Questo articolo è disponibile anche in inglese / This article is also available in English
Gran parte di ciò che si legge sui media sul digitale riguarda l’intelligenza artificiale, il rapporto uomo-macchina, l’etica degli algoritmi... discussioni spesso interessanti, quasi sempre accademiche, talvolta distraenti. Il punto di vista dell’Associazione Sloweb – che promuove dal 2019 l’evento annuale Digital Ethics Forum (DEF) – è diverso, perché la nostra missione è di “promuovere l’uso responsabile degli strumenti informatici, del web e delle applicazioni internet attraverso attività di informazione, educazione e lotta agli usi impropri da parte di organizzazioni di ogni natura”. Quindi, una postura di entusiasmo critico: lucidi, non fanatici, né infedeli.
Non ci interessa quindi tanto discutere del “se l’intelligenza artificiale prevarrà su quella umana”, ma piuttosto difendere e sviluppare − impedendo anzi che regredisca, causa mal uso del digitale − quella umana, perché la transizione ecologica e quella digitale progrediscano, ma quella digitale sia anche ecologica, sostenibile e umana. Se così non fosse, i cattivi valori promossi con il mal uso del digitale comprometterebbero la transizione ecologica stessa.
Non è nulla di nuovo ma è molto veloce, anche per la forza del vento liberista che da decenni soffia sul mondo intero, Cina compresa. Come per ogni altra tecnologia − l’automobile, la TV o l’energia nucleare – la prima fase delle tecnologie digitali portate a livello commerciale vede l’adesione acritica di grandi masse, poi l’apparire di primi incidenti, poi la presa di coscienza di pochi, seguita dall’azione critica di pionieri, talvolta affiancata da nuove norme e regole che nascono prima dalle aziende più grandi ed esposte e progressivamente riportano il bilancio tra offerta di nuovi servizi e domanda di servizi “buoni” in maggiore equilibrio.
A briglie sciolte, senza la presa di coscienza collettiva, l’industria non si ferma, e cerca di portare in fretta al mercato prodotti malfatti o pericolosi, prototipi appena sbozzati in officina, che nessuno ha testato e tantomeno approvato. Ad esempio, nessuno ha verificato l’impatto di TikTok e delle sue promesse di iper-performance sugli adolescenti prima di permetterne l’uso. In passato la coscienza collettiva – affiancata alla ricerca scientifica indipendente – ha portato a una nuova etica, e poi a norme di tutela della salute pubblica e dell’ambiente, a processi di partecipazione pubblica che oggi diamo per scontati quando si tratta di una struttura energetica o una infrastruttura di trasporto, ma che mancano – e se proposti vengono visti come blasfemi – in campo digitale. Eppure il digitale è infrastruttura strategica ed essenziale.
Tutto ormai richiede l’uso di uno smartphone, ma quello strumento è fabbricato da monopoli privati, secondo criteri a loro funzionali. Il risultato è una pompa di dati che ci lascia esausti a fine giornata. Come siamo arrivati ad accettare tutto questo, a lasciar passare l’idea per cui il digitale è ecologico di per sé, e progressivo? Chi sta leggendo ora ha ben coscienza di ciò che si può e deve fare per una buona transizione energetica ed ecologica. Facciamo allora insieme alcuni esempi concreti su come trasporre quell’esperienza per far sì che la transizione digitale sia anche ecologica, riprendendo dalle attività di cui parliamo al DEF e pratichiamo con l’Associazione.
Il biglietto da visita di plastica
Nessuno oggi oserebbe portare con sé dei biglietti da visita in plastica, eppure i siti web delle nostre aziende ne sono l’equivalente, perché consumano risorse – energia e tempo – senza alcun pensiero per la loro massima riduzione. Ancora oggi più i siti web sono nuovi più consumano, come succedeva con le automobili settant’anni fa. Stanno venendo pubblicate invece le linee guida del World Wide Web Consortium (W3C) per costruire siti e servizi web sostenibili, per un digitale “biologico” (ne parleremo al prossimo DEF).
Coinvolgere gli stakeholder importanti
Nessuna strada oggi sarebbe stata progettata senza valutare a fondo l'impatto ambientale. Lo stakeholder Terra è muto, ma va fatto parlare... Eppure, quale sviluppatore web, quale fabbricante di chip sono guidati oggi in primo luogo dal consumare meno energia e materie prime al posto del profitto di breve termine? L’idea oscena del “reso gratis” dell’e-commerce è lì davanti a noi, ma offende la Terra.
La raccolta differenziata
Di nuovo, nessuno di noi oggi stiperebbe in casa migliaia di bottiglie di vetro vuote e polverose, né tantomeno le butterebbe con gli avanzi del pasto. Eppure facciamo questo con le fotografie e i video sui nostri smartphone, quando inviamo un allegato a una mail con dieci destinatari. Non siamo abituati, ci comportiamo con i dati come se non fossero materia prima preziosa, e costosa. Da anni in Sloweb proviamo a praticare e educarci all’uso ecologico dei dati digitali. C’è molto da guadagnare: tempo, attenzione, energia e denaro. Se produciamo molti dati, richiediamo molti data centre, consumiamo suolo, acqua, aria, materie prime per rumorosi e fragili edifici stipati di nulla di valore. Discariche, a tutti gli effetti.
Consumismo o sobrietà
Nel campo del consumo di cibo o della mobilità e in altri campi, abbiamo assunto comportamenti più sobri di una volta, con benefici effetti anche sul risparmio. L’area del digitale invece sembra immune, forse anzi viene vista nell’immaginario collettivo come l’area in cui finalmente poter peccare senza conseguenze: è tutto etereo, è tutto gratuito, che male farà? Non ripetiamo quanto già detto, e segnaliamo che anche in digitale non circondarsi di rifiuti significa essere più in controllo della propria vita e del destino e, infine, lasciare ai posteri ciò che conta e può essere gestito, non 3 terabyte di roba che nessuno avrà mai il tempo di guardare. Non i propri rifiuti, ma i propri valori selezionati e ordinati. Molte aziende e associazioni operano in questo campo, spesso isolate. Sloweb insieme al Movimento consumatori li sta censendo e raggruppando, con l’Osservatorio del consumo digitale responsabile.
Nuove norme per una società più giusta
Da molti secoli la collettività controlla tramite la pubblica amministrazione le risorse essenziali, l’acqua, il grano e le infrastrutture strategiche, così che i funghi del mercato sono stati visti all’alba dall’ufficio di igiene. Così non è capitato per Sam Altman o Mark Zuckerberg, che hanno potuto imbandire le nostre tavole con cibo molto indigesto. Gli indispensabili servizi e prodotti digitali oggi dovrebbero essere sottoposti a valutazione preventiva, come ogni infrastruttura, ogni prodotto industriale. Ci riferiamo a un concetto già espresso in alcune delle norme UE (GDPR, AI Act), ma che non è ancora stato accolto da un regolamento per una vera e propria procedura di “valutazione di impatto digitale”, che aiuterebbe i servizi migliori a emergere contro i peggiori. A nostro avviso non si tratta di dare il liberi tutti auspicato da Draghi, piuttosto si tratta di riprendere la giusta rotta.
Creare un’industria digitale sostenibile, spezzare i monopoli
A proposito di rotta, al DEF abbiamo già discusso della necessità che la mano pubblica intervenga in Europa a sostenere un’industria digitale sostenibile che sfidi i monopoli cinesi e americani, come fece il Consorzio Airbus che dopo qualche decennio ha sopravanzato di gran passo la Boeing, avendo assunto una prospettiva più lungimirante, “durable”, cioè sostenibile. È stato fatto nell’industria al tempo di massimo livello tecnologico: se si vuole, anche nel digitale si può farlo oggi.
Immagine: Envato