Da sempre gli imballaggi – basti pensare alle antiche anfore – sono realizzati per contenere, trasportare e soprattutto conservare il cibo. Ovvero anche per evitare lo spreco di cibo.
Ai giorni nostri, nei paesi ricchi, l’ampia disponibilità di alimenti e in parallelo una scarsa informazione o attenzione alle scadenze rendono molti frigoriferi e dispense dei depositi di cibo scaduto, destinato a diventare un rifiuto. Peraltro anche quando il cibo viene correttamente utilizzato, vi è una cospicua produzione di rifiuti che non sempre è riavviabile al riciclo o al compostaggio a causa di imballaggi non riciclabili.
Il tema della riduzione dei rifiuti negli ultimi anni è all’attenzione sia dell’Europa e dei singoli paesi, sia delle industrie alimentari. Da un lato vi è l’esigenza di mettere a dieta la pattumiera con packaging che contribuiscano a ridurre gli sprechi alimentari, dall’altro di realizzare imballaggi che richiedano un numero minore di materie prime, con effetti positivi anche sulla riduzione dei costi di produzione.
L’esempio degli imballaggi di carta o cartone
Carta e cartone sono tra gli imballaggi più usati nell’intera filiera agroalimentare e sono tra gli attori “protagonisti” dell’economia circolare. Un approccio in cui lo stesso scarto diventa risorsa attraverso il riciclo. “Il ciclo della carta e dell’imballaggio cellulosico – ci informano Comieco e il Club Carta e Cartoni – già di per sé costituisce un perfetto esempio di economia circolare, con una percentuale di recupero pari all’89%, e di riciclo pari all’80%. Questo significa che 8 imballaggi su 10 oggi tornano a nuova vita: nel 2016 gli imballaggi cellulosici immessi al consumo sono stati 4,6 milioni di tonnellate e di questi 3,7 milioni di tonnellate sono state avviate a riciclo”.
Attualmente lo studio e le tecnologie impiegate per produrre imballaggi in carta e cartone si stanno concentrando su soluzioni per la riduzione degli sprechi alimentari. Diverse sono a questo proposito le innovazioni: il confezionamento in atmosfera modificata è ormai consolidato, mentre ora si sta affermando il packaging attivo. Si tratta di confezioni altamente tecnologiche che interagiscono con l’alimento, come i “pad” in cellulosa che hanno una funzione assorbente dei gas o liquidi o le confezioni che rilasciano sostanze antimicrobiche che impediscono o limitano la degradazione dei prodotti alimentari, come la carne.
“Se avanzo mangiatemi”
“Doggy Bag – Se avanzo mangiatemi” è l’iniziativa creata da Comieco (Consorzio nazionale recupero e riciclo degli imballaggi a base cellulosica) in collaborazione con Slow Food Italia per incentivare e promuovere, anche nel nostro paese, l’utilizzo di doggy bag, il contenitore che consente di portare a casa con sé ciò che si è avanzato al ristorante.
Trasformare un problema in opportunità e far partire una rivoluzione culturale con l’obiettivo di ridurre le quantità di alimenti gettati e di stimolare un cambio di mentalità nei ristoratori e nei clienti. Il progetto ha incontrato l’adesione entusiasta di importanti esponenti della cultura italiana come l’architetto Michele De Lucchi e lo scrittore Andrea Kerbaker che hanno coordinato un team di professionisti chiamati a fare della doggy bag un vero e proprio oggetto d’autore.
Il progetto, lanciato a Milano, si è poi diffuso a Bergamo, Varese e Roma, incontrando l’entusiasmo di ristoratori e clienti.
Molto si sta facendo anche per la conservazione dell’ortofrutta. Oggi esistono confezioni che rilasciano all’alimento oli essenziali e sostanze antimicrobiche, in modo che il prodotto contenuto, che sia una pera o un pomodoro, possa non solo estendere la sua durata a scaffale (shelf life), ma anche mantenersi fragrante e gustoso fino al momento del consumo.
Un’altra innovazione allo studio riguarda l’introduzione di imballaggi cellulosici per uso alimentare accoppiati alle bioplastiche. Secondo una recente ricerca curata dall’Università Bocconi e promossa da Comieco, si potrebbe così contribuire a prolungare la shelf life dei prodotti e ridurre le presenze di materiali estranei nella raccolta differenziata della carta e dell’organico, con significativi risparmi dei costi di smaltimento (22 milioni di euro per la frazione carta e fino a 56 milioni di euro per l’organico). L’utilizzo di imballaggi che possono essere conferiti insieme agli alimenti scaduti nella raccolta dell’umido consentirebbe di ottenere l’invio a compostaggio di oltre 615.000 tonnellate di pack compostabile (che – si sottolinea nella ricerca – salgono fino a circa 877.000 tonnellate, considerando anche lo scarto della Gdo – grande distribuzione organizzata), che diversamente finirebbero nell’indifferenziato; un aumento nell’uso di carta pari a circa 588.000 tonnellate; una crescita nel mercato delle bioplastiche pari a oltre 121.000 tonnellate.
Di attualità è anche lo studio di formati più idonei alle nuove modalità di consumo per contrastare il problema dello spreco: per esempio attraverso una maggiore diffusione di confezioni più piccole o di monodosi.
Il ruolo chiave delle aziende alimentari
Per dialogare e trasferire alle aziende alimentari le best practice e le informazioni in materia di imballaggi cellulonistici nasce nel 2012 il Club Carta e Cartoni. Il Club che – oltre a rendere disponibili online queste informazioni – ha promosso una serie di altre iniziative di formazione e aggiornamento sui temi del packaging sostenibile e sostiene progetti di ricerca per sviluppare l’innovazione nel campo. Oggi conta più di 270 aziende, la maggior parte delle quali attive nel settore alimentare; in questi anni il suo impegno si è focalizzato anche sulla promozione di un maggiore dialogo lungo la filiera del packaging, mettendo in contatto produttori e utilizzatori, con loro esigenze e problematiche.
“In questi anni – ci spiegano dal Club – abbiamo rilevato un importante e crescente interesse da parte delle aziende verso un approccio sempre più attento alla sostenibilità, anche e soprattutto a partire dal packaging che costituisce il primo ‘biglietto da visita’ di un prodotto”.
Ricerca Università Bocconi presentata a Cibus 2016, tinyurl.com/kfjnw6s
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Immagine in alto: Aldric Rodríguez/The Noun Project