Con un costo complessivo stimato intorno a 135 miliardi di dollari, per l’industria delle assicurazioni il 2017 ha rappresentato l’anno più nero della sua storia, a causa soprattutto del risarcimento dei danni provocati dagli uragani Harvey, Irma e Maria, dal terremoto in Messico e dalle inondazioni seguite alle eccezionali piogge monsoniche che hanno colpito il sudest dell’Asia. Se si considerano anche i danni non assicurati, quindi non risarciti, il già pesante bilancio – stilato dalla Munich Re, la compagnia tedesca leader mondiale nel settore delle riassicurazioni – si aggrava di oltre il doppio per arrivare a 330 miliardi di dollari. “Gli eventi disastrosi del 2017 non sono che l’antipasto di ciò che ci aspetta in futuro – è il commento di Torsten Jeworrek, responsabile del settore mondiale riassicurazioni di Munich Re. “Perché anche se non tutti i singoli eventi sono riconducibili ai cambiamenti climatici, i nostri esperti ci dicono che la loro frequenza è destinata ad aumentare.” 

Di analogo tenore il rapporto presentato da Moody’s a novembre 2017, con il quale la società di rating ha messo in guardia gli Stati federali e le amministrazioni municipali Usa dall’impatto economico dei crescenti effetti dei cambiamenti climatici, in particolare l’aumento delle temperature e l’innalzamento del livello degli oceani, precisando che per i soggetti che non attueranno adeguate strategie di mitigazione e di adattamento il rischio climatico è destinato a pesare sempre di più come fattore di credito negativo.

 

Indira Paryavaran Bhawan, Ministry of Environment and Forests, Delhi India. ©Government of India, Ministry of Urban Development, Central Public Works Department

 

A livello mondiale al cosiddetto ambiente edificato viene attribuito oltre un terzo del consumo di energia e circa il 33% delle emissioni climalteranti. L’impatto che questo settore ha per i cambiamenti climatici e i rischi, viceversa, a cui è esposto, mettono oggi più che mai l’edilizia sostenibile al centro delle strategie sia di riduzione delle emissioni di gas serra (mitigazione), sia di riduzione dei danni (adattamento), in un approccio olistico al concetto di future proof building (edilizia a prova di futuro) che associa la qualità energetico-ambientale degli edifici anche al benessere di chi ci abita o lavora, alla resilienza del territorio e alla salvaguardia nel tempo del valore delle costruzioni. Finendo per assegnare all’edilizia sostenibile il ruolo di potente driver dell’economia circolare al fine di ridurre la produzione dei rifiuti da demolizione, il consumo di suolo vergine e di risorse, e di promuovere rigenerazione dei terreni, recupero, riciclo e riuso dei materiali. 

Come sintetizza a Renewable Matter Felix Jansen di DGNB (Deutsche Gesellschaft für Nachhaltiges Bauen – Consiglio tedesco per l’edilizia sostenibile), “garantire l’integrità fisica delle persone con edifici in grado di reggere agli avversi eventi naturali per il future proof building è un requisito necessario ma non sufficiente. Occorre tenere conto anche della qualità indoor degli ambienti, quindi dei materiali impiegati, che devono essere privi di effetti tossici per la salute”. Inoltre, nel rispetto delle finalità dell’economia circolare, “fin dalla progettazione va prevista la possibilità sia di un diverso uso futuro della costruzione quando avrà esaurito la funzione per cui è stata realizzata, sia del recupero integrale dei materiali”, precisa. 

Per testare e applicare all’edilizia sostenibile i principi dell’economia circolare, l’Ukgbc (Green Building Council, Consiglio per l’edilizia verde del Regno Unito) ha lanciato il progetto “Circular Economy: Partnership opportunity 2018-2020” che ambisce a definire flussi ottimali di materiali e modelli di business per costruzioni davvero rigenerative e circolari. Tre le fasi di svolgimento previste: la prima è dedicata alla sensibilizzazione dei player del settore e all’esame di study-case; la seconda, finalizzata alla massimizzazione del potenziale dei materiali nell’intero ciclo di vita di una costruzione, si svolgerà in un cantiere presso industrie che producono materiali edili e siti di gestione dei rifiuti; nella terza si comunicherà all’industria e al governo quanto appreso nel corso del progetto per stimolare la definizione di nuove strategie e nuovi standard industriali. 

Nell’orbita dell’economia circolare si muove anche il progetto Bamb (Building As Material Banks – Edifici come banche di materiali), co-finanziato dall’Unione europea con quasi 9 milioni di euro nell’ambito del programma Horizon 2020 (vedi box). 

 

Case come banche di materiali 

Per invertire la spirale della produzione di macerie a seguito di lavori di ristrutturazione e di demolizioni, dal 2015 è in campo Bamb, acronimo di Buildings As Material Banks (Edifici come banche di materiali), un progetto co-finanziato dall’Unione europea con quasi 9 milioni di euro nell’ambito del programma Horizon 2020.

“L’approccio olistico a diversi fattori, quali salubrità dei materiali, progettazione reversibile, sviluppo di nuovi business model a supporto della sostenibilità economica, rappresenta uno degli aspetti più innovativi di Bamb”, spiega a Materia Rinnovabile Molly Steinlage, project manager del progetto. 

Uno degli strumenti a cui stanno lavorando i 15 partner con sede in sette paesi europei è il material passaport, la carta di identità di 300 diversi materiali e componenti, che sarà messa a disposizione di imprese, consumatori e professionisti su una piattaforma userfriendly. Le informazioni riguardano le caratteristiche dei materiali in termini di durata, recuperabilità e reimpiego, sostenibilità ambientale e salubrità. “Rispetto ad altre banche-dati – puntualizza Steinlage – lo “one-stop-shop” (lo sportello unico) di Bamb risponde a uno specifico indirizzo di circolarità e sostiene l’altro obiettivo-chiave del progetto: lo sviluppo delle linee-guida del reversible building design”, la progettazione reversibile. “Il reversible design permette di modificare la funzione iniziale delle costruzioni arrivate a fine ciclo di vita e di recuperarne, senza danneggiarli, i materiali consentendone il reimpiego in altri contesti costruttivi”, premette l’architetta Elma Durmisevic dell’Università di Twente (Paesi Bassi), che coordina questa sezione del progetto. “Così si supera la prospettiva monofunzionale, statica, di un edificio, per sostituirla con un approccio dinamico, flessibile, che tiene conto del possibile cambiamento della destinazione d’uso in relazione al mutare delle esigenze di chi vi abita o lavora. Mentre con la progettazione convenzionale c’è un’unica destinazione finale possibile: la demolizione.” In questo ambito si studiano le modalità per combinare i materiali in modo da poterli separare senza danneggiarli. “Niente di fantascientifico, in realtà: basti pensare al Duomo di Firenze che può essere smontato pietra su pietra senza alcun danno per i singoli mattoni”, conclude Durmisevic.

www.bamb2020.eu

 

 

Promuovere la transizione della filiera dell’edilizia alla sostenibilità è da anni la mission del network (di cui fa parte Dgnb) dei 72 Green Building Council presenti in altrettanti paesi, al cui interno sono rappresentati tutti i soggetti della filiera: ricercatori, investitori, amministrazioni pubbliche, produttori di materiali, progettisti, costruttori, gestori dei patrimoni immobiliari. A orientare il processo sono i protocolli energetico-ambientali, autentiche linee-guida per la progettazione ex novo, la riqualificazione e la manutenzione delle costruzioni nonché per misurarne il livello delle prestazioni, con relativa certificazione finale. In questo orizzonte i protocolli più diffusi sono Leed (Leadership in Energy and Environmental Design) e Breeam (Building Research Establishment Environmental Assessment Method) sviluppati, rispettivamente, negli Usa e nel Regno Unito, a cui si affiancano varianti nazionali, come il Dgnb per la Germania. “Impatto dell’edificio sul territorio, interferenza con la mobilità di prossimità, efficienza energetica e uso di fonti rinnovabili, risparmio della risorsa idrica, impiego di materiali ad alto tasso di riciclo e riciclabilità, salubrità degli ambienti indoor: sono le aree fondamentali della sostenibilità che trattano tutti i protocolli”, elenca Marco Caffi, ingegnere, docente all’Università di Brescia e direttore di Gbc Italia. 

Ma c’è di più: “Le soluzioni per aumentare la salubrità indoor hanno dimostrato di avere anche una valenza economica: negli uffici certificati green il personale lavora più volentieri, si ammala di meno e fa meno assenze. E se ridurre il consumo d’acqua oggi può sembrare superfluo, quando avremo problemi di carenza idrica gli edifici in grado di fornire gli stessi servizi igienici e idrici con metà acqua conterranno il disagio e vedranno aumentare il loro valore”, sottolinea Caffi. 

I protocolli si possono applicare a edifici residenziali e commerciali, condomini, quartieri, scuole, ospedali, sedi istituzionali, impianti sportivi. Gbc Italia ne ha sviluppato uno per gli edifici storici, per conciliare gli interventi di riqualificazione ambientale con la tutela della valenza storico-architettonica. Italiana è anche l’unica città europea ad essere certificata (con il grado “oro”) Leed for cities: è Savona, premiata per la pianificazione energetica a basso impatto e per le misure finalizzate a migliorare la qualità dell’aria.

In tema di salubrità indoor, l’International Living Future Institute – l’organizzazione non profit che promuove il rigoroso standard di green building “Living Building Challenge” – ha redatto una “lista rossa” di oltre 800 sostanze chimiche tossiche per la salute e per l’ambiente presenti nei materiali per l’edilizia. 

Se si guarda alla classifica dei paesi leader nell’edilizia verde, in ambito Leed, anche per essere partiti per primi 25 anni fa, sono gli Usa a detenere il primato con 30.700 progetti certificati, per un totale di oltre 385 milioni di metri quadri. “Il mercato ha conosciuto una trasformazione tale che ci sono settori in cui i materiali ecologici hanno sostituito completamente quelli convenzionali più dannosi per la salute”, scrive Calvin Hennick su Usgbc+, la rivista di Usgbc (il Green Building Council Usa che ha ideato il sistema Leed).

 

Mineirão Stadium, Belo Horizonte, Brasile. ©Profimedia

 

La top ten delle certificazioni Leed dopo gli Usa vede in gran recupero la Cina con più di 47 milioni di metri quadri, davanti a, nell’ordine, Canada, India, Brasile, Germania, Corea del Sud, Taiwan, Turchia, Messico ed Emirati Arabi Uniti (fonte Usgbc). Fuori dal sistema Leed i numeri della Cina salgono però sensibilmente: “La Cina sta abbracciando l’edilizia verde a ritmi vertiginosi, e con il sistema Three Star di China GBC ha raggiunto 523 milioni di m2 certificati”, ci dice Georgina Eldridge di WorldGbc, l’organizzazione-ombrello mondiale. Ad aprile WorldGbc ha stretto un accordo con China Gbc giudicato d’importanza strategica, visto che con oltre due miliardi di metri quadri edificati annualmente la Cina è il più grande mercato mondiale ed è responsabile di quasi il 30% delle emissioni globali di gas serra. “Siamo fortemente impegnati a favore di uno sviluppo low carbon e che tuteli la salute”, ha confermato Wang Youwei, presidente di China Gbc. “Grazie a questa partnership impareremo dalle best practices mondiali, condivideremo le nostre esperienze e accelereremo l’attuazione degli impegni sul clima sottoscritti a Parigi.” 

In Europa i paesi leader sono Regno Unito (partito con le certificazioni Breeam già nel 1990) e Francia, davanti alla Germania che con il sistema nazionale Dgnb, introdotto nel 2009, con 2850 certificazioni supera le 276 della classifica Leed (fonte: Dgnb e Usgbc).

“La necessità di arrivare, al 2050, a un patrimonio edilizio mondiale a zero emissioni di carbonio per contenere l’aumento della temperatura globale entro 2 gradi, idealmente 1,5 gradi, è stata al centro anche del congresso di WorldGbc svoltosi a giugno, un’assoluta novità rispetto al congresso del 2017”, riferisce Eldridge. “WorldGbc ha presentato un documento con cui si appella alle imprese affinché adottino obiettivi ambiziosi per azzerare, al 2030, le emissioni di CO2 degli edifici, invitando i fornitori di materiali a fare altrettanto.” In occasione del congresso è stata premiata con il 2018 World Green Building Council Award l’impresa olandese Energiesprong, che ha inventato un innovativo sistema di riqualificazione energetica che permette di realizzare il cappotto termico con strutture prefabbricate che si montano direttamente sulle facciate riducendo enormemente i tempi di intervento. Con l’aggiunta di impianti di riscaldamento e raffrescamento smart, di tetti coibentati e dotati di pannelli solari, gli edifici riescono a coprire integralmente da soli i propri fabbisogni di energia ed elettricità. 

 

Kay Jewelers Pavilion, Akron Children’s Hospital, Akron, Ohio, Stati Uniti. ©Blake Marvin Photography

 

Considerati i benefici per salute e ambiente, resta l’interrogativo sui fattori che ancora frenano il green building. “Gli ostacoli sono di tipo normativo, finanziario e tecnologico” risponde Eldridge “ma i materiali, le fonti di energia pulita, le soluzioni per l’efficienza energetica e le tecniche di progettazione passiva per edifici a zero emissioni sono già disponibili e a un costo competitivo con quelli convenzionali. È compito dei governi nazionali alzare l’asticella degli standard ambientali”, conclude. In questo quadro, l’Italia manifesta un suo specifico tallone d’Achille, ovvero “la frammentazione del settore edilizio, mentre il green building necessita di una forte integrazione tra committente, progettista, impresa edile, dalla fase progettuale a quella costruttiva”, puntualizza Caffi. “Chi sta accelerando il passo in Italia sono le amministrazioni pubbliche, grazie all’approvazione dei criteri ambientali minimi in edilizia, simili ai protocolli Gbc, divenuti vincolanti per la realizzazione degli edifici pubblici.” 

Per raggiungere l’obiettivo di ridurre al 2030 le emissioni di gas serra di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990 si stima che l’Unione europea dovrà investire circa 100 miliardi di euro l’anno. Un impegno che, oltre ai fondi pubblici, richiederà l’intervento dei privati. In questa direzione, a metà giugno, è stato raggiunto un risultato cruciale: l’European Mortgage Federation (la Federazione europea per i mutui) e l’European Covered Bond Council hanno lanciato l’Energy efficient Mortgages Action Plan (EeMAP), un progetto-pilota, supportato da 37 delle principali banche europee, per concedere mutui “verdi” a tasso agevolato a chi vuole riqualificare l’abitazione o acquistarne una a basso impatto energetico. L’iniziativa è sostenuta anche da 23 organizzazioni, tra cui i Gbc di undici paesi della Ue. Per Michael Lewis, AD di E.ON UK, “i mutui verdi sono potenzialmente in grado di innescare una rivoluzione dell’efficienza energetica. Siamo orgogliosi di essere partner dell’iniziativa, convinti che la fase-pilota offra l’opportunità a banche, utility ed esperti di efficienza energetica di lavorare insieme per trasformare in realtà una grande visione”. 

La fase-pilota durerà due anni. Poi, sulla base dei dati raccolti, verrà definito il modello standard europeo di mutuo. Con l’augurio che l’efficienza energetica possa “trovare casa” in milioni di case.  

 

 

Gbc Italia, www.gbcitalia.org

The Red List, living-future.org/declare/declare-about/red-list

Energy efficient Mortgages Action Plan, energyefficientmortgages.eu

Immagine in alto: Kay Jewelers Pavilion, Akron Children’s Hospital, Akron, Ohio, Stati Uniti. ©Blake Marvin Photography