Manifesto della Green Economy per l’agroalimentare in occasione di Expo 2015

“Diffondere eco innovazione e buone pratiche”

Promosso da 

  • Consiglio Nazionale della Green Economy 

Documento disponibile online 

tinyurl.com/oprggmv

La green economy punta sul risparmio, sull’uso efficiente e razionale delle risorse, secondo un modello di economia circolare. Questo modello è valido anche per le produzioni rinnovabili, come quelle agroalimentari, che non sono disponibili in quantità illimitate né senza oneri ambientali ed economici. Pur tenendo conto dei notevoli progressi compiuti dalla produttività e dalle produzioni agricole, in un mondo come il nostro – popolato da miliardi di persone che continuano ad aumentare e con consumi alimentari in continua crescita – visti anche i fattori di pressione e i rischi ai quali è esposta l’agricoltura, sarebbe irresponsabile non fermare lo spreco di alimenti e di risorse agricole. Paradossalmente, mentre una parte della popolazione mondiale continua a soffrire la fame o a essere denutrita, un’altra parte rilevante della popolazione mondiale è colpita dall’obesità e butta una quantità elevata di alimenti nei rifiuti. Per contrastare gli sprechi serve una corretta informazione e una migliore educazione alimentare; sono necessari stili di vita e consumi alimentari più consapevoli e sobri. È, inoltre, necessario applicare alle filiere agroalimentari un sistema di economia circolare, puntando a minimizzare i rifiuti, a prevenire attivamente scarti e perdite in tutte le fasi: della produzione e della trasformazione, dell’imballaggio e della conservazione, del trasporto e della distribuzione fino al consumo. Occorre, in particolare, diffondere le buone pratiche e le migliori tecniche disponibili per utilizzare, in modo corretto e sostenibile, tutti i sottoprodotti derivati dalle produzioni agroalimentari e per riciclare e recuperare tutti i rifiuti rimanenti.

[…]

I fattori di pressione sul territorio sono aggravati da modelli agroindustriali, ancora diffusi nel mondo, che inseguono logiche di un mercato a breve termine e a basso costo, che perseguono produzioni a bassa qualità, che fanno largo uso di sostanze nocive, che sfruttano in modo insostenibile terreni e acque e sono incapaci di riconoscere il giusto valore del capitale naturale e dei servizi ecosistemici. Questi modelli, già ampiamente messi in discussione nel mondo agricolo, possono essere definitivamente superati promuovendo una green economy agroalimentare basata su produzioni sostenibili di qualità – veri e propri motori di sviluppo delle economie e delle culture locali – nonché valorizzando, anche con una adeguata comunicazione, i loro effetti positivi ambientali, per l’occupazione e un miglior benessere. Occorre puntare su territori ben coltivati con buone pratiche agricole – senza l’impiego in campo aperto di organismi geneticamente modificati (ogm) – supportate da buoni livelli di formazione e di conoscenza e da un maggiore contributo della ricerca e della ecoinnovazione: quelle biologiche, quelle delle filiere ecosostenibili di qualità, quelle che valorizzano la biodiversità, recuperano e mantengono varietà – vegetali e animali – tipicità locali, patrimoni di paesaggi e di culture rurali.

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Carta di Milano

“Gestire le risorse in modo equo”

Promossa da 

  • Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali
  • Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
  • Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
  • Ministero della Salute
  • Onu – Organizzazione delle Nazioni Unite
  • Fao – Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura
  • Presidente Steering Committee dei Commissari dei Paesi Partecipanti a Expo Milano 2015
  • Padiglione Italia
  • Laboratorio Expo- Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
  • We – Women for Expo
  • Feeding Knowledge
  • Osservatorio sullo spreco alimentare – Università di Bologna
  • Fondazione Triulza
  • Barilla Center for Food and Nutrition
  • Comitato Scientifico delle Università per EXPO 2015 – Comune di Milano

Documento disponibile online 

tinyurl.com/pxf53hx

 

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Noi crediamo che: 

tutti abbiano il diritto di accedere a una quantità sufficiente di cibo sicuro, sano e nutriente, che soddisfi le necessità alimentari personali lungo tutto l’arco della v ita e permetta una vita attiva; 

il cibo abbia un forte valore sociale e culturale, e non debba mai essere usato come strumento di pressione politica ed economica; 

le risorse del pianeta vadano gestite in modo equo, razionale ed efficiente affinché non siano sfruttate in modo eccessivo e non avvantaggino alcuni a svantaggio di altri; 

l’accesso a fonti di energia pulita sia un diritto di tutti, delle generazioni presenti e future; 

gli investimenti nelle risorse naturali, a partire dal suolo, debbano essere regolati, per garantire e preservare alle popolazioni locali l’accesso a tali risorse e a un loro uso sostenibile; 

una corretta gestione delle risorse idriche, ovvero una gestione che tenga conto del rapporto tra acqua, cibo ed energia, sia fondamentale per garantire il diritto al cibo a tutti;

l’attività agricola sia fondamentale non solo per la produzione di beni alimentari ma anche per il suo contributo a disegnare il paesaggio, proteggere l’ambiente e il territorio e conservare la biodiversità.

Noi riteniamo inaccettabile che: 

ci siano ingiustificabili diseguaglianze nelle possibilità, nelle capacità e nelle opportunità tra individui e popoli; 

non sia ancora universalmente riconosciuto il ruolo fondamentale delle donne, in particolare nella produzione agricola e nella nutrizione; 

circa 800 milioni di persone soffrano di fame cronica, più di due miliardi di persone siano malnutrite o comunque soffrano di carenze di vitamine e minerali; quasi due miliardi di persone siano in sovrappeso o soffrano di obesità; 160 milioni di bambini soffrano di malnutrizione e crescita ritardata; 

ogni anno 1,3 miliardi di tonnellate di cibo prodotto per il consumo umano siano sprecati o si perdano nella filiera alimentare;

più di 5 milioni di ettari di foresta scompaiano ogni anno con un grave danno alla biodiversità, alle popolazioni locali e sul clima; 

le risorse del mare siano sfruttate in modo eccessivo: più del 30% del pescato soggetto al commercio è sfruttato oltre la sua capacità di rigenerazione; 

le risorse naturali, inclusa la terra, possano essere utilizzate in contrasto con i fabbisogni e le aspettative delle popolazioni locali;

sussista ancora la povertà energetica, ossia l’accesso mancato o limitato a servizi energetici e strumenti di cottura efficienti, non troppo costosi, non inquinanti e non dannosi per la salute.


La Carta di Bologna contro gli sprechi alimentari

“Introdurre target misurabili”

Promossa da 

  • Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
  • Dipartimento di Scienza e tecnologie agroalimentari dell’Università di Bologna
  • Segreteria tecnico-scientifica del Piano nazionale di prevenzione degli sprechi alimentari

Documento disponibile online 

tinyurl.com/ommupjj

 

[…]

Considerato che:

approssimativamente un terzo di tutto il cibo prodotto per il consumo umano a livello globale, pari a circa 1,3 miliardi di tonnellate all’anno, viene perso o sprecato lungo la filiera;

al contempo, più di 800 milioni di persone nel mondo sono ancora cronicamente denutriti e circa un miliardo di persone non ha adeguato accesso all’acqua potabile; 

[…]

secondo le stime della Fao, i costi ambientali associati alle perdite e agli sprechi alimentari su scala globale corrispondono, ogni anno, a circa 250.000 miliardi di litri d’acqua, 1,4 miliardi di ettari di terra e sono responsabili per l’emissione in atmosfera di circa 3,3 miliardi di tonnellate di CO2eq;

il costo economico dello spreco alimentare è imponente ed equivale a circa 1.000 miliardi di dollari/anno. Se si considerano i costi “nascosti”, tuttavia, il valore stimato è di gran lunga superiore;

si prevede che la domanda di prodotti alimentari aumenterà del 60% nei prossimi 40 anni, trainata dall’aumento della popolazione mondiale, che si stima raggiungerà i 9 miliardi di persone nel 2050, e dalla progressiva modifica delle abitudini alimentari verso diete a maggior consumo di carne e prodotti di derivazione animale. Si prevede, inoltre, un’ulteriore pressione sui sistemi agricoli (incluse silvicoltura e pesca) dovuto al progressivo incremento della domanda globale di legname, bio-carburanti, biocombustibili e di prodotti per l’alimentazione animale;

al contempo, le risorse essenziali per la produzione agricola sono minacciate dal progressivo peggioramento della qualità dell’ambiente, dai cambiamenti climatici, dalla perdita di biodiversità e dei relativi servizi ecosistemici e, in certe aree, dall’urbanizzazione e dall’industrializzazione.

Preso atto che:

sprechi e perdite alimentari sono responsabili, se pur indirettamente, dell’aumento della competizione internazionale per l’accesso ad acqua, energia, suolo agricolo e cibo, portando di conseguenza a un aumento delle tensioni e dei conflitti per l’accesso alle risorse naturali;

alla luce delle previsioni di crescita della popolazione mondiale, il contrasto agli sprechi alimentari ha un ruolo cruciale sia per la riduzione dell’impronta ambientale della produzione agricola, sia nell’assicurare un’adeguata disponibilità di cibo per tutti garantendo, al contempo, il rispetto dei limiti ecosistemici;

la riduzione degli sprechi e delle perdite alimentari è una sfida globale. È necessario un coordinamento internazionale al fine di unire gli sforzi e affrontare il problema attraverso l’adozione di adeguate misure.

Noi, i Governi, ci impegniamo a:

1) includere il problema degli sprechi e delle perdite alimentari all’interno dell’agenda internazionale in materia di protezione dell’ambiente e sostenibilità;

2) adottare una definizione chiara, comune e ufficiale di “sprechi e perdite alimentari” e una metrica comune per la loro qualificazione e quantificazione, con riferimento ai risultati prodotti dai principali progetti europei e internazionali condotti sul tema;

3) avviare un processo partecipato allo scopo di identificare le principali cause degli sprechi e delle perdite alimentari lungo la filiera, le possibili soluzioni e i possibili ambiti di intervento. Tale processo richiede l’identificazione degli attori direttamente coinvolti nell’attuazione delle misure (sia a livello individuale che collettivo) e la valutazione dei costi e dei potenziali benefici ad esse associati. Tale processo richiede inoltre l’identificazione delle principali problematiche, inclusi i vincoli sistemici, e delle modalità/strumenti per la loro risoluzione (infrastrutture, tecnologie, cambiamenti organizzativi nelle filiere/sistemi alimentari, capacity building, politiche e cambiamenti istituzionali);

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6) introdurre target misurabili di riduzione degli sprechi e delle perdite alimentari lungo i diversi anelli della filiera.

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Terra Viva

“L’agricoltura biologica può salvare il clima”

Promosso da 

  • Navdanya International

Documento disponibile online 

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La nuova agricoltura di cui il mondo ha bisogno, integra diversi elementi dell’agricoltura contadina e delle pratiche colturali arcaiche, con la più recente conoscenza prodotta dalle scienze ecologiche. L’agroecologia e l’agricoltura rigenerativa stanno oggi emergendo in tutto il mondo come alternative all’agricoltura industriale. Esse differiscono radicalmente dal modello agroindustriale dominante, basato su combustibili fossili e sostanze chimiche, che è di tipo estrattivo in due sensi: perché si basa sul petrolio e perché deruba dal suolo la sua fertilità.

La nuova agricoltura è fortemente radicata in suoli sani e vivi. La fertilità del suolo è oggetto di cure attente, e fornisce un considerevole contributo alla riduzione della dipendenza dai combustibili fossili. È inoltre un’agricoltura ecologicamente intensiva e produttiva. L’intensità della produzione non si costruisce sulla base di un elevato uso di input esterni ma è invece radicata nella diversità, nelle molteplicità delle colture, nella rotazione, nella pacciamatura e in cicli agronomici ben coordinati che combinano suoli, colture e animali in un complesso equilibrio.

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La nuova agricoltura è fondamentalmente autosufficiente. Le risorse principali richieste per la produzione sono prodotte e riprodotte all’interno della famiglia agricola stessa o nell’ambito della comunità rurale. Questo vale soprattutto per l’energia. Anziché importare energia dalla rete, la nuova agricoltura produce energia. E contribuisce anche a raffreddare il pianeta. Anziché contribuire all’emissione di gas serra (come detto il 25% di tutti i gas serra del globo provengono dall’agricoltura industriale), contribuisce a sequestrare il carbonio. Arricchire i suoli e rafforzare la biologia del suolo aiuta a fissare l’anidride carbonica e contemporaneamente riduce la necessità di fertilizzanti chimici. 

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Ricerche realizzate in tutto il mondo hanno dimostrato che le coltivazioni biologiche accrescono il contenuto di carbonio nel suolo, rendendolo il più grande bacino di smaltimento del carbonio e il più grande serbatoio d’acqua. Con la capacità di assorbire in media 2 tonnellate di anidride carbonica per ettaro ogni anno, l’agricoltura biologica possiede il potenziale per sequestrare 10 giga tonnellate di anidride carbonica, il che equivale alla quantità che è necessario rimuovere dall’atmosfera per tenere il carbonio al di sotto di 350 parti per milione, e l’aumento della temperatura media entro i 2 gradi centigradi. 

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Al livello globale la nuova agricoltura, basata sull’intensificazione del riciclaggio locale delle sostanze nutritive attraverso l’integrazione fra colture e allevamenti, mette fine ad alcuni dei principali squilibri che caratterizzano attualmente l’agricoltura mondiale. Un esempio in tal senso è l’estesa estrazione di sostanze nutritive dal suolo necessaria alla produzione di soia in Argentina o nel Cerrado in Brasile, che viene poi esportata in Europa come mangime per allevamenti intensivi che determinano una sovrapproduzione di stallatico, il quale finisce per inquinare terra, acqua e aria.

Un altro imponente squilibrio consiste nell’uso di fertili terreni coltivabili per la produzione di cereali per mangimi animali (rinchiusi in enormi aree di ingrasso), mentre allo stesso tempo ampie zone a pascolo in collina e in montagna rimangono inutilizzate. Inoltre, il 70% dei poveri di questo mondo è costituito da popolazioni rurali che, in un modo o nell’altro, sono legate alle attività agricole. In netto contrasto con questa massiccia povertà rurale stanno le enormi ricchezze finanziarie accumulate nei grandi imperi alimentari. Infine, un ulteriore squilibrio sta nella distribuzione decisamente diseguale della produzione di cibo fra paesi e regioni diverse. […]