La mia amica Kate Raworth “non riesce proprio a usare il termine decrescita”. Ecco le nove ragioni per cui io, invece, lo utilizzo.

1. Definizione chiara. Il termine “decrescita” non può essere più chiaro di così. Del resto sicuramente non è meno chiaro di “uguaglianza” o “crescita economica” (si tratta di crescita del benessere o delle attività? Di quelle monetizzabili o di tutte le attività? E se solo di quelle monetizzabili, a chi importerebbe?). Al di là della critica dell’assurdità di una crescita perpetua, decrescita significa ridurre l’impronta globale del carbonio e quella materiale partendo dai più ricchi. 

Anche i sostenitori della crescita verde desiderano una tale decrescita, ma sostengono che la crescita del Pil sia necessaria o compatibile con questo obiettivo. La decrescita la pensa diversamente: con tutta probabilità anche il Pil subirà una riduzione. Se facciamo le cose giuste per il nostro benessere, come fissare un tetto alle emissioni di anidride carbonica, se trasformiamo l’economia del profitto in un’economia della cura e della solidarietà, l’economia del Pil subirà una riduzione. Anche Kate si appella per “un’economia che ci faccia prosperare, indipendentemente dal fatto che vi sia crescita o meno”, e sostiene che sia necessario “liberarsi” dalla “prigione” della crescita. I tedeschi la chiamano “post-crescita” e a me sta bene, ma in qualche modo ingentilisce quello che ci aspetta in realtà: dimezzare il nostro utilizzo di energia o materiali e trasformare e stabilizzare un’economia in contrazione (e non semplicemente “che non cresce”). Con il suo elemento di shock la “de”-crescita ci ricorda che non potremo avere la botte piena e la moglie ubriaca. 

2. La giusta conversazione con le persone giuste. Conosci la sensazione “che cosa ci faccio io nella stessa stanza con queste persone?”. Che effetto fa quando si sente l’espressione “win-win” e si osservano grafici in cui la società, l’ambiente e l’economia si abbracciano in triangoli amorosi, mentre i mercati internalizzano le “esternalità” (sic)? Bene, non verrai invitato in queste stanze se lanci il missile della decrescita, e questo è un bene. A Marx non importerebbe di sedersi al tavolo con i capitalisti per convincerli della bontà del comunismo.

Perché fingere che siamo tutti d’accordo? Non ho mai avuto una conversazione noiosa o confusa sulla decrescita (e anche questa conversazione ne è una prova). Le persone si appassionano, l’atmosfera si surriscalda, si sollevano questioni fondamentali (abbiamo perso qualcosa a causa del progresso? Cosa c’è nel passato che ci può servire per il futuro? È possibile cambiare il sistema, e come?). Ma per fare questi discorsi è necessario conoscere (e difendere) la decrescita. 

3. Missione non-compiuta. Kate ci ha chiesto di immaginare che il “missile sia atterrato e abbia funzionato”. Il problema è che il missile è atterrato, ma non ha funzionato, quindi non è ancora ora di andare oltre. Basti dire che il correttore automatico di Microsoft continua a sostituire degrowth con regrowth. La decrescita è un anatema per la destra come per la sinistra. Gli economisti impallidiscono quando sentono parlare di decrescita. Gli eco-modernisti si guadagnano i titoli di prima pagina con un futuro di abbondanza alimentato dal nucleare e nutrito dagli Ogm. Un libro recentemente pubblicato definisce i sostenitori della decrescita “malthusuani”, eco-austeri e “dipendenti dalla pornografia del collasso”. Un partito radicale come Syriza ha come slogan “crescita o austerità”. L’ideologia della crescita è più forte che mai. Negli anni ’70 la critica alla crescita era diffusa, i politici la affrontavano e gli economisti sentivano almeno il dovere di rispondervi.

4. Esiste una vivace comunità, e questo è un fatto irreversibile. A Barcellona spesso 20 o 30 di noi si incontrano per leggere e parlare di decrescita, cucinare e bere, andare per boschi e protestare. Siamo in disaccordo pressoché su tutto, tranne che sulla decrescita, che è quello che ci unisce. Alla quarta conferenza internazionale a Lipsia c’erano 3.500 partecipanti, la maggior parte studenti. Dopo la sessione plenaria conclusiva in molti si sono diretti verso le strade dello shopping con un gruppo musicale, hanno innalzato cartelli contro il consumismo e bloccato le attività di una fabbrica di carbone. Ci sono giovani da tutto il mondo che vogliono studiare la decrescita a Barcellona. Se fai esperienza di questa energia incredibile ti accorgi che decrescita è una parola bellissima. Ma comprendo la difficoltà di utilizzarla in un contesto diverso: dopo sei mesi a Londra mi sento di essere io quello strano che insiste sulla decrescita.

5. Io vengo dal Mediterraneo. Qui il progresso appare diversamente: la civiltà ha raggiunto il proprio apice secoli fa. Serge Latouche dice che la “decrescita è intesa come negativa, qualcosa di imperdonabile in una società nella quale a tutti i costi bisogna ‘pensare positivo’”. “Essere positivi” è un’invenzione nordamericana. Per favore, cerchiamo di essere “negativi”. Non ce la faccio a reggere tutta quella felicità. Sofferenza, sacrificio, cura, onore: la vita non è tutta una questione di sentirsi “meglio”. Per coloro che sono meridionali nel cuore, che provengano dal nord globale, dall’oriente o dall’occidente, questa idea di un continuo progresso e miglioramento è sempre suonata strana. Sprecare noi stessi e i nostri prodotti in modo irrazionale, rifiutarsi di migliorare e di essere “utili” ha un suo fascino. Rifiutare l’idea che siamo così importanti è un antidoto contro l’etica protestante che sta al centro della crescita. Resistiamo alla pretesa di essere positivi!

6. Non sono un linguista. Chi sono io per contestare al professor Lakoff l’idea che non possiamo dire alle persone “non pensare a un elefante!” perché sarà proprio quello il loro pensiero? Però va detto che gli atei hanno avuto un bel successo nella loro battaglia contro gli dei. E così hanno fatto quelli che volevano abolire la schiavitù. O, sfortunatamente, così è andata ai conservatori con la deregulation. Trasformando qualcosa di negativo nel loro grido di battaglia hanno disarmato la pretesa bontà della rivendicazione dei loro nemici. Il queer movement (movimento degli omosessuali) ha trasformato un insulto in un motivo di orgoglio. Questa è l’arte del sovvertire. Esiste una teoria linguistica che lo spieghi?

La critica di Lakoff ai democratici americani è una cosa diversa. I democratici hanno accettato lo stesso contesto dei repubblicani, offrendo alternative soft (per esempio meno austerità). La “crescita verde” è proprio questo; la decrescita è una negazione sovversiva della crescita: una lumaca, non un elefante più snello. Steven Poole, editorialista del The Guardian che si occupa di linguaggio, definisce la decrescita “carina”. Quando la maggior parte delle persone saranno d’accordo con lui, e troveranno la lumaca carina, saremo sulla strada di una “grande transizione”.

7. Non può essere cooptata. Il concetto di buen vivir suona favoloso. Chi non vorrebbe “vivere bene”? E infatti l’America Latina l’ha preso a cuore: l’autostrada inter-amazzonica che collega Brasile ed Ecuador, con le sue città creative impiantate nel bel mezzo, il programma di energia nucleare della Bolivia e una carta di credito in Venezuela. Tutto in nome del buen vivir. Cosa che mi ricorda la “Ubuntu Cola”. Nessuno costruirebbe un’autostrada o un reattore nucleare, o rilascerebbe ulteriori carte di credito, o venderebbe cola in nome della decrescita. Nelle parole di George Monbiot, il capitalismo può vendere di tutto, ma non di meno. La decrescita potrebbe essere cooptata dai sostenitori dell’austerity? È plausibile, ma improbabile; l’austerità viene sempre giustificata per il bene della crescita. Il capitalismo perde legittimità senza crescita. Da coloro che si oppongono all’immigrazione? Inquietante ma non impossibile, è stato tentato in Francia. Questa è la ragione per cui non possiamo abbandonare il termine decrescita: dobbiamo svilupparlo e difenderne il contenuto. 

8. Non è un fine. Decrescere all’infinito è tanto assurdo quanto crescere. Il punto è abolire il dio della crescita e costruire una società diversa con un’impronta più bassa. Per questo esiste un “faro”: i commons (beni comuni). In una versione ridotta però. Con una produzione tra pari, o un’economia della condivisione di materiali ed elettricità. La decrescita ricorda che è impossibile avere la botte piena e la moglie ubriaca, anche se fabbricata digitalmente.

9. Focalizza la mia ricerca. Dedico i miei sforzi a discutere con gli eco-modernisti, i sostenitori della crescita verde, gli economisti della crescita o i Marxisti sostenitori dello sviluppo sulla (in)sostenibilità della crescita. Questa perseveranza nel difendere la decrescita è produttiva: obbliga ad affrontare domande che nessun altro pone. Certo, in teoria possiamo usare meno materiali; ma perché allora l’impronta materiale continua a crescere? Come sarebbero il lavoro, la sicurezza sociale, il denaro in un’economia in contrazione? Chi è convinto della bontà della crescita verde non si pone questi interrogativi, ma Kate non lo è: lei concorda con le nostre dieci proposte politiche per la decrescita: il lavoro condiviso, la remissione del debito, il denaro pubblico, il reddito minimo. Ma si domanda perché farlo in nome della decrescita. La ragione è perché non possiamo permetterci di essere agnostici. La differenza è grande, sia in termini di ricerca sia di progettazione, se si approcciano questi aspetti come strumento di stimolo e nuova crescita o come modo di gestire e stabilizzare la decrescita.

Decrescita rimane un termine necessario.