Questo articolo è stato pubblicato su \"Valori. Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità\", n. 145 febbraio 2017; www.valori.it
Quando è calato il sipario sulla ventiduesima Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sul clima, la Cop22 di Marrakech, la sensazione è stata di aver toccato semplicemente una tappa intermedia. Grandi avanzamenti sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici, infatti, non ce ne sono stati. I paesi “sviluppati” hanno confermato nel documento finale approvato in Marocco l’intenzione di stanziare 100 miliardi di dollari all’anno, di qui al 2020. Una promessa che però appare ormai datata: era stata avanzata per la prima volta ben otto anni fa. Ed è stata confermata nell’Accordo di Parigi raggiunto al termine della Cop21 nel 2015.
A Marrakech, dopo i passi in avanti compiuti in Francia in termini di dichiarazioni di intenti, ci si attendeva un passaggio all’azione. La Conferenza si era prefissata, in effetti, l’obiettivo di “mettere in pratica” le decisioni raggiunte un anno prima a Parigi. Tuttavia, nonostante l’appello diretto del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon (“I finanziamenti e gli investimenti – ha dichiarato – sono essenziali per la creazione di società resilienti, capaci di minimizzare le emissioni di gas a effetto serra”), non è ancora chiaro in che modo verrà alimentato il Fondo verde per il clima istituito dopo la Cop di Copenaghen nel 2009. I paesi ricchi, per ora, hanno promesso solamente la cifra di 83 milioni di dollari, di cui 50 accordati dalla Germania, che andranno però ad alimentare un altro fondo, quello per l’adattamento che era stato istituito nel quadro del Protocollo di Kyoto. Una goccia in mezzo al mare.
Come reperire i fondi…
Per capire come trovare il modo di garantire i 100 miliardi, i governi in Marocco si sono dati due anni di tempo. Said Karrouk, climatologo membro dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), premio Nobel per la Pace nel 2007, ha spiegato al quotidiano economico francese La Tribune che “già quando, nella dichiarazione finale della Cop21 di Parigi, si era confermato il trasferimento astronomico di 100 miliardi di dollari dalle nazioni più ricche del mondo a quelle in via di sviluppo, ci si poteva legittimamente porre alcune domande in merito alla sincerità di tali promesse. Soprattutto tenendo conto dell’attuale contesto economico e finanziario. La teoria secondo la quale potrebbe trattarsi di un’affermazione destinata solo a ‘far pazientare’ l’Africa, a mio avviso non è frutto di paranoia. Spero almeno che non si tratti di un puro e semplice bluff”.
Va detto che lo scorso ottobre i paesi ricchi hanno pubblicato (per la prima volta) un documento che mostra in che modo si pensa di onorare gli impegni. Secondo i calcoli dell’Ocse, in questo modo nel 2020 saranno messi a disposizione 67 miliardi di dollari di finanziamenti pubblici (tra donazioni e prestiti). Per il resto, i governi contano su un effetto-leva che sia capace di trainare gli investimenti privati: ciò porterebbe a ottenere tra 77 e 133 miliardi. Ma qui si entra nel campo delle ipotesi: “La pubblicazione di questo documento, più puntuale rispetto a una semplice promessa, ha costituito un passo in avanti. Ma restiamo prudenti: spesso gli Stati tendono a gonfiare le cifre”, ha commentato Armelle Le Comte, dell’associazione Oxfam. Più concreta è invece la dotazione di una decina di miliardi concessa dalla Cina tramite un altro fondo, il South-South Coordination Fund.
… e come usarli
Occorrerà verificare se il resto del mondo sarà altrettanto pronto. Ma ammettiamo, ottimisticamente, che i fondi vengano trovati nel giro dei prossimi mesi: a quel punto occorrerà decidere in che modo utilizzarli. E in che modo stanziarli. Ebbene, anche questo è stato un terreno di forti scontri tra le nazioni del Nord e del Sud del mondo riunite a Marrakech.
“Le frizioni non sono più tanto sul quantitativo di denaro impiegato – sottolinea Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio europeo di Legambiente a Bruxelles – ma su tre fronti: i metodi di calcolo, quelli di concessione dei fondi e se destinarli a politiche di mitigazione o di adattamento ai cambiamenti climatici”. In pratica, i conti dell’Ocse sono stati contestati dalle nazioni povere, “perché – prosegue Albrizio – è chiaro che un conto sono le donazioni, un conto i prestiti. E su questi ultimi occorre verificare a che tassi di interesse verranno concessi. È evidente che le nazioni in via di sviluppo non accetteranno denaro se non a tassi bassissimi: se devono indebitarsi a tassi di mercato allora possono rivolgersi alle banche, che bisogno c’è di aspettare l’intervento delle nazioni ricche?” Inoltre, per ora dei fondi pubblici censiti dall’Ocse solamente il 20% è destinato all’adattamento, ovvero ai sistemi che dovranno utilizzare le nazioni più vulnerabili per, appunto, adattarsi ai cambiamenti climatici: “È chiaro che i privati non saranno interessati a investire in questo senso. Per loro è molto più allettante il cofinanziamento del trasferimento tecnologico, dunque puntare alla quota assegnata alla mitigazione”.
I “No” del Sud del mondo
Una situazione inaccettabile per i governi dei paesi in via di sviluppo, che hanno proposto di portare ad almeno il 50% i fondi per l’adattamento. La richiesta è stata formalizzata dall’Unione africana, che accetterebbe di avere a disposizione circa 30-40 miliardi di dollari. “In ogni caso – osserva il dirigente di Legambiente – è bene chiarire che questa cifra non potrà assolutamente bastare: servirà unicamente per garantire il primo passo. Basti pensare che alcune stime informali dell’Unfccc, che a Marrakech circolavano tra i tavoli dei negoziati, indicano che nel 2030 serviranno tra 140 e 300 miliardi di dollari all’anno”.
Ultimo capitolo dello scontro Nord-Sud è quello legato alle spese per le loss and damages. Ovvero ai risarcimenti per i danni subiti. “Alla Cop22 – conclude Albrizio – è stato definito un programma quinquennale che dovrà indicare le modalità di concessione di tali contributi. I paesi in via di sviluppo hanno accettato il principio secondo il quale saranno indennizzate le catastrofi future e non quelle passate”. A partire, però, dal momento in cui il meccanismo diventerà operativo.*
*Le informazioni sono tratte da “Finanza sostenibile e cambiamento climatico”, pubblicato dal Forum per la Finanza sostenibile.
Cop22, cop22.ma/en
Se la finanza incontra il climate change
Strumenti (diretti e indiretti) per la lotta ai cambiamenti climatici
di Elisabetta Tramonto
Il rischio ambientale entra nei fondi pensione
Includere i rischi ambientali nelle strategie di investimento. Per i fondi pensione europei è diventato obbligatorio. Il 24 novembre scorso il Parlamento europeo ha, infatti, approvato gli emendamenti alla Direttiva Iorp 2 (Institutions for Occupational Retirement Provision), che aggiorna la normativa su attività e vigilanza dei fondi pensione e degli altri schemi pensionistici europei, introducendo anche l’obbligo per i gestori dei fondi di adottare criteri Esg (cioè ambientali, sociali e di buona governance) nelle scelte di investimento. Gli investitori, specifica la nuova direttiva, dovranno comunicare alle autorità competenti le loro analisi sui rischi comprendendo anche quelli “relativi al cambiamento climatico, all’utilizzo delle risorse, all’ambiente, alla sfera sociale e al deprezzamento degli assets come conseguenza di cambiamenti normativi”. Si tratta dei cosiddetti stranded assets, gli attivi sostanzialmente bloccati perché incapaci di remunerare gli investimenti. Ne fanno parte le ingenti riserve di gas e petrolio per le quali l’introduzione di norme più stringenti sulle emissioni di gas nell’atmosfera (e quindi sull’impiego delle fonti fossili) costituisce un importante fattore di deprezzamento. “Questo è un grande successo per il sostegno a investimenti in prodotti sostenibili”, ha commentato l’eurodeputato tedesco dei Verdi Sven Giegold, aggiungendo che la legge “apre la strada al divestment dalle fonti fossili dei fondi pensione europei”.
Sul fronte dell’impatto ambientale degli investimenti la Francia si è mossa in anticipo: nell’estate del 2015 ha approvato la Loi relative à la transition énergétique pour la croissance verte, che con l’articolo 173 obbliga, a partire dal 2016, fondi pensione, compagnie di assicurazione e tutti i grandi investitori a misurare e a comunicare l’impronta carbonica del proprio portafoglio di investimento, unitamente alla propria strategia di gestione del rischio clima.
Il boom dei green bonds
Le cosiddette “obbligazioni verdi”: uno degli strumenti più innovativi per finanziare attività con impatto positivo sul clima. Sono titoli di debito associati al finanziamento di progetti con ricadute positive in termini ambientali (energie rinnovabili, gestione sostenibile dei rifiuti e delle risorse idriche, tutela della biodiversità, efficienza energetica). È un mercato che ha conosciuto negli ultimi anni un incremento esponenziale, arrivando nel 2015 a oltre 40 miliardi di dollari di emissioni complessive a livello globale, il 272% rispetto al 2013 (dati Climate Bond Initiative, “Year end review 2015” www.climatebonds.net). Le obbligazioni sono emesse in prevalenza (61%) da organizzazioni internazionali come la Banca mondiale o la Banca europea per gli investimenti (Bei); la restante parte (39%) fa riferimento a obbligazioni aziendali. La prima obbligazione verde è stata lanciata dalla Bei nel 2007: si tratta del bond denominato “Climate Awareness”, per finanziare progetti incentrati sulle soluzioni ai cambiamenti climatici. Al momento non esiste uno standard di riferimento vincolante per l’emissione di green bond. Un rapporto pubblicato recentemente dal Wwf sottolinea l’importanza di riservare l’aggettivo “green” solo a quelle obbligazioni per le quali l’emittente possa dimostrare un impatto ambientale positivo e misurabile, certificato da un ente indipendente secondo standard condivisi.
Etf e indici low carbon
Etf (Exchange-traded fund) che replicano indici low carbon. Cresce anche l’offerta delle gestioni cosiddette “passive” che incorporano il tema del cambiamento climatico. Si tratta di Etf che includono titoli a minor intensità di carbonio rispetto al benchmark di riferimento, riducendo così l’impronta di CO2 complessiva del portafoglio. Gli indici possono essere composti sulla base della strategia delle esclusioni, eliminando i settori più inquinanti dall’universo investibile (tipicamente, il settore dei combustibili fossili), oppure su un approccio best in class, che all’interno di ciascun settore seleziona le aziende in grado di gestire più efficacemente i rischi/opportunità legati al cambiamento climatico. Un esempio di indici low carbon citati si trova sul sito della Montréal Carbon Pledge: montrealpledge.org/resources122.
Impact investing anti climate change
“L’impact investing è una strategia di finanza sostenibile particolarmente indicata per contrastare i cambiamenti climatici e favorire la transizione verso un’economia a basse emissioni”, si legge nel rapporto Finanza sostenibile e cambiamento climatico, pubblicato dal Forum per la Finanza sostenibile. “Rispetto ad altri strumenti, infatti, gli investimenti impact si caratterizzano per il preciso intento di generare un ritorno sociale ed ambientale misurabile”. Nel 2015, il valore delle masse gestite sulla base della strategia dell’impact investing è stato pari a circa 60 miliardi di dollari, come evidenziato dallo studio annuale di Jp Morgan e del Global Impact Investing Network (Giin). E un’indagine di JP Morgan e Giin, con la Rockefeller Foundation, ha stimato che nel 2020 le masse gestite secondo i criteri della finanza a impatto potranno raggiungere un valore compreso tra i 400 e i 1.000 miliardi di dollari.
Iniziative per finanziare energia pulita e anti climate change
Si moltiplicano in tutto il mondo le iniziative per finanziare progetti di sviluppo di energia pulita, o, in generale, per contrastare i cambiamenti climatici.
- L’Africa Renewable Energy Initiative (Arei) è un’iniziativa africana per sfruttare le abbondanti risorse di energia rinnovabile nel continente. Lanciata a COP21 di Parigi nel dicembre 2015, sta ricevendo un forte sostegno internazionale dai partner di sviluppo che si sono impegnati a mobilitare almeno 10 miliardi di dollari cumulativamente per sfruttare il potenziale delle energie rinnovabili in Africa e ampliare l’accesso di energia in tutto il continente. Sostenuta e supportata finanziariamente dai governi di Canada, Francia, Germania e Stati Uniti, l’Arei punta ad aggiungere al mix energetico africano entro il 2020 10 GW e poi entro il 2030 altri 300 GW di energia prodotta da fonti rinnovabili.
Il report annuale del Global Impact Investing Network ha individuato alcune iniziative particolarmente rilevanti (sono citate nel rapporto “Finanza sostenibile e cambiamento climatico”, del Forum per la Finanza sostenibile):
- la Breakthrough Energy Coalition creata da Bill Gates, Mark Zuckerberg e altri 20 HNWI che investirà in iniziative di energia e tecnologia pulita in fase iniziale in tutto il mondo;
- il Climate Investor One creato dal Fmo per favorire il finanziamento delle energie rinnovabili nei mercati emergenti;
- il Land Degradation Neutrality Fund della UN Convention to Combat Desertification – fondo che mira a riqualificare 12 milioni di ettari di terra compromessa ogni anno, con l’obiettivo di mitigare il cambiamento climatico e favorire la biodiversità; attraverso il fondo ci saranno opportunità di investimento per oltre un miliardo di dollari.
Clima e finanza: le iniziative internazionali
2° Investing Initiative
Associazione fondata nel 2012 a Parigi. Si tratta di un gruppo di esperti multi-stakeholder che sviluppa progetti volti ad allineare il settore finanziario all’obiettivo dei 2°C. In particolare, le ricerche e le attività del gruppo mirano a: rendere i processi di investimento coerenti con gli scenari dei 2°C; sviluppare metodi e strumenti di misurazione delle performance climatiche delle istituzioni finanziarie; incoraggiare l’introduzione di incentivi normativi per orientare le risorse verso il finanziamento della transizione energetica.
Green Climate Fund
Il fondo è nato in ambito Unfccc (la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) con l’obiettivo di applicare l’Accordo di Parigi (Cop21) e accrescere la capacità di azione collettiva in risposta ai cambiamenti climatici. Il fondo ambisce a mobilitare risorse da investire in progetti di sviluppo a basso impatto carbonico e resilienti nei confronti del cambiamento climatico.
Green Infrastructure Investment Coalition
Fondata in occasione della Conferenza di Parigi Cop21, la coalizione mira a supportare il finanziamento di una rapida transizione verso un’economia a basso impatto carbonico e resiliente nei confronti dei cambiamenti climatici. I membri fondatori della coalizione sono: Climate Bonds Initiative, Principles for Responsible Investment (Pri), Unep Inquiry e International Cooperative and Mutual Insurance Federation (Icmif).
Institutional Investors Group on Climate Change
Iigcc è una piattaforma di collaborazione sui temi del cambiamento climatico rivolta agli investitori. La rete è composta attualmente da 120 membri. Tra questi vi sono alcuni dei principali fondi pensione e gestori europei. I suoi membri rappresentano quasi 13.000 miliardi di euro di asset. La missione è quella di fornire agli investitori una piattaforma collaborativa per incoraggiare politiche, pratiche di investimento e comportamenti in grado di affrontare i rischi e le opportunità associati al cambiamento climatico, in un’ottica di lungo periodo.
Investor Network on Climate Risk
Fondato nel 2003, l’Investor Network on Climate Risk (Incr) è una rete di oltre 120 investitori istituzionali che rappresentano più di 14.000 miliardi di dollari di asset. I membri dell’Incr si impegnano ad affrontare i rischi e a cogliere le opportunità derivanti dal cambiamento climatico e da altre sfide relative alla sostenibilità.
www.ceres.org/investor-network/incr
Montréal Carbon Pledge
Sottoscrivendo il Montréal Carbon Pledge, gli investitori si impegnano a misurare, pubblicare e ridurre l’impronta carbonica (carbon footprint) del proprio portafoglio di investimento, su base annuale. L’iniziativa è stata lanciata il 25 settembre 2014 in occasione dei Pri in Person33 a Montréal ed è promossa dai Principles for Responsible Investment (Pri) e dall’Iniziativa Finanziaria dell’Unep (Unep-Fi). Supervisionato dai Pri, il Montréal Carbon Pledge ha raccolto l’adesione di oltre 120 investitori firmatari, con più di 10.000 miliardi di dollari di asset in gestione. Etica Sgr e il Fondo pensione Cometa sono, al momento, gli unici firmatari italiani.
Natural Capital Declaration
La Natural Capital Declaration è promossa da Unep-Fi e dal Global Canopy Programme. Si tratta di una dichiarazione da parte del settore finanziario in vista del Summit della Terra Rio+20, in cui viene esplicitato l’impegno a integrare considerazioni legate al Capitale Naturale nei prodotti e nei servizi finanziari del ventunesimo secolo. Tra i beni ed i servizi ecosistemici derivanti dal Capitale Naturale è citata anche la sicurezza climatica.
www.naturalcapitaldeclaration.org
Portfolio Decarbonization Coalition
La Portfolio Decarbonization Coalition è un’iniziativa promossa da Unep-Fi, Unep, Cdp e Amundi. Si tratta di una rete di investitori istituzionali e di gestori che si sono assunti l’impegno di “decarbonizzare” il proprio portafoglio di investimento. La decarbonizzazione dei portafogli può avvenire disinvestendo, in ogni settore, da imprese, progetti e tecnologie a elevata intensità di carbonio e re-investendo le risorse in imprese, progetti e tecnologie particolarmente efficienti dal punto di vista delle emissioni di carbonio.
Regions of Climate Action
R20 Regions of Climate Action è un’organizzazione non profit fondata nel 2010 dal governatore Arnold Schwarzenegger e altri leader globali, in cooperazione con le Nazioni Unite. La missione di R20 è quella di aiutare i governi regionali a sviluppare progetti orientati a uno sviluppo economico a basse emissioni e resiliente ai cambiamenti climatici. In particolare, R20 facilita l’avvio di collaborazioni tra Regioni e i settori tecnologico e finanziario.
Unep-Fi Climate Change Advisory Group
A partire dal Forum Mondiale di Rio nel ’92, l’iniziativa finanziaria dell’Unep, il programma per la protezione ambientale delle Nazioni Unite, incentiva l’allineamento della comunità finanziaria ai principi dello sviluppo sostenibile e, nel quadro dell’Advisory Group dedicato, al contenimento dei rischi connessi al cambiamento climatico. Unep-Fi include tra i propri membri oltre 200 istituzioni finanziarie (banche, investitori e compagnie assicuratrici). Le sue attività sono mirate al raggiungimento di due obiettivi principali: changing finance (favorire l’integrazione degli aspetti ambientali all’interno dei processi finanziari) e financing change (incoraggiare il finanziamento di progetti a impatto ambientale positivo).