Con l’emergenza legata al Covid-19, il 2020 ha costretto l’avido mondo “sviluppato” (secondo il PNUD, United Nations Development Programme, il 20% della popolazione più benestante utilizza l’80% della risorse globali) a interrogarsi se dare priorità alla società (la salute) o all’economia (la crescita). Durante i lunghi mesi di quarantena, accompagnato da un dibattito mediatico spesso molto acceso, ho avuto modo di riflettere sul concetto di sostenibilità (e insostenibilità) in modo “olistico”. Compagni di questo viaggio sono stati gli scritti di Herman Daly, Donella Meadows e Umberto Galimberti, tre luminari nelle rispettive discipline che pur parlando di tematiche differenti, lo fanno con un approccio multidisciplinare che ben si presta alla mutua complementarietà.

Le leggi di Daly e l’insostenibilità del sistema

Herman Daly, famoso economista e premio Nobel noto per la sua teoria economico-ecologica, fissa le condizioni al contorno del concetto di sostenibilità attraverso le sue leggi. Tre di queste sono molto note: il tasso di utilizzo di ogni risorsa rinnovabile deve essere inferiore al suo tasso di rigenerazione; il tasso di utilizzo di ogni risorsa non rinnovabile deve essere inferiore al suo tasso di sostituzione con una risorsa rinnovabile; il tasso di emissioni di ogni flusso di inquinanti deve essere inferiore al tasso di assorbimento del sistema, tale per cui esso risulti non nocivo. A destare il mio interesse è tuttavia la quarta legge, spesso non menzionata: “al fine di essere socialmente sostenibile, i flussi di risorse e le riserve devono essere equamente distribuite e sufficienti a garantire una vita dignitosa a tutti”.

Se guardandoci attorno cerchiamo di capire quanto queste leggi siano applicate, subito ci rendiamo conto che siamo molto distanti dall’avvicinarcisi.
Nulla è sostenibile, dal micro (come l’acquisto di un prodotto al supermercato nella nostra quotidianità) al macro (ad esempio le relazioni tra nazioni). Questo comportamento insostenibile si verifica sia su piccola che su grande scala, lo ritroviamo ovunque. Quando ci rendiamo conto della ricorrenza di un comportamento e che esso non è generato da una singola persona o da una specifica serie di azioni, comprendiamo che si tratta del comportamento dell’intero sistema, anche quando non è ricercato intenzionalmente. Viene naturale allora chiedersi: perché il sistema tende a comportarsi in questo modo?

Donella Meadows e le interconnessioni tra gli elementi di un sistema

Donella Meadows ci aiuta a comprendere meglio la dinamica dei sistemi, essendo stati questi oggetto del suo studio per moltissimi anni. Iniziamo con il definire cosa sia un sistema: un set di elementi (possono essere fisici, persone, organi in un mammifero) interconnessi (vi sono regole e segnali tra di essi che permettono la comunicazione tra gli stessi), organizzati per servire a una particolare funzione o per raggiungere un determinato obiettivo (stiamo parlando del risultato reale, non di qualcosa di astratto).
Tornando al nostro sistema insostenibile, all’interno di esso tutti noi produciamo il risultato che non vogliamo ottenere e lo facciamo in modo irrazionale, creando il
comportamento insostenibile frutto delle interrelazioni tra gli elementi e non del numero degli elementi in sé (i flussi sono più importanti degli stock). Tutto ciò ha una importante conseguenza, ovvero che i singoli elementi non hanno colpe e il danno continua a crearlo il sistema (nessuna persona vuole respirare aria inquinata) pur al variare degli elementi (ad esempio in una scuola, cambiano i professori ma la scuola resta tale). Sono dunque le interconnessioni ciò che dobbiamo modificare se vogliamo cambiare il comportamento.

Pesci e iniquità della ricchezza

Per comprendere questi pochi e basilari concetti, relazionati al tema della sostenibilità cosi come enunciato da Daly, Meadows propone un’analogia che ci permette di toccare con mano quanto sopra esposto: il sistema della pesca regolato dalla legge della domanda e dell’offerta.
Prendiamo ad esempio uno stock di
pesci e uno stock di pescherecci: essi costituiscono un sistema. Se i pescherecci rientrano al mattino con le reti piene i guadagni aumentano e si possono poi investire per aumentare il numero di pescherecci in mare. Se lo stock di pesce diminuisce, diminuiscono i guadagni e alcuni pescherecci resteranno in porto. Il prezzo equilibra il sistema: con meno pescato sale il prezzo, con più pescato cala il prezzo. È possibile dimostrare che in un sistema caratterizzato da questo tipo di interconnessioni (semplificate in quest’articolo che non descrive i feedback loop positivi e negativi), il sistema tende ad auto equilibrarsi, ovvero a far sì che le persone possano mangiare pesce senza portare all’estinzione la popolazione ittica stessa. Cosa succede quando introduciamo nel sistema una esternalità come ad esempio una tecnologia (ovvero andiamo ad agire su una interconnessione)? Se equipaggiamo un peschereccio con un radar che renda più semplice e veloce l’individuazione di un branco di pesci, aumentiamo il pescato ma il tasso di riproduzione della specie non varia e questo porterà a un rapido decadimento dello stock ittico fino alla possibile estinzione di una specie. È bene notare che in queste condizioni il pescatore (un elemento del sistema) non si renderà conto di quanto velocemente egli stia depauperando le risorse; allo stesso modo se cambia il pescatore, il comportamento del sistema rimane uguale poiché l’interconnessione è stata modificata con la tecnologia radar. Qualcuno potrebbe dire che il prezzo potrebbe fare da barriera all’estinzione e infatti la legge della domanda e dell’offerta si comporta come un “balancing feedback loop”: se di pesci ne restano molto pochi, il loro prezzo, che dovrebbe schizzare alle stelle, è il naturale contenimento del disastro. Ma cosa succede se la ricchezza è distribuita in modo non equo? basta guardare a quanto vengono oggigiorno battuti all’asta i pesci più grossi (9700 euro al Kg nel 2019, asta record per un tonno da 2,7 M€), per renderci conto che ci stiamo dirigendo verso un baratro e a tutta velocità, incoscienti del pericolo.

Un’etica sociale per una vera sostenibilità

Questa piccolo esempio, seppur trattato velocemente e con poche parole, ci permette di richiamare all’attenzione la quarta legge di Daly, perché dimostra che senza affrontare i temi sociali diventa piuttosto difficile mettere in pratica le prime tre leggi. Aggiungo anche, parafrasando Umberto Galimberti, psicologo e filosofo, che fino a quando noi - popolazione del mondo sviluppato che ogni giorno per mantenere il proprio stile di vita costringe i 4/5 della popolazione mondiale a vivere con meno di 2 dollari pro capite - non ci saremo indignati per il nostro comportamento e non avremo riformulato e fatta nostra un’etica fondata sul rispetto dell’altro, della comunità e dell’ambiente, la sostenibilità rimarrà una bella parola ma solo sulla carta. Senza l’interiorizzazione di un'etica in grado di farsi carico di una visione sociale inclusiva, che metta in seria discussione i valori oggigiorno perpetuati (quelli della sopraffazione dell’individuo sulla collettività), sarà difficile per i cittadini anche solo comprendere il perché un gruppo di rappresentanti si ritrovino a intervalli regolari a parlare di clima e insostenibilità del modello economico sociale, e per i rappresentanti stessi capire cosa dire e fare in quei particolari contesti.
Per poterci prendere cura di qualcosa, abbiamo bisogno di un’etica che ci faccia capire che quel qualcosa ha un valore. Altrimenti stiamo solo perdendo tempo.