Prima tesi: gli apocalittici. L’accordo di Parigi è l’ennesima presa in giro del circo che da oltre due decenni ruota attorno alle Nazioni Unite per produrre conferenze che non portano a risultati pratici. Volete una prova? Eccola. Gli scienziati, compresi quelli dell’Ipcc, cioè dell’Onu, hanno detto chiaro e tondo che per mettere in sicurezza l’atmosfera occorre tagliare in maniera drastica e rapida le emissioni di gas serra. Dunque bisogna lasciare sottoterra due terzi delle riserve di combustibili fossili finora note, altro che cercarne di nuove come ancora si continua a fare. Le chiacchiere sui tagli futuri sono solo greenwashing: la verità è che si continua a inquinare alla grande. La strada maestra era quella indicata nel Protocollo di Kyoto: mantenere il principio dei tetti di emissione da non superare, con sanzioni per chi sgarra. Quanto al Pacchetto dell’economia circolare basta vedere come il testo proposto dalla commissione Juncker ha ridotto gli obiettivi proposti dalla commissione Barroso: una vergogna. Sia l’accordo di Parigi sia il nuovo Pacchetto sull’economia circolare sono beffe.
Seconda tesi: gli integrati. L’intesa di Parigi è non solo il massimo ottenibile, ma anche un ottimo accordo. Pensare che si potesse andare oltre è follia: la governance globale sui grandi ecosistemi è un estremismo che non porta da nessuna parte. Gli orfani del comunismo tentano di riciclarsi, ma il libero mercato è l’unica forza in grado di guidarci fuori dalla crisi economica. Si andrà avanti per gradi, tenendo presente le priorità economiche. Così come per il Pacchetto dell’economia circolare ci sarà da faticare già per realizzare le proposte della commissione Juncker, figuriamoci per le altre.
A questo punto del ragionamento spesso si usa dire che la verità sta nel mezzo. Un’affermazione amata dai cerchiobottisti, ma poco calzante in questo caso. In entrambi i ragionamenti quello che non funziona è la gerarchia: gli apocalittici pongono l’ambiente al vertice e l’economia sotto, gli integrati rovesciano le priorità. Ed entrambi gli schieramenti hanno una visione statica, come se la partita fosse ormai chiusa e il verdetto definito. Non è così. Le ragioni dell’ambiente senza sostenibilità economica portano a un rapido collasso della società, e le ragioni dell’economia senza sostenibilità ambientale portano un poco più lentamente allo stesso risultato. Inoltre la partita è più che mai aperta.
Il dibattito sull’economia circolare e l’intervista a Ellen MacArthur che ospitiamo in questo numero mostrano che un percorso di crescita eco eco (economica ed ecologia) è possibile a patto di giocare una battaglia che si sviluppa all’interno e all’esterno dei parlamenti, con l’opinione pubblica e i new media che svolgono un ruolo sempre più determinante. Quello che è stato ottenuto finora è certamente insufficiente per la messa in sicurezza dei grandi ecosistemi, ma rivela un trend che si sta accentuando e che sta dividendo anche il mondo dei combustibili fossili, in parte tentato dalla riconversione per inserirsi nel mercato green in rapida crescita.
“Non si tratta di fare un po’ meno peggio ogni anno, ma di ricostruire un modello diverso con un grande potenziale economico”, dice a Materia Rinnovabile la fondatrice della Ellen MacArthur Foundation definendo il Pacchetto sull’economia circolare “un inizio di grande successo”. Certo la tecnologia da sola non basta: servono un nuovo atteggiamento e nuove abitudini, ma l’economia circolare è un modello che tiene assieme proprio questi due elementi. Negli ultimi mesi abbiamo visto la nascita del primo impianto industriale a livello mondiale per produrre biobutandiolo senza una goccia di petrolio e una crescita dell’approccio sharing nel campo della mobilità. Se il finale di partita è incerto, si può dire che le carte che oggi ha in mano il fronte dell’innovazione sono notevolmente migliorate. Bisogna giocarle al meglio.