alcuni intendono la crescita come uno strumento indispensabile per il benessere, il lavoro e la pace mentre altri la considerano un male, quasi l’opera del diavolo; la sostenibilità invece è di norma la beniamina di chiunque, sebbene venga criticata, soprattutto negli ultimi tempi, per essere troppo sovente una parola vaga e alla moda. Con l’avvento del concetto di un’economia basata sulla conoscenza o sulla biologia, la cosiddetta “bioeconomia”, queste discussioni hanno acquisito una maggiore complessità, e per alcuni sono diventate anche imbarazzanti. La nuova idea è vista in alcuni casi come concorrente delle altre due, mentre altri temono che questo interessante concetto sia stato concepito soltanto per contrabbandare gli Ogm nella nostra vita quotidiana, con il pretesto di lasciarsi alle spalle il secolo dei combustibili fossili. È raro però che si guardi a tutti questi principi in modo olistico, considerandone le loro interazioni e connessioni.
Cosa c’è di vero e di concreto in queste discussioni?
Iniziamo dalle fondamenta del concetto di “bioeconomia”: le risorse biologiche rinnovabili provenienti da piante, animali, microrganismi e insetti; le vaste conoscenze fino a oggi acquisite su questi pilastri della vita e le più recenti conoscenze tecnologiche di cui disponiamo sulle aree contigue, grazie allo sviluppo delle tecnologie di comunicazione e informazione, delle nanoscienze e delle scienze cognitive ecc. Poiché sono espressione della natura vivente, le biorisorse hanno proprietà uniche: sono rinnovabili, hanno un bilancio neutro del carbonio, sono quanto meno rispettose dell’ambiente e hanno un enorme potenziale per sostituire i materiali fossili. Possono essere utilizzate a cascata o offrire impieghi multipli, forniscono ai materiali nuove proprietà quali durabilità, stabilità, forza e perfino una tossicità minima o inesistente. Forse questa non è una novità, ma ciò che è indubbiamente nuovo è il potere immenso che deriva dallo sfruttamento sistematico e sistemico di queste nuove fonti di conoscenza, dal combinarle o integrarle nelle cosiddette catene di valore dei processi e dei prodotti di origine biologica. Il tutto nel rispetto della prossimità della bioeconomia al principio della sostenibilità, che è innegabile.
E per quanto concerne la crescita? Il legame decisivo che consente di comprendere come si integrano crescita e bioeconomia è già stato affermato: la crescita è data dalla combinazione intelligente delle caratteristiche specifiche ed esclusive delle biorisorse (rinnovabilità, zero emissioni di carbonio, utilizzi multipli e a volte a cascata) con le nuove proprietà aggiunte ai materiali e vantaggiose per l’ambiente. Il legno è uno degli esempi più congeniali in questo senso. È molto più che un materiale per realizzare arredamenti o giocattoli: la sua rinnovabilità è l’incarnazione stessa della crescita. Se utilizzato a cascata con il supporto dei microorganismi, il legno ma anche le amidacee, gli oli vegetali e lo zucchero possono produrre valore aggiunto e quindi crescita. Il legno può essere impiegato innanzitutto come materiale da costruzione, poi come truciolato e infine convertito in energia sotto forma di pellet. Crescita significa sì conferire valore aggiunto, un concetto che tendiamo spesso a ignorare o a dimenticare, ma anche rendere superflue le sostanze chimiche tossiche, ridurre i gas serra e più in generale proteggere le limitate risorse fossili. A volte, ciò si può ottenere soltanto con l’ausilio delle molecole superiori, cioè acido lattico, acido succinico ecc. Esse contengono numerosi elementi funzionali che scatenano diverse vie di reazione. Quando questi complessi si combinano in modo intelligente, possono essere di nuovo utilizzati in una varietà di prodotti a valle e persino finiti quali polimeri, lubrificanti, surfattanti, solventi, cosmetici e fibre. Questa è innegabilmente crescita allo stato puro e valore aggiunto! Molte di queste catene di valore sono ancora in via di individuazione da parte dell’industria in molti ambiti economici e in tutto il mondo, fuori dall’Europa spesso in modo più intenso e rapido, ed è qui che possiamo trovare la giustificazione per parlare di una concreta e reale bioeconomia. Sono ovviamente moltissime le opportunità non esplorate e in attesa di ricerca sistematica per il futuro utilizzo come materiali per la casa e lo sport, tessuti, additivi alimentari o nelle innovative sostanze chimiche rinnovabili. Sussistono al contempo ostacoli economici e logistici importanti, ed è anche necessario convincere i consumatori della validità delle nuove qualità e caratteristiche.
Per concludere, la risposta alla domanda sollevata in principio è la seguente: crescita nel suo senso più ampio, sostenibilità e bioeconomia non rappresentano né uno triangolo scomodo né un trilemma, secondo la definizione che ne dà Wikipedia, ma costituiscono invece i tre lati di un triangolo molto semplice. Due anni e mezzo fa, la Commissione europea per prima ha riconosciuto e promosso questo concetto, assegnando alla prima strategia per una bioeconomia europea l’altisonante titolo “L’innovazione per una crescita sostenibile. Una bioeconomia per l’Europa”.
È tempo di introdurre questi nuovi concetti nelle discussioni sul futuro del pianeta.