“Perché usare le foreste o le miniere se possiamo ottenere l’equivalente dal raccolto annuo dei campi di canapa?”

Henry Ford – The Rotarian 1933

 

È di nuovo sulla scena questa signora di 6000 anni, più giovanile che mai, ondeggiante tra tradizione e hi-tech. A suo nome proliferano start-up e iniziative in tutto il mondo. 

Case a base di canapa e calce fabbricate da un gruppo di giovani Maori della Nuova Zelanda (Echo). Tessuti di canapa prodotti dai sette ventenni indiani fondatori della Boheco, Bombay Hemp Company India. Tavolette di cioccolato alla canapa prodotte in Siberia, sui monti Altai, da Obraz Zhizni (Stile di Vita). Gelati alla canapa in onore di Bob Marley proposti da una gelateria di Alassio su iniziativa di Canapa Liguria. Persino il rigido proibizionismo americano si sta sgretolando a distanza di quasi 80 anni dal Marijuana Tax Act, che nel 1938 la mise al bando dalle campagne americane, mandando in fumo molte speranze. Nello stesso anno della sua entrata in vigore, la rivista Popular Mechanics titolava “La nuova coltivazione da un miliardo di dollari” prospettando uno strepitoso rilancio a livello mondiale delle piantagioni di Cannabis grazie all’invenzione di una macchina che avrebbe finalmente permesso di separare le fibre dalla corteccia, senza l’enorme dispendio di lavoro umano che aveva richiesto per millenni.

Lì ci siamo fermati e da lì oggi ripartiamo, anche nelle conoscenze tecniche. Possiamo prendere come simbolo del risveglio un’auto sportiva con scocca in fibra di canapa realizzata in Florida dalla Renew Sport Car, esattamente 74 anni dopo la Hemp Body Car prodotta da Henry Ford, grande sostenitore della chemiurgia, nel centro di ricerca di Dearborn nei pressi di Detroit. 

Molte iniziative nate in questi anni avranno probabilmente vita effimera. La canapa, del resto, ha uno straordinario potere di attrazione su sognatori e apprendisti stregoni di mezzo mondo. Non solo per la presenza della sostanza psicotropa più a buon mercato e più popolare al mondo malgrado il suo termine tecnico – il delta-9 tetraidrocannabinolo o Thc – e dotata di proprietà antidolorifiche e preventive, dimostrate da una notevole mole di pubblicazioni scientifiche. 

Ma anche per la poliedricità e capacità di adattamento unica di questa pianta, che non a caso è stata coltivata a tutte le latitudini, dal subcontinente indiano alla Siberia, e che è diventata un simbolo della ricchezza di prodotti derivabili dal vivente rispetto ai prodotti derivabili dal suo antagonista storico, la petrolchimica. 

 

Un giacimento ancora inesplorato 

A oggi tra i costituenti della canapa sono state identificate oltre 480 molecole organiche. Solo i cannabinoidi, di cui il Thc è un esemplare, sono oltre 60 e in buona parte con proprietà sconosciute. Oggi in America c’è un forte interesse per le proprietà antiossidanti e antinfiammatorie di un altro cannabinoide, il cannabidiolo o Cbd, che a differenza del Thc non genera effetti psicotropi e che sembra efficace anche nella cura di alcuni tipi di tumore o di forme psicotiche. In particolare, il mercato americano guarda a vecchie varietà italiane, come la Carmagnola, che ha un ricco contenuto di Cbd. Il problema è che non si possono pretendere significative concentrazioni di Cbd nella pianta se manca del tutto il suo antagonista, il Thc. Non c’è l’uno senza l’altro. Questa interrelazione ci permette di chiarire un equivoco: non esistono due specie di canapa, una per usi industriali e una per usi ludici o terapeutici. Tutte le varietà di canapa sono geneticamente compatibili tra di loro. Quindi si possono incrociare. Esiste una sola specie e il suo nome scientifico è Cannabis sativa L. Così come non si conoscono in natura varietà di canapa senza Thc. Anche se è difficile parlare di “natura” quando tutte le varietà conosciute sono frutto millenario di incroci e selezioni indotte dall’uomo. Esistono semmai varietà a bassissimo contenuto di Thc e si stanno mettendo a punto, in Francia e anche in Italia, varietà “Thc zero”.

I cannabinoidi, che si concentrano sulle infiorescenze e sulle foglie, sono solo la componente di maggior valore per il potenziale mercato della canapa. Ma non c’è parte di questa pianta che non si presti a una molteplicità di impieghi.

Il seme ha un eccellente valore nutrizionale che ottimizza le risposte del sistema immunitario. Ha un contenuto proteico del 20-25% con una combinazione unica di tutti i 9 amminoacidi essenziali, che consentono a loro volta la sintesi di ulteriori proteine, quali le immunoglobuline. Contiene, inoltre, una frazione grassa del 30-35%, costituita in prevalenza da una miscela di acidi grassi polinsaturi in proporzione ottimale per la salute umana: acido linoleico (omega6), acido alfa-linolenico (omega3) e un 2-4% di acido gamma-linolenico, precursore delle prostaglandine. Il seme di canapa non contiene Thc.

La fibra ha consentito nei secoli di produrre tessuti robusti e traspiranti, vele resistenti alla salsedine, carte pregiate, tele. 

La parte legnosa dello stelo, il cosiddetto canapulo, è un materiale con ottime caratteristiche fisico-meccaniche e ottiche. Ha un potere di assorbimento di liquidi pari a 5 volte il suo peso, 12 volte in più della paglia e 3,5 volte del truciolare. Le sue proprietà igroscopiche, traspiranti e fonoassorbenti e la sua leggerezza ne fanno un materiale idoneo per molteplici impieghi: lettiere per cavalli e animali di affezione, materiale per bioedilizia (mescolato alla calce), pannelli rigidi per rivestimenti interni dei veicoli, mangime per ruminanti e così via. Dalle paste di canapulo l’industria cartaria otteneva carta per giornali con proprietà ottiche e fisico-meccaniche giudicate superiori, a parità di processo, a quelle del pioppo.

Anche l’apparato radicale della canapa, grazie al suo notevole sviluppo ipogeo, ha un’importanza rilevante, sia agronomica per la lavorazione spontanea del terreno, sia per la decontaminazione di terreni inquinati (phytoremediation). Una bella masseria tarantina – la Masseria Carmine dei fratelli Fornaro – i cui terreni e il cui bestiame sono stati contaminati dalla diossina dell’Ilva (ha dovuto abbattere 600 pecore), sta sperimentando dal 2014 col Cra (Centro ricerche per l’agricoltura) le potenzialità decontaminanti della canapa.

Persino le polveri che si producono separando meccanicamente fibra e canapulo possono trovare impiego, in quanto ricche di fitosteroli e di cere. I francesi, per esempio, le usano come ammendanti dei vigneti della Champagne in quanto ricche di potassio.

La sfida che si impone oggi alla filiera della canapa è di imparare a valorizzare nel modo più efficiente tutti questi prodotti. E la sfida nasce innanzitutto in campo, dalla scelta dei terreni e dai modi di coltivazione.

 

 I nuovi mercati 

Sono diverse le ragioni alla base della rinascita che la canapa sta vivendo in tutto il mondo, dal Canada all’Australia e al Sudafrica. Prima di tutto la domanda crescente, favorita dalla pressione delle normative ambientali e dei consumatori, da parte di numerosi settori manifatturieri di materiali rinnovabili a ciclo breve (derivati da piante annuali come la canapa e non da alberi), leggeri e più salubri della lana di vetro o delle fibre sintetiche. Ma anche la domanda di wellness, ossia di prodotti con elevate proprietà salutistiche e nutrizionali e di rimedi naturali adeguati per la terapia del dolore (meno dannosi degli oppiacei) e per la cura di gravi patologie congenite. Infine la ricerca di “nuove” specie (un ossimoro parlando di una coltura millenaria!) da inserire in rotazione con i cereali o altre colture da reddito, per migliorare le condizioni dei suoli e riparare ai danni delle monocolture.

A trainare il mercato della canapa, dunque, sono soprattutto quattro settori: autoveicoli, bioedilizia, alimentare-salutistico, farmacologia.

L’automotive è oggi considerato in Europa, e soprattutto in Germania, il settore più importante per l’impiego di fibre vegetali: in 10 anni il loro consumo nell’industria europea è aumentato del 60%. Predomina storicamente il lino, ma la domanda di fibre di canapa è raddoppiata. Le fibre sono impiegate per produrre “biocompositi”, materiali innovativi in cui predominano oggi le imprese olandesi. Da Hempflax (che trasforma 5.000 tonnellate annue di fibre di canapa per usi tecnici) a GreenGran, a Npsp che ha presentato all’Europarlamento nel settembre 2014 uno scooter elettrico con scocca in bioresina ottenuta da fibre di lino e canapa.

In Italia, invece, l’industria dell’auto non ha svolto finora alcun ruolo nella promozione delle fibre vegetali, a parte qualche progetto del Centro ricerche Fiat sulla ginestra in Calabria. Nel nostro paese il rilancio della canapa è trainato dalla bioedilizia. In particolare da un semplice, innovativo materiale da costruzione – la calce-canapa – una miscela di calce naturale e canapulo mineralizzato, che si può utilizzare come rivestimento o come mattone. La calce-canapa consente notevoli risparmi energetici e garantisce alti livelli di comfort, grazie alle eccellenti proprietà termiche, deumidificanti e fonoassorbenti della canapa. Una delle prime case italiane in calce-canapa è stata realizzata nel Pisano, a Cascina, da Equilibrium, una società di Bergamo che insieme a Calce-Canapa® di Bologna è la nuova protagonista di questo segmento di mercato nel nostro paese.

 

 Verso la completa riabilitazione

Dalla fine degli anni ’90 in tutta Europa e nel mondo le legislazioni proibizionistiche sulla Cannabis hanno iniziato ad attenuarsi. Persino negli Stati Uniti, con le leggi approvate da una decina di Stati per legalizzare le coltivazioni (in Colorado e Kentucky, e prossimamente in North Dakota, sono riprese coltivazioni pilota), con il Farm Bill di Obama del febbraio 2014 e con un pronunciamento della Camera Usa del maggio 2014 che impedisce finalmente alla Dea (Drug Enforcement Administration) di interferire e bloccare la coltivazioni di canapa industriale e terapeutica come ha fatto negli ultimi 80 anni.

Ma in Italia e negli Stati Uniti, per un singolare parallelo, il completamento della normativa va a rilento. Grandi produttori storici di questa coltura, dopo averla abbandonata completamente per oltre mezzo secolo, oggi i due paesi vivono il paradosso di una libera circolazione di prodotti stranieri a base di canapa (il mercato americano è invaso di prodotti alimentari e salutistici del Canada), ma di forti limiti alla produzione nazionale. 

Ancora oggi chi coltiva in Italia varietà a uso industriale riconosciute dalla Ue, per la presenza del Thc, per quanto bassa, è esposto al rischio di denunce e sequestri. L’ultimo grottesco episodio ha coinvolto un piccolo coltivatore del viterbese che nel settembre 2015 ha scontato tre settimane di carcere e la gogna dai media (“scoperta coltivazione illegale di marijuana”) in base a un test inconsistente della polizia su un singolo esemplare di pianta. Un disegno di legge sulla canapa, che ha avviato da quasi un anno il suo iter di approvazione parlamentare, dovrebbe finalmente garantire la possibilità di coltivare, trasformare e commerciare in sicurezza la canapa a usi industriali in Italia. Anche negli Usa, dove la coltivazione attualmente è consentita presso enti pubblici o scuole e università, solo a scopi di ricerca e solo in quegli Stati che hanno legalizzato la coltivazione, attendono con impazienza il varo dell’Industrial Hemp Farming Act, arenato finora nelle secche del Congresso.

 

Rinascita di Federcanapa

A dispetto della legge e dei suoi tempi, negli ultimi due anni sono esplose decine di iniziative locali e nel 2015 sono stati messi a coltura circa 2.000 ettari, secondo i dati Agea. In tutte le regioni italiane è un proliferare di sigle e nuovi gruppi. Alcune sono poco più che associazioni culturali, ma altre stanno investendo seriamente in coltivazioni e in tecnologie di raccolta e trasformazione. Due impianti di prima trasformazione degli steli di canapa sono già attivi: uno al nord a Carmagnola e uno al sud nei pressi di Taranto. E diversi altri sono in fase di realizzazione. Serie aziende sementiere stanno finalmente riproducendo il seme di antiche varietà italiche: Carmagnola, Fibranova, Eletta Campana. Ma è uno sviluppo ancora caotico, governato da scarse conoscenze e falsi miti. 

A partire dal mito che la canapa sia facile da coltivare perché rustica, perché domina le infestanti e non avrebbe bisogno di acqua e di nutrienti. Con il risultato di creare forti aspettative e cocenti delusioni. Da un ampio confronto, promosso dall’associazione Chimica Verde che ha coinvolto i principali attori di questa rinascita italiana, è maturata la decisione di dar vita il febbraio scorso a Federcanapa, federazione nazionale a tutela della canapa italiana. Il nuovo organismo aiuterà agricoltori e imprese nelle loro scelte sui metodi di lavorazione e sui mercati, dare indirizzi alla ricerca e alla politica nazionale e regionale. E soprattutto istituire un marchio a tutela di chi trasforma e vende prodotti di canapa coltivata in Italia e nel rispetto dell’ambiente.

 

 

Immagine in alto: W. Müller, Cannabis sativa L., in Medizinal Pflanzen, vol. 1, t. 13 (1887)