le risorse fluiscono nell’economia [...] Innovazione che affronta i sistemi nel loro insieme e che guarda alle catene di valore nella loro interezza” (PotoÄnik, 2013).
A questo proposito è interessante analizzare qualche dato concernente l’Italia e l’Europa. Noi siamo uno dei paesi in cui, nell’ultimo decennio, il consumo assoluto di materia è diminuito in misura più consistente, nell’ordine del 23%, il che equivale a 220 milioni di tonnellate di materiali in meno all’anno estratti dal pianeta. Ciò significa che, grazie alla contestuale riduzione del Pil, la produttività delle risorse è cresciuta del 35%. Se vogliamo fare un’analisi di quanto avvenuto nell’ultimo quarantennio si può osservare in figura 2 come i consumi assoluti di risorse dell’Italia siano cresciuti progressivamente dagli anni ’70 fino alla fine degli anni ’90, quando hanno cominciato a ridursi, fino a tornare, nel 2011, proprio ai valori dei primi anni ’70 (Bianchi, 2014). A questi risultati, più che il sistema paese con una sua strategia consapevole, hanno contribuito i diversi attori, indotti dalla competizione e dalla scarsità relativa delle risorse a “fare meglio con meno”.
Fonte: nostra elaborazione su dati Istat ed Eurostat (cfr. Bianchi 2014). |
Questo processo di riduzione strutturale nell’uso dei materiali accomuna l’Italia ad altri paesi, come la Germania, la Gran Bretagna e l’Ungheria: in generale, nell’Europa a 15, dal 2000 al 2009 vi è stata una riduzione del 10% nell’uso dei materiali, compensata in parte (+28% con un effetto netto che si riduce al -3%) dalla crescita che ha caratterizzato i 12 paesi più recentemente entrati a far parte dell’Unione europea. Nel complesso della Ue, comunque, dal picco registrato nel 2007 di 8,3 miliardi di tonnellate di materiali (quasi 17 tonnellate pro capite) si è passati nel 2009 a 7,3 miliardi di tonnellate, come effetto della crisi e della contrazione degli investimenti in infrastrutture.
Per quanto riguarda il consumo pro capite di risorse nei diversi paesi, la figura 3 mostra come i paesi più virtuosi (Paesi Bassi, Gran Bretagna, Italia) abbiano un consumo pro capite minore dei paesi Ocse che stanno crescendo sia in Europa sia a livello globale (come i paesi dell’Europa dell’Est o la Corea) e come, in generale, l’Europa sia più efficiente degli altri paesi Ocse. Le notevoli differenze e le dinamiche nell’uso delle risorse tra i diversi paesi è un tema di grande interesse in termini prospettici.
Fonte: dati sul consumo nazionale di risorse tratti da Eurostat Database, Material Flow Accounts, Ocse; dati sulla popolazione tratti da Eurostat Database, Population e Conference Board – Total Economy Database, 2012. www.conference-oard.org/data/economydatabase/. |
A fianco dell’efficienza vi è poi un terzo processo rilevante più incentrato sulla rinnovabilità della materia: la crescita nel mercato dei prodotti della bioeconomia e soprattutto dei flussi, sempre più consistenti, provenienti dal recupero degli scarti.
La bioeconomia – intesa come la produzione di risorse biologiche rinnovabili e la trasformazione di tali risorse e dei flussi di rifiuti in prodotti a valore aggiunto, quali alimenti, mangimi, bioenergie e bioprodotti – è stata assunta dall’Unione europea come asse strategico di sviluppo. Il mercato cresce del 7% l’anno (Csse, 2011) e contiene iniziative ad alta innovazione come la raffineria verde del progetto Matrìca, recentemente presentata a Porto Torres.
Per quanto riguarda il settore del riciclo dei rifiuti (materiali) il quadro è molto articolato e richiede un’analisi in profondità delle diverse filiere, cosa che potrà essere fatta all’interno del programma editoriale di questa rivista anche attraverso la presentazione di esperienze significative.
In termini macroeconomici, per comprendere l’evoluzione del settore, si possono osservare le dinamiche dei prezzi e del commercio internazionale. Infatti, malgrado la crisi e la crescita della disponibilità nei paesi più avanzati, i prezzi delle principali materie prime seconde nell’ultimo decennio sono rimasti sostanzialmente stabili (figura 4).
Fonte: ETC/SCP sulla base di statistiche del commercio estero dell’Eurostat. Nota: I prezzi sono calcolati come medie ponderate di una serie di sub-frazioni di scarti di vetro, carta e plastica per l’esportazione all’interno e fuori della Ue. |
Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente (2012), solo in Europa le spedizioni transfrontaliere di rifiuti (in gran parte speciali e pericolosi) sono cresciute consistentemente negli ultimi dieci anni: nel 1999 si attestavano intorno ai 3 milioni di tonnellate, nel 2009 erano già a 11 milioni. Nazioni come la Francia e l’Inghilterra, per esempio, se non esportassero non riuscirebbero a sostenere gli alti livelli di raccolta di plastica e carta, perché presentano una capacità di recupero interno che oscilla tra il 50 e il 75%. È facile prevedere che nel prossimo futuro i paesi che oggi acquistano materie prime seconde cominceranno a differenziare e recuperare i propri rifiuti, diventando così autonomi nel reperire risorse “rigenerate”. Questo è uno dei motivi per cui è più che mai necessario sviluppare le filiere interne del recupero, alimentando così un’economia “circolare”, capace di accrescere la propria autosufficienza nella gestione delle risorse.
Da questo punto di vista, l’Italia ha una forte tradizione industriale nel riutilizzo delle materie prime seconde all’interno dei processi produttivi: il tessile pratese si è sviluppato ottocento anni fa sui panni usati, le cartiere della Lucchesia sono da decenni tecnologicamente attrezzate per usare la carta da macero, la nostra industria metallurgica ha sempre usato (importandoli) i rottami ecc.
Altri comparti si sono sviluppati più recentemente, come quello degli oli usati, degli pneumatici fuori uso, dei Raee, delle terre rare. Né bisogna limitarsi a considerare la componente urbana dei rifiuti, pur aiutata da un sistema di supporto al riciclo quale quello dei consorzi obbligatori. I rifiuti speciali infatti rappresentano l’80% dei rifiuti prodotti e in essi si concentra la gran parte del valore aggiunto del riciclo (pari a 7 miliardi di euro a livello europeo nel 2009). Molto si può ancora fare in questo ambito: prendiamo il caso dei Raee, in Italia dal 2008 al 2010 si è passati da 2,8 ai 4,2 kg raccolti per abitante ogni anno, una forte crescita che però ci lascia molto lontani dai Paesi scandinavi che arrivano ai 15 kg.
Un altro, e altrettanto rilevante, cambiamento è quello determinato dalla crescente complementarietà (e quindi sostituzione) del prodotto con il servizio. Il sistema economico ha ormai, e questo è il quarto fattore da considerare, una tendenza naturale verso una crescente dematerializzazione, legata alla prevalenza del terziario (prossimo all’80% degli occupati) proprio dei paesi più avanzati. A questa tendenza di servitisation negli anni più recenti si è affiancato un altro fenomeno di grande rilevanza: quello della sharing economy.
Grazie all’uso della rete sono sempre di più i prodotti industriali (automobili, fotocopiatrici, ma anche macchine per produrre) o i beni (come le case) che vengono noleggiati anziché ceduti in proprietà, con migliori possibilità di valorizzazione dei materiali impiegati e del livello di utilizzo.
È interessante notare come in questa modalità di scambio di natura collaborativa, il cui mercato nel 2013 è stato stimato in 110 miliardi di dollari, il beneficio possa essere distribuito tra i diversi attori della filiera, sia dal lato della domanda sia dell’offerta. Chi per esempio ha condiviso una casa tramite Airbnb (la società che ha avuto 2,4 milioni di clienti nel 2012) guadagna mediamente 9.300 dollari all’anno.
Vi è infine una quinta dimensione del cambiamento che è legata alla valorizzazione del territorio (e dei servizi ecosistemici) come risorsa chiave per lo sviluppo economico e per l’attività delle imprese, in particolare in settori che sono valorizzati dalla qualità del paesaggio (come il turismo) o che utilizzino materie prime di origine naturale. In questo senso l’acqua, le biomasse, la pesca, gli usi del suolo, sono alcune delle risorse ecosistemiche chiave che peraltro costituiscono anche la base della bioeconomia. Rilevanti sono, per esempio, gli effetti sul sistema agroindustriale nel momento in cui aziende come Barilla modificano radicalmente il proprio sistema di approvvigionamento di grano duro (incentivando gli agricoltori a praticare la rotazione delle colture) in quanto ciò migliora sia qualitativamente sia quantitativamente la produzione. Anche in questo ambito, come nel precedente, delle trasformazioni in corso possono beneficiare sia i soggetti lato domanda (nell’esempio la Barilla), sia quelli lato offerta (gli agricoltori).
L’insieme di queste dinamiche prefigura profonde innovazioni nel sistema economico e nuovi equilibri nell’uso delle risorse destinati a cambiare i componenti e la natura dei prodotti-servizi, le modalità di scambio, i prezzi di riferimento.
Tornando alla domanda iniziale, su quanto questo cambiamento sia già in essere e quale sia la sua rilevanza dal punto di vista economico, tutti i cinque processi di cambiamento descritti e riproposti in figura 5, stanno assumendo rilevanza, sia nelle analisi dei policy maker, sia nelle scelte strategiche degli attori economici.
D’altronde questi processi sono tra di loro interconnessi e richiedono, per esprimere pienamente la loro potenzialità innovativa, una visione strategica dell’evoluzione del sistema economico, in cui l’azione dei policy makers si deve accompagnare agli investimenti del settore privato e alla trasformazione degli stili di vita e di consumo (tema centrale che in questa sede abbiamo solamente accennato).
Per esempio l’ultimo dei processi descritto nell’analisi, quello che integra il territorio con la biodiversità e i servizi ecosistemici, trova nella rappresentazione in figura 5 una posizione ben definita in un ciclo economico globale che lega queste variabili alla sharing economy e al flusso dei materiali. Si tratta di una connessione logica apparentemente semplice, che però implica il superamento di un insieme di limiti conoscitivi e di policy necessari per far fronte, in modo integrato, ai principali trend economici che caratterizzeranno i prossimi decenni.
Una rappresentazione di questo tipo richiede, infatti, uno sforzo complesso di integrazione di fattori monetizzabili con fattori non monetizzabili, di parametri economici con processi sociali, di modalità di governance reticolari e polistrumentali: il che comporta uno shift di analisi che è lo sforzo a cui è chiamata l’economia dei prossimi decenni e al quale si cercherà di portare un contributo anche con questa rivista. Nei prossimi numeri espliciteremo meglio le argomentazioni sottostanti a questa visione dei processi di cambiamento in essere, in modo da contribuire a una maggiore capacità di interpretazione dell’economia della materia rinnovabile.
Bibliografia
Agenzia europea dell’ambiente (2012), Material resources and waste, 2012 update, Eea, Copenaghen
Bianchi D. (2014), “Introduzione”, in Ambiente Italia 2014, Edizioni Ambiente
CE (2014), COM 398 “Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions - Towards a circular economy: A zero waste programme for Europe”, EC, 2 luglio 2014
Csse (2011), Final Evaluation of the Lead Market Initiative, luglio, 2011
McKinsey (2012), Mobilizing for a Resource Revolution, McKinsey Quaterly, gennaio
Ocse (2011), Towards Green Growth: A Summary for Policy Makers, Oecd, Parigi
PotoÄnik (2013), Intervento all’European Innovation Summit, Bruxelles, 30 settembre 2013
Unep (2010), Green Economy Developing Countries Success Stories, Unep, Ginevra