I fondi strutturali sono strumenti di intervento, creati e gestiti dall’Unione europea, programmati ogni sette anni affinché gli Stati membri possano intraprendere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva dove il principio dello sviluppo sostenibile dovrà ispirare in maniera trasversale tutte le azioni che verranno finanziate. Rappresentano la maggiore fonte di finanziamento per i progetti che si sviluppano a livello nazionale e regionale: impegnano, infatti, oltre il 35% del bilancio complessivo dell’Unione europea. 

In Italia, l’accordo di partenariato, adottato il 29 ottobre 2014, rappresenta il quadro di riferimento per la programmazione operativa delle risorse comunitarie dal 2014 al 2020 attraverso programmi nazionali (Pon) e regionali (Por), ed è articolato in 11 obiettivi tematici. A ogni obiettivo corrisponde un’allocazione di risorse finanziarie pertinenti uno o più dei fondi di riferimento (vedi tabella 1). 

 

 

In particolare si distinguono il Fesr – Fondo europeo di sviluppo regionale (finanzia per lo più attività produttive legate all’industria e ai servizi), il Fse – Fondo sociale europeo (persone, formazione), il Feasr – Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (agricoltura) e il Feamp – Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (zone costiere, pesca). 

Alcuni di questi obiettivi perseguono finalità direttamente ambientali (gestione delle acque e dei rifiuti, prevenzione dei rischi e adattamento ai cambiamenti climatici, recupero dei siti inquinati, produzione di energie rinnovabili e risparmio energetico, biodiversità), mentre altri finanzieranno azioni solo in parte legate all’ambiente. È il caso dei trasporti dove parte dei fondi sarà destinata alla sostenibilità (modalità ferro\\nave), o della ricerca e innovazione che prevede l’inclusione di azioni volte a processi, trasferimento di tecnologie e cooperazione nelle imprese incentrati sull’economia a basse emissioni di carbonio. O ancora dell’istruzione e della formazione, dove però esistono espliciti riferimenti ai temi ambientali e della sostenibilità. 

Un’altra opportunità da non sottovalutare per la promozione di un’economia verde è rappresentata dai consistenti investimenti inseriti nei programmi nazionali (Pon) come, per esempio, “Imprese e competitività” e “Ricerca e innovazione”. 

In questa complessa programmazione le autorità di gestione dei fondi (ogni regione ne ha identificata una per ogni fondo, come il livello nazionale ne ha una per ogni Pon) saranno chiamate anche a interfacciarsi con il nuovo codice degli appalti per il quale, come è noto, è prevista l’obbligatorietà del Green public procurement (Gpp) per le stazioni appaltanti italiane. I criteri ambientali minimi (Cam) emanati dal ministero dell’Ambiente divengono dunque un importante documento di base e riferimento per tutti gli appalti che saranno previsti dai fondi strutturali con il conseguente possibile emergere di alcune opportunità ma anche criticità. Sicuramente, qualora i fondi strutturali finanzino progetti diretti a beneficiari che siano enti pubblici il meccanismo di applicazione del nuovo codice degli appalti implica l’utilizzo dei criteri ambientali minimi per determinate categorie quantificando le soglie da raggiungere in termini di percentuale del valore complessivo della gara. Nella tabella 2 sono riportati i Cam che risulteranno maggiormente applicati analizzando le tipicità di spese ammissibili nei fondi strutturali. 

 

 

L’aspettativa è, quindi, che tutte le procedure di affidamento di opere pubbliche avviate da enti pubblici dovranno essere verdi; se non verranno applicati i criteri ambientali minimi, tali procedure, potranno essere oggetto di ricorsi. Rispetto alla situazione precedente si tratta di un enorme passo avanti in quanto prima l’applicazione era volontaria e venivano fissate solo percentuali da raggiungere a livello regionale e nazionale (50% degli appalti complessivi nel piano d’azione nazionale) verificate tramite un monitoraggio mai arrivato a regime e che non implicava alcuna sanzione per inadempienza. 

Se questo è un elemento positivo che garantirà un’applicazione maggiore dei Cam e un aumento della sostenibilità ambientale degli acquisti pubblici, sicuramente esistono ancora elementi di perplessità. 

In primo luogo è evidente che l’applicazione dei Cam può non rappresentare una vera spinta all’innovazione ambientale diciamo “radicale”. Da un lato, infatti, i contenuti degli stessi criteri ambientali, non a caso definiti anche “minimi”, seppure incentivano prodotti e servizi a basso impatto ambientale non vanno oltre la soglia dell’innovazione che abbia già trovato un ampio riscontro sul mercato (anche in virtù del principio di non discriminazione). Dall’altro è emersa l’esigenza di rinnovare alcuni criteri emanati diverso tempo fa basati sul vecchio codice degli appalti e sulla normativa antecedente al collegato ambientale. 

Altro elemento di criticità è la mancanza di strumenti operativi di valutazione dei costi dell’intero ciclo di vita di un prodotto Life cycle costing, introdotta nel nuovo codice degli appalti. Il Life cycle costing è, infatti, di difficile realizzazione poiché non esiste ancora, nemmeno a livello europeo, una metodologia di calcolo chiara e realisticamente applicabile alle diverse categorie merceologiche come è risultato da esempi di applicazioni concrete per esempio ai Cam sui trasporti. Questa carenza implica una evidente difficoltà a definire un trade-off corretto fra costo economico e costo ambientale.

In secondo luogo è utile non sottovalutare quanto già emerso a livello generale, ovvero il drastico taglio dei flussi di spesa della pubblica amministrazione che non incentiva gli enti pubblici, e in generale le stazioni appaltanti, a investire in un Green public procurement “spinto” che potrebbe comportare dei costi aggiuntivi. Infatti, seppure le spese sostenute siano escluse dal Patto di stabilità nel caso di utilizzo di fondi europei, si teme che gli enti beneficiari li utilizzino per coprire spese che con le entrate ordinarie non riuscirebbero a soddisfare. 

Questi elementi portano a dire che se vogliamo che in Italia l’applicazione del Gpp sia traino di innovazione e per il raggiungimento di rilevanti risultati ambientali, nei fondi strutturali si dovrà operare rapidamente per fornire alle stazioni appaltanti (e alle autorità di gestione) informazioni e strumenti rivisti e più semplici. 

In ultimo, è bene sottolineare un elemento dei fondi strutturali in sinergia positiva con il Gpp: ovvero la possibilità di finanziare gli appalti pre-commerciali. Il Pre commercial procurement (Pcp) è un appalto di soli servizi di ricerca e sviluppo al fine di acquistare il prodotto o il servizio non presente ancora sul mercato, mediante una serie di modelli di aggiudicazione di appalti. Il Pcp prevede la condivisione di rischi e benefici tra il committente pubblico e le imprese, il co-finanziamento da parte delle imprese partecipanti, la sperimentazione su un volume limitato di nuovi prodotti e servizi. I Pcp attengono dunque a quegli appalti “concernenti servizi di ricerca e sviluppo diversi da quelli i cui risultati appartengono esclusivamente alla stazione appaltante perché li usi nell’esercizio della sua attività, a condizione che la prestazione del servizio sia interamente retribuita da tale amministrazione” e potrebbero entrare in utile sinergia con quanto i fondi strutturali finanzieranno sugli obiettivi 1 e 3 (ricerca e competitività). 

 

 

Accordo di partenariato 2014-2020, www.agenziacoesione.gov.it/it/AccordoPartenariato/

Questo articolo è stato realizzato grazie al sostegno di Viscolube