I ricercatori dello Stockholm Resilience Center la chiamano la “Grande accelerazione”. Si tratta di un’impennata che a partire dagli anni ‘50 è stata rilevata nei dati sulla popolazione, sullo sfruttamento delle risorse, l’uso di fertilizzanti, l’inquinamento da carbonio, l’impoverimento delle riserve ittiche, la perdita di biodiversità e altro. Prima di quegli anni, invece, gli effetti delle attività umane erano poca cosa, quasi impercettibili.
“Il Modello iceberg, ispirato dal lavoro Donella Meadows, è sempre un promemoria che mi ricorda di andare oltre quello che si vede in superficie nella definizione di un problema e nella ricerca dei punti di intervento.” |
“In un tempo pari alla durata di una vita, l’umanità è diventata una forza geologica su scala planetaria”, dice Will Steffen che ha guidato lo studio in collaborazione con l’International Geosphere-Biosphere Programme.
Nel frattempo la International Commission on Stratigraphy sta valutando se aggiungere l’Antropocene come era geologica, che potrebbe ufficialmente finire nei libri di scuola vicino all’Olocene e al Pleistocene.
L’Antropocene è anche un periodo di maggiore consapevolezza globale che vede la nascita di un grande movimento sociale (Paul Hawken parla di almeno un milione di organizzazioni dedite al cambiamento sociale in tutto il mondo) e l’inizio delle economie circolari e biobased. È anche un periodo senza precedenti per quanto riguarda la convergenza transnazionale evidenziata dagli accordi climatici di Parigi, dal lancio dei Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite e dall’ enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco.
In questo speciale momento di accelerazione e di impegni transnazionali per la sostenibilità, il mondo del business sta sempre più riflettendo sul suo ruolo nella società e ridefinendo i confini della sua responsabilità sociale. Una nuova consapevolezza sta filtrando nella comunità del business, che comincia a interrogarsi sui bilanci convenzionali, gli stili di leadership, gli spazi di lavoro. E sulla fondamentale convinzione che sia necessario crescere indefinitamente (pensate alla campagna di Patagonia “Don’t buy this shirt” che ha portato a un’impennata delle vendite).
Nel frattempo, inondazioni, siccità e disordini sociali connessi ai cambiamenti climatici stanno appesantendo parecchio il costo del business.
La grande accelerazione. |
Secondo Unilever – multinazionale anglo-olandese i cui prodotti arrivano nelle case di due miliardi di persone – la siccità, la ridotta produzione agricola e il conseguente aumento dei prezzi del cibo costano all’azienda 400 milioni di dollari l’anno.
Di fronte a queste mega-sfide molti nel settore privato sono preoccupati che gli impegni presi dalla politica non siano sufficienti a innescare un’azione immediata. Il “consumo verde”, seppure in aumento, non è riuscito a diventare una forza trasformativa in grado di plasmare una produzione sostenibile.
Da qui il bisogno e l’urgenza sentite dalle aziende socialmente responsabili di un ruolo più attivo e lungimirante da parte del business. Qual è, allora, il prossimo passo importante per la responsabilità sociale delle imprese?
Andrew Winston nel suo libro The Big Pivot riconosce che questo – per il settore privato – è un momento unico, adatto per ridiscutere la visione del mondo e la ragione fondamentale per cui le aziende esistono.
Secondo Winston il ruolo del business dovrebbe essere quello di affrontare un problema e poi usare l’ingegnosità per rendere la soluzione redditizia, invece di creare prima di tutto problemi (pensiamo per esempio alle epidemie di diabete in parte collegate alle bevande zuccherate disponibili sul mercato).
Se il business si considera sempre più come parte della soluzione, possiede la leadership, la visione e gli incentivi per arrivare a questo alto livello di problem solving?
La grande maggioranza delle aziende pubbliche, specialmente negli Stati Uniti, esercita ancora una forte pressione per massimizzare i profitti a breve termine. E, nonostante gli sforzi di un numero sempre crescente di compagnie per ridurre la loro impronta ambientale, solo in pochi casi questi interventi riflettono un approccio sistemico, influenzato da una comprensione della realtà e dell’entità della trasformazione necessaria.
Henk Hadders, accademico e imprenditore sociale, descrive così la sfida: “Continuiamo a costruire le stesse vecchie istituzioni per risolvere nuovi e complessi problemi con lo stesso vecchio set di regole, guidati dalla stessa vecchia cultura con la maggior parte degli stessi manager di vecchia scuola ancora al loro posto”.
Questo invece si sta dimostrando un momento cruciale in cui le imprese di maggior successo saranno quelle che non solo riusciranno a stare a galla nella crescente incertezza, ma sapranno aprire le porte a modelli innovativi e alla trasformazione delle sfide che richiedono più coraggio, come i cambiamenti climatici, in opportunità economiche.
Non è un percorso facile e pianificato: richiede una nuova leadership in armonia con il funzionamento dei sistemi complessi, capace di immaginare futuri alternativi e in grado di generare forza e visione.
Questo insieme di abilità sono state definite da Peter Senge, Hal Hamilton e John Kania “leadership di sistema”. Nei leader di sistema spiccano tre qualità: saper leggere il sistema nel suo complesso (e non solo le sue parti); avere la capacità di facilitare riflessioni autentiche; essere in grado di passare dalla soluzione dei problemi alla co-creazione di un futuro differente.
Chiunque voglia intraprendere il percorso della crescita personale e della leadership di sistema incontrerà sulla sua strada Donella “Dana” Meadows, principale autrice nel 1972 de I limiti dello sviluppo (Limits to Growth). Questo Rapporto – che rappresenta una delle analisi di sistema più note (e accessibili) mai pubblicate – si focalizza niente meno che sul destino dell’umanità come popolazione, sull’economia e sulla crescente estrazione di risorse sul nostro pianeta finito. Lo studio fu ingiustamente accusato di catastrofismo perché prevedeva il collasso della civiltà umana in un momento indeterminato successivo agli anni 2020-2030 a meno che l’umanità non avesse rallentato il tasso di crescita economica e demografica. A distanza di 20/30 anni gli autori hanno confermato questa direzione preoccupante, ma si rendono conto che i dati da soli – per quanto accurati e riproducibili – non sono sufficienti a scuotere la volontà politica ed economica. Secondo Meadows un grande potenziale è presente in alcune qualità umane che catalizzano il cambiamento profondo: la visionarietà, la capacità di creare una rete di persone con obiettivi comuni, quella di creare nuovi flussi di informazione e trasparenza, di rimanere umili e aperti all’apprendimento, e infine la capacità di amare.
Donella Meadows
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Meadows dedica un intero libro, Thinking in Systems, pubblicato postumo nel 2008, a queste qualità e alla comprensione pratica dei sistemi da parte dei creatori del cambiamento.
“Via via che il nostro mondo continua a cambiare rapidamente e a diventare sempre più complesso, la progettazione dei sistemi ci aiuterà a gestire, adattare e vedere l’ampio spettro di scelte che abbiamo di fronte”, scrive Meadows. Molte di queste scelte hanno a che fare con il riconoscimento della forza dei fulcri di un sistema. “Questi sono posti all’interno di un sistema complesso (un’azienda, un’economia, un organismo vivente, una città, un ecosistema) in cui un piccolo cambiamento in una cosa può produrre grandi cambiamenti nel sistema”.
Un punto di leva analogo, molto spesso ignorato, è l’obiettivo finale di un sistema. Da non confondersi con l’obiettivo dichiarato di un sistema, che è ciò che il sistema alla fine produce come risultato del suo processo lavorativo. Poiché siamo nati all’interno di sistemi e li ereditiamo dalle generazioni precedenti, raramente ci chiediamo qual è lo scopo di una famiglia, una scuola, un’altra azienda, un sistema monetario o un’economia.
“Se definiamo l’obiettivo di una società in termini di Pil” scrive Meadows “questa farà del suo meglio per generare Pil. Non produrrà benessere, equità, giustizia o efficienza a meno che non si definisca un obiettivo, si misuri e si renda conto regolarmente sullo stato del benessere, dell’equità, della giustizia o dell’efficienza”.
Gli obiettivi espliciti e le loro misurazioni sono qualcosa che le aziende socialmente responsabili hanno compreso da molto tempo scegliendo un approccio a tripla bottom line. Ma c’è qualcosa di particolarmente trasformativo, dal punto di vista dei sistemi, nel rendere più semplice alle aziende seguire linee guida alternative.
Trenta Stati Usa hanno approvato leggi che permettono la formazione di benefit corporations, società che non hanno l’obiettivo di massimizzare profitti e possono decidere di reinvestire nella comunità e nell’ambiente senza il rischio di essere ostacolate o rallentate dagli azionisti. Al momento si stima che in 42 Stati ci siano 1.400 benefit corporations, tutte impegnate a ridefinire i confini del loro successo e della loro responsabilità sociale.
Un’altra leva per il cambiamento che Meadows mette ai primi posti nella sua lista degli interventi, è rappresentata dalle regole di un sistema. “Se volete comprendere i malfunzionamenti più profondi di un sistema, fate attenzione alle regole, e a coloro che hanno potere su di esso”, scrive Meadows. Una regola che le aziende stanno iniziando a sostenere con più vigore che in passato, è stabilire un prezzo per il carbonio. E una cosa è vedere Ben & Jerry’s, l’azienda ultra progressista del Vermont produttrice di gelati, fare questo tipo di campagna, un’altra è vedere sei grandi compagnie petrolifere – Bp Plc, Royal Dutch Shell Plc, Total Sa, Statoil Sa, Eni spa e Bg Group – scrivere a Christiana Figueres, Executive Secretary della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, per chiedere che venga imposto un prezzo alle emissioni di carbonio. Nel frattempo, Exxon Mobil, tenendo nascoste al pubblico le sue stesse informazioni critiche e spendendo milioni stava promuovendo la disinformazione. Ecco come Meadows descrive il ruolo critico dei flussi di informazione: “Se potessi, aggiungerei un undicesimo comandamento: non distorcerai, ritarderai o nasconderai informazioni. Potete mandare in tilt un sistema intorbidendo i suoi flussi di informazione. Potete farlo lavorare al meglio e con facilità sorprendente se date informazioni tempestive, accurate e complete”.
Ma il maggiore potenziale di cambiamento, e anche il più difficile da rimuovere, è legato all’approccio mentale dal quale poi scaturiscono gli obiettivi, le regole e i processi di sistema.
Punti di intervento in un sistema
(in ordine crescente di efficacia )
12. Costanti, parametri, numeri (come sussidi, tasse, standard)
11. Le dimensioni dei buffer e altre scorte stabilizzanti, relative ai loro flussi
10. La struttura degli stock di materiali e i flussi (come le reti di trasporto e le strutture per età della popolazione)
9. La lunghezza dei ritardi, relativa alla frequenza di cambiamento del sistema
8. La forza dei loop di retroazione negativi, relativi agli impatti cui stanno cercando di porre rimedio
7. Il guadagno intrinseco alla generazione di loop di retroazione positiva
6. La struttura dei flussi di informazione (chi ha o non ha accesso all’informazione)
5. Le regole del sistema (come incentivi, punizioni, obblighi)
4. Il potere di aggiungere, cambiare, evolvere, o auto-organizzare la struttura del sistema
3. Gli obiettivi del sistema
2. L’approccio mentale o paradigma dal quale il sistema – i suoi obiettivi, la sua struttura, le sue regole, ritardi e parametri – scaturisce
1. La capacità di trascendere i paradigmi
Nel 1994 Ray Anderson, l’ultimo Ceo di Interface Carpet, compagnia leader nella ideazione e produzione di moquette, si rese conto che la sua azienda non era altro che la diretta estensione dell’industria petrolchimica e – a 60 anni di età – decise di cambiare strada. Nel suo libro Mid-Course Correction scrive: “Tra i punti di intervento di Dana Meadows, abbiamo scelto quello più difficile ed efficace per cercare di fare la differenza. La reinvenzione di Interface riflette una nuova e più accurata visione della realtà, un nuovo approccio mentale per un nuovo sistema industriale. Stiamo perseguendo con ambizione questa reinvenzione, aspirando a diventare il modello di azienda sostenibile per la prossima rivoluzione industriale”. Questo nuovo “approccio mentale”, che riconosce i limiti della capacità degli ecosistemi di assorbire inquinanti, che guarda lontano e tiene conto dei costi ambientali, ha portato l’azienda (5.000 dipendenti) a trasformare completamente la sua catena di produzione e distribuzione. Tanto che nel 2020 sarà vicina a raggiungere il traguardo zero emissioni di carbonio.
Ma Meadows ci ricorda che il nuovo approccio mentale consiste anche nell’abbracciare la complessità a livello profondo e a liberarsi dell’idea che, una volta ridotti ai loro elementi costitutivi essenziali, i sistemi hanno un funzionamento prevedibile e controllabile. “Non possiamo imporre la nostra volontà a un sistema. Possiamo ascoltare quello che dice e scoprire come le sue proprietà e valori possono collaborare per portare avanti qualcosa di gran lunga migliore di quanto possa essere prodotto dalla nostra sola volontà”.
In definitiva, in un mondo in accelerazione e sulla strada per condurre i Big nella responsabilità sociale delle aziende, la questione non sarà in che misura il business sia parte della soluzione, ma come si riorganizzerà per essere veicolo di cambiamento del sistema.
Donella Meadows Institute, www.donellameadows.org
Stockholm Resilience Center, www.stockholmresilience.org
International Geosphere-Biosphere Programme, www.igbp.net