Smaltire gli scarti grazie a una mosca. E ricavarne mangimi. Questo l’obiettivo del progetto “Insect Bioconversion”, una ricerca sull’utilizzo di una mosca – la Hermetia illucens – per lo smaltimento degli scarti ortofrutticoli. Insetto che, una volta cresciuto con questa dieta speciale, viene impiegato per ottenere una farina proteica usata per integrare i mangimi destinati ai pesci di allevamento.
Il progetto “Insect Bioconversion” presentato dall’Università dell’Insubria in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano e il Crea – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria – di Padova si è aggiudicato un finanziamento di 300.000 euro da Fondazione Cariplo nell’ambito dei bandi attivati sulla “Ricerca integrata sulle biotecnologie industriali e sulla bioeconomia”. E ha anche ricevuto la sottoscrizione di Sogemi Spa, Società per l’impianto e l’esercizio dei mercati annonari all’Ingrosso di Milano, dell’Associazione piscicoltori italiani e di Paul Vantomme, responsabile del progetto “Edible Insects” della Fao.
Cinque le fasi previste dalla ricerca. Per prima cosa vengono valutate le performance di crescita delle Hermetia su diversi tipi di diete: da una standard composta da crusca, mais ed erba medica, a un mangime per polli, normalmente utilizzato per alimentare altri tipi di insetti, alla dieta vegetale oggetto della ricerca.
La seconda fase riguarda la caratterizzazione biologica dell’Hermetia, ossia l’individuazione di alcuni marcatori per valutarne le performance di crescita, la sua efficienza nella trasformazione del substrato e le condizioni in cui questo insetto cresce (ottimali o potenzialmente patogene). In questo passaggio è prevista anche la selezione degli individui migliori al fine di creare uno stock di uova di Hermetia, indispensabile per avviare una filiera certificata nella fase post-ricerca.
La terza fase prevede l’isolamento della mosca da ciò che rimane del substrato, quindi la trasformazione dell’insetto in farina e la valutazione microbiologica della farina così ottenuta.
Quindi vengono eseguiti i test sulle trote iridee, andando gradualmente a sostituire ai mangimi tradizionali frazioni crescenti di farina d’insetto, analizzando le performance di crescita e lo stato di benessere dei pesci così alimentati.
L’ultimo passaggio prevede la valutazione, lo studio e la gestione per usi alternativi – come compostaggio o sviluppo di ammendanti da utilizzarsi in ambito floro-vivaistico – degli scarti non consumati, a cui si sommano le feci dell’insetto stesso e le chitine derivanti dalle mute.
Dall’idea al progetto
Referente del progetto presso il polo varesino è Gianluca Tettamanti, entomologo. L’abbiamo incontrato nel suo laboratorio.
“C’è ancora molto da scoprire sull’Hermetia illucens: in questo momento stiamo valutando su piccola scala la fase della crescita e abbiamo verificato come, variando anche minimamente le condizioni di illuminazione, temperatura e umidità, l’impatto sul ciclo vitale è notevole”, spiega il professore. “Questo insetto ha delle caratteristiche ottime per il nostro progetto. È saprofago, il che significa che cresce su materiale in decomposizione. La sua resa, poi, è davvero notevole per la quantità di scarto che riesce a smaltire. Infine, dato fondamentale, l’adulto vive pochi giorni, depone le uova e muore. Pertanto a differenza di altri insetti più studiati, non è vettore di patologie. E questo è un indubbio vantaggio ai fini della ricerca.”
Tettamanti racconta poi come è nato il progetto. “L’interesse del gruppo di lavoro verso gli insetti commestibili risale al 2013, momento in cui cominciava il fermento in Europa in tale ambito. Parallelamente, i colleghi acquacoltori sottolineavano la necessità, in un settore di ricerca ed economico in forte espansione, di trovare dei sistemi efficienti per fornire proteine ai pesci di allevamento. Nello stesso periodo, attraverso i contatti con Sogemi Spa di Roberto Valvassori, zoologo e all’epoca docente ordinario all’Insubria, siamo venuti a conoscenza dell’esigenza della società di smaltire 1.300 tonnellate di scarti ortofrutticoli all’anno.”
Così è nata l’idea di trasformare questi scarti in risorsa, valorizzare le potenzialità di un ambito di estrema attualità, gli insetti commestibili, rispondendo al tempo stesso alle necessità di un comparto sul quale l’Europa punta moltissimo, l’acquacoltura.
Non solo. Di fatto anche altre aziende hanno la necessità di smaltire substrati, magari di diverso tipo come i residui dei birrifici. Oggi questi scarti vengono utilizzati per produrre biogas o vanno al compostaggio: usarli per l’alimentazione degli insetti potrebbe, invece, essere una valida alternativa. D’altra parte, l’insetto non è solo fonte di proteine, benché le percentuali di queste componenti varino dal 30 al 60%. Per esempio la frazione oleosa, oltre alla mangimistica, potrebbe interessare le industrie cosmetiche. Le chitine e chitosani – ossia la parte che costituisce l’esoscheletro lasciata in modo consistente nel substrato durante le mute – sono utilizzate per gli imballaggi e in ambito alimentare, visto che sembrano avere un’azione stimolante sul sistema immunitario. Infine, dall’Hermetia sono estraibili molte molecole ad attività antibatterica.
Per realizzare tutto ciò, però, occorre creare protocolli utilizzabili su ampia scala e stabilire degli standard per sviluppare una filiera produttiva certificata. La questione degli standard rappresenta il punto centrale della ricerca: in Europa i limiti nell’allevamento degli insetti per l’alimentazione animale hanno implicazioni che vanno al di là dell’efficienza e riguardano i potenziali rischi per la salute. Proprio pochi mesi fa Efsa – European Food Safety Authority, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare – ha rilasciato un rapporto dove viene affrontata la questione, individuando non solo potenziali pericoli biologici e chimici, ma anche l’allergenicità e i pericoli ambientali connessi all’uso di insetti allevati come cibi e mangimi.
Acquacoltura: la scelta che fa la differenza
Oggi, secondo gli ultimi dati disponibili, l’acquacoltura fornisce circa il 50% dei prodotti ittici per consumo umano al mondo; mentre in Europa rappresenta il 24% della produzione di pesce e dà lavoro a circa 85.000 persone. Da più di 15 anni l’Unione europea promuove, infatti, il comparto con fondi e finanziamenti ad hoc, insistendo sulla sostenibilità dei prodotti ittici allevati ed evidenziando l’importanza dell’acquacoltura come uno dei settori alimentari in maggiore espansione a livello mondiale. Per questo, dovendo scegliere la destinazione d’uso della farina d’insetto elaborata durante il progetto, si è pensato all’allevamento ittico. Inoltre questi allevatori hanno bisogno di mangimi standardizzati per mantenere alte le performance di crescita del pesce e scongiurare eventuali patologie o la riduzione della produzione finale ittica.
A occuparsi dei test sui pesci della farina ricavata dalle mosche sarà Genciana Terova, responsabile del settore acquacoltura del Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della vita dell’Università dell’Insubria. Anche se la fase della ricerca che la riguarda direttamente non è ancora iniziata, approfondiamo con lei alcuni aspetti del progetto.
Scopriamo, innanzi tutto, che la scelta di testare la farina sulle trote iridee è dovuta al fatto che in Lombardia c’è una grossa produzione ittica, in particolare di trote: nella regione ci sono oltre 70 impianti di itticoltura e si producono più di 5.000 tonnellate di pesce l’anno. Scopriamo inoltre che oltre alle trote, la farina d’insetto potrebbe essere compatibile – dopo opportune valutazioni sperimentali – anche con altre specie carnivore, quali la spigola, la carpa o la tilapia.
Genciana Terova ci spiega che, in realtà, la miglior sorgente proteica per il pesce carnivoro allevato è la farina di pesce. Tuttavia, per mantenere la sostenibilità ambientale ed economica, questa è solitamente e in gran parte sostituita con farine di origine vegetale, che non sono sempre digeribili e spesso vengono associate a fattori antinutrizionali. I possibili vantaggi per il pesce rappresentati dall’impiego della farina di Hermetia dovrebbero essere legati al fatto che tale farina sia una sorgente di proteina digeribile. Se l’ipotesi verrà confermata, il pesce potrà usufruire di una sorgente proteica animale di facile assimilazione che non veicola fattori di infiammazione per l’apparato digerente.
Locuste, grilli e larve a tavola? Il parere dell’Efsa
L’Efsa è l’Autorità europea per la sicurezza alimentare: fornisce non solo consulenza scientifica ma anche una comunicazione efficace in materia di rischi, esistenti ed emergenti, associati alla catena alimentare. A ottobre 2015, ha rilasciato un rapporto dal titolo Risk profile of insects as food and feed nel quale si afferma che gli insetti rappresentano un settore alimentare di nicchia nell’Unione europea, anche se parecchi Stati membri ne hanno segnalato un consumo umano occasionale.
Tuttavia l’uso di insetti come fonte di alimenti e mangimi ha, potenzialmente, importanti benefici per l’ambiente, l’economia e la sicurezza della disponibilità alimentare.
Nel suo rapporto Efsa ha evidenziato che l’eventuale presenza di pericoli biologici e chimici nei prodotti alimentari e nei mangimi derivati da insetti dipende da vari fattori: dai metodi di produzione, da ciò con cui gli insetti vengono nutriti (il cosiddetto substrato), dalla fase del ciclo di vita nella quale gli insetti vengono raccolti, dalle specie di insetti utilizzate, nonché dai metodi impiegati per la loro successiva trasformazione.
In conclusione, quando gli insetti non trasformati vengono nutriti con mangimi attualmente autorizzati, la potenziale insorgenza di pericoli microbiologici è prevedibilmente simile a quella associata ad altre fonti di proteine non trasformate. Il fattore di rischio, infatti, resta correlato all’uso come substrato di deiezioni umane o di ruminanti, ciò che portò nel 2001 a vietare le farine di carne e ossa di mammiferi in tutti i mangimi destinati agli animali da allevamento nell’Ue, per l’esistenza di un legame tra queste farine e la diffusione dell’encefalopatia spongiforme bovina (Bse) nel bestiame e a causa di un’associazione tra la carne infetta da Bse e la variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD) nell’uomo. Il parere scientifico dell’Efsa prende in considerazione anche gli eventuali pericoli associati ad altri tipi di substrato, come i rifiuti di cucina e il letame.Ciò che occorre fare, però – rivela il rapporto – è approfondire la ricerca in questi ambiti, per scongiurare anche i rischi chimici (per esempio accumulo di metalli pesanti e tossine) o rischi biologici (batteri, virus).
Rapporto Efsa Risk profile of insects as food and feed, www.efsa.europa.eu/sites/default/files/scientific_output/files/main_documents/4257.pdf
Da rifiuto a risorsa
Ma la vera sfida che ci aspetta nel prossimo futuro sarà riuscire a nutrire una popolazione mondiale in continuo aumento avendo a disposizione risorse sempre più scarse.
L’allevamento di insetti potrebbe ben colmare questo limite in due diversi modi: inserendo nell’alimentazione umana il consumo di insetti che, già oggi, costituisce un’integrazione proteica per oltre due miliardi di persone, ma che dovrebbe superare le reticenze di molti, almeno in Europa. La seconda possibilità si riferisce all’utilizzo degli insetti per completare i mangimi animali con un ridottissimo impatto ambientale rispetto a quello legato alla loro produzione con farine di pesce. Il progetto “Insect Bioconversion”, quindi, non è solo un progetto di bioeconomia. Ciò che lo rende affascinante sono le enormi possibilità di applicazione e la sostenibilità ambientale di questa continua trasformazione, del re-immettere in circolo le materie prime rinnovabili (substrato vegetale e insetti) contribuendo a cambiare a tutti i livelli l’idea stessa di sviluppo.
Progetto “Insect Bioconversion”, tinyurl.com/z2b4op9
Progetto “Edible Insects”, www.edibleinsects.it
Info
www.fondazionecariplo.it/it/index.htmldipbsf.uninsubria.it/invertebrati/