Una crescente domanda di cibo, materie prime ed energia, a fronte di un consumo di suolo che ha ampiamente oltrepassato il livello di sicurezza ed è ormai giunto al limite fisico: questo è lo scenario affrontato lo scorso gennaio a Berlino (Global Forum for Food and Agriculture, Gffa) dai ministri dell’agricoltura di 62 paesi. 

Uno scenario che include pressoché tutte le questioni chiave che pongono l’agricoltura al centro del dibattito su temi etici, sociali, economici e ambientali. Con risvolti geopolitici la cui rilevanza è oggi di totale evidenza, basti pensare al fenomeno del land grabbing, le cui reali dimensioni e distribuzione geografica sono ancora poco documentate.

Prima di analizzare i risultati del vertice merita un cenno la composizione del campione di nazioni presenti, fortemente sbilanciato sull’Europa (rappresentata anche da paesi che sono autentici “pesi piuma” nello scenario internazionale) e, per contro, con assenze di enorme rilevanza, come Brasile, Canada o Stati Uniti o alcuni paesi del Sud-Est asiatico.

 

L’importanza dei temi oggetto dei lavori è però indiscutibile. La sicurezza alimentare è citata in apertura tra le righe della dichiarazione finale, come obiettivo principale da perseguire in accordo con la dichiarazione The Future We Want, sottoscritta alla chiusura del summit Rio+20. Sicurezza alimentare che significa anche lotta alla fame e alla malnutrizione e, quindi, contrasto alla povertà. Inutile ribadire i numeri di cui sono titolari queste diverse emergenze globali, nonostante i progressi compiuti a partire dal 1990 proprio sulla riduzione del numero di persone che non hanno abbastanza da mangiare (quasi un’eccezione tra i Millennium Development Goals che proprio nell’anno in corso vedono la propria deadline). 

Se per il settore agroalimentare la dichiarazione finale del Gffa se la cava piuttosto sbrigativamente, con l’affermazione che solo un sistema agroalimentare resiliente, diversificato e sostenibile può, in definitiva, garantire il diritto degli esseri umani non solo a un livello di nutrizione adeguato, ma alla capacità di provvedervi da soli; il punto di maggior interesse arriva subito dopo, quando si afferma che l’agricoltura non è solo “food & feed”. Come non lo è stata per tutti i secoli in cui sulle biorisorse era fondata quasi l’intera cultura materiale della specie umana.

Lo sviluppo della bioeconomia viene, infatti, individuato come un obiettivo necessario per rimpiazzare risorse non rinnovabili la cui estrazione e uso sono sempre più insostenibili e utile a espandere il benessere e l’economia delle aree rurali, in particolare, per le parti più vulnerabili della popolazione. Obiettivo da raggiungere rispondendo a tre sfide fondamentali individuate in:

  • uso delle opportunità derivanti dalla crescita della bioeconomia;
  • garanzia di sostenibilità delle produzioni e degli impieghi delle materie prime rinnovabili;
  • garanzia della supremazia del cibo.

L’orizzonte è quello di una bioeconomia (un termine che a questo punto appare più ampio e inclusivo della stessa definizione di attività agricola) sostenibile, caratterizzata da numerose e diverse catene del valore e in grado di giocare un ruolo cruciale nel determinare il benessere dell’umanità: assicurando un’adeguata disponibilità di cibo, contribuendo ai processi di mitigazione e adattamento rispetto ai cambiamenti climatici e gestendo in modo sostenibile le risorse naturali. 

Si tratta, senza mezzi termini, di una visione che ricolloca l’agricoltura (ma va ricordato che nell’idea di bioeconomia sono ricomprese anche le risorse rinnovabili dei mari e degli oceani) come settore cruciale rispetto ai grandi scenari globali, la cui realizzazione passa necessariamente da una convergenza di obiettivi e strategie tra sostenibilità economica, sociale e ambientale. Ovviamente, il punto è come arrivarci.

Le raccomandazioni che a questo proposito sono contenute nel documento riflettono il fatto che quando si parla di uso di risorse agricole c’è una narrazione che si “mangia” tutte le altre, ed è, per l’appunto, quella della fame, della scarsità o mancanza di cibo. Situazione in parte paradossale, dal momento che non esiste una fonte autorevole che sostenga che l’attuale capacità produttiva del sistema agroalimentare sia insufficiente a sfamare la popolazione del pianeta. E che il problema non abbia altri nomi: povertà, accessibilità e distribuzione, dumping, protezionismo... Questa prevalenza porta spesso ad “avvolgere” il discorso sulla bioeconomia tra molte precauzioni, attenuazioni e precisazioni. 

Ma le opportunità potenzialmente offerte dallo sviluppo di una economia sempre più fortemente basata sulle risorse rinnovabili emergono comunque con chiarezza. Le catene del valore che con la bioeconomia vengono poste in essere producono nuova occupazione mentre consolidano quella già esistente, generano reddito aggiuntivo, consentono l’accesso a mercati promettenti, e ciò riguarda tutte le economie, quelle più avanzate quanto quelle emergenti o in via di sviluppo.

In particolare, si sottolinea come per le nazioni dotate di scarse risorse fossili, ma dotate di ampie risorse forestali o agricole, lo sviluppo di una biobased industry possa rappresentare una opportunità di incrementare il valore aggiunto delle proprie produzioni agricole. 

Promozione di sistemi integrati che combinino la produzione di risorse per i settori food e non-food, al fine di diversificare le fonti di reddito e rafforzare la resilienza, sviluppare mercati sostenibili per i prodotti biobased, sviluppare la ricerca in particolare sui possibili effetti di sinergia o di trade off tra produzione di risorse rinnovabili per i settori food e non-food, rispondere ai problemi socioeconomici, inclusi quelli dei piccoli proprietari e dei giovani coltivatori. Il tutto implementando soluzioni e strategie adattate alle diverse condizioni locali. E questo è un altro passaggio senza dubbio significativo, che pur senza evocarla direttamente mette in questione non solo la pratica del land grabbing ma, più in generale, le dinamiche dei mercati globali dei prodotti agricoli e forestali.

Oltre alla caratterizzazione locale dei modelli di bioeconomia, l’altro cardine è la loro sostenibilità, da garantire attraverso la diffusione di modi di produzione adeguati, che puntino alla gestione sostenibile delle risorse e alla maggiore tutela rispetto ai rischi connessi al cambiamento climatico, con il trasferimento di tecnologie e l’implementazione di standard volontari e certificazioni su basi condivise. Non ultimo, promuovendo la consapevolezza dei consumatori rispetto ai prodotti sostenibili di derivazione biologica.

Il richiamo alla “supremazia del cibo” torna in chiusura del documento, con una serie di prevedibili raccomandazioni che ribadiscono i concetti espressi in precedenza e con rimando a quanto verrà discusso in Expo 2015. Vedremo se e come la Carta di Milano, il documento che dovrebbe essere sottoscritto dai paesi partecipanti in chiusura della manifestazione, riserverà attenzione alle prospettive messe in luce dal Gffa.

Intanto, a misurare in termini di concretezza la visione proposta dalla dichiarazione finale del Gffa arriva un recente studio, sempre di origine “berlinese”, elaborato dal Bioökonomierat (Consiglio per la bioeconomia presso il Governo federale tedesco), che analizza le strategie per la bioeconomia nei paesi che formano il gruppo dei G7.

 

Oltre a confermare il consolidarsi di una visione in cui agricoltura non significa solo food, feed o biofuel, ma dove l’idea dell’uso “a cascata” delle risorse rinnovabili ha acquisito un consenso ampio, la situazione si presenta piuttosto diversificata, in un mix di strategie “top down” e “bottom up” che non appare omogenea nemmeno in ragione della dotazione di biorisorse delle diverse nazioni. Paesi che sono vere Grandi Potenze delle biorisorse, come Usa e Canada, adottano strade diverse che non sembra azzardato far risalire ai diversi orientamenti politici dei rispettivi governi federali, e mentre all’interno dell’Unione europea vi sono tuttora diversità significative (c’è chi punta sulla capacità di innovare della propria industria e chi punta a fare sistema, a organizzarsi e a coordinare le proprie politiche con altri paesi) una nazione povera di materia prima biologica come il Giappone sente la necessità di dotarsi di una strategia nazionale in materia.

In generale, la considerazione della bioeconomia non più come un promettente settore della ricerca, ma come una componente importante nelle strategie di innovazione e sviluppo industriale, con forti elementi di crescita e di sostenibilità, appare acquisita.

L’identità di ciò che è e sarà la bioeconomia va dunque precisandosi: elemento chiave di un’economia che guarda all’uso sostenibile delle risorse con sempre maggiore attenzione.

Un potenziale che si estende dai prodotti chimici di base ai materiali innovativi come biopolimeri o fibre di derivazione biologica, utilizzabili anche per beni di consumo caratterizzati da una spiccata sostenibilità del ciclo di vita.

Inoltre, lo sviluppo dei prodotti biobased risponde a una crescente domanda per prodotti che siano naturali, sani e sostenibili.

Lo studio del Bioökonomierat si chiude con la considerazione di come oggi non sia ancora possibile stabilire se sia più produttivo adottare una forte azione coordinata dall’alto o lasciare che l’iniziativa dei settori industriali si sviluppi liberamente. Certamente, sono proprio le risorse su cui questi nuovi settori basano il loro sviluppo a costituire il fattore che sta restringendo il vantaggio tecnologico dei paesi industrializzati rispetto alle economie emergenti maggiormente dotate di biorisorse.

Le distanze si riducono e ridisegnano la geografia economica globale. Nazioni che oggi offrono soprattutto materie prime, come Malesia, Brasile, Cina, India, Sudafrica e Russia, possono diventare fornitori di prodotti finiti. 

“Ancora una volta” si afferma “la bioeconomia sta agendo come strategia di crescita o di rigenerazione industriale”.

E l’Italia? Noi siamo tra quelli che si affidano totalmente alla capacità di innovare delle proprie imprese. Con significative resistenze da parte di quei settori che dallo sviluppo di una economia biobased avanzata si vedono maggiormente messi in discussione.

Ma questo, lo studio del Bioökonomierat naturalmente non lo dice.

 

 

Per un aggiornamento sul tema delle rese dei raccolti e della fame nel mondo:
videointervista a Lester Brown, “Crop yields can’t be increased anymore: world hunger imminent”

tinyurl.com/lwas8ud

 

  

Global Forum for Food and Agriculture 2015, comunicato finale The Growing Demand For Food, Raw Materials and Energy: Opportunities for Agriculture, Challenges for Food Securitytinyurl.com/omsv4t4

The Future We Wanttinyurl.com/czenz9g

Millennium Development Goals: 2014 Progress Charttinyurl.com/mn9nzqd

Per info sulla Carta di Milano: tinyurl.com/ndergsl

Studio Bioökonomierat, Synopsis and Analysis of Strategies in the G7tinyurl.com/nk7lx8v

 

First image: ©Fao